Come è noto, la Corte costituzionale ha respinto il “porcellum”. Doppia la bocciatura: sul premio di maggioranza privo di una soglia percentuale minima di voto da conseguire, e dunque sproporzionato; e sulle liste bloccate, per l'impossibilità per il cittadino di scegliere direttamente i propri rappresentanti.
Dopo la pronuncia dei giudici, la palla è ripassata alla politica che, ovviamente, come ha puntualizzato la stessa Corte, è libera di individuare il modello elettorale ritenuto più idoneo. Non si può quindi parlare di Parlamento delegittimato, come insiste a dire l'asse populista Cinquestelle-Forza Italia.
Sempre solo due le possibili varianti: maggioritario o proporzionale. Con il primo, accoppiato a collegi uninominali che eleggono un solo candidato, conquista il seggio chi ottiene un voto in più del suo avversario. Col secondo invece i seggi sono attribuiti in proporzione ai voti ricevuti.
Non esiste un modello privo di controindicazioni. Il maggioritario porterebbe – in teoria – una maggiore governabilità, a scapito però della rappresentatività parlamentare delle forze politiche presenti nel Paese, perché le formazioni che non contraggono alleanze in genere non ottengono seggi. Il proporzionale non ha questo difetto ma, se non vi sono significative soglie di sbarramento, ha quello ancora più grave di determinare un'eccessiva frammentazione e quindi una notevole instabilità politica.
Nella scelta del modello elettorale conviene far tesoro dell'esperienza. Con il proporzionale puro, in stile Prima Repubblica, i governi erano deboli e duravano in media meno di un anno. Per decenni abbiamo avuto esecutivi in balia dei capricci di questo o quel piccolo partito che ricattava quello più grande (Ghino di Tacco dovrebbe pur insegnare qualcosa). Per di più la sera delle elezioni non si riusciva mai a capire chi avesse vinto e i governi nascevano spesso con operazioni di corridoio. L'instabilità poi era permanente: sino al 1968 le legislature sono giunte a scadenza naturale dopo di allora sono state tutte interrotte da elezioni anticipate.
Se il vecchio proporzionale puro è da archiviare, lo stesso può dirsi per il maggioritario che abbiamo conosciuto, in quest'ultimo ventennio, tra “mattarellum” e “porcellum”. C'è stata, è vero, l'alternanza tra schieramenti diversi ma, a ben vedere, si sono sempre formate delle coalizioni abborracciate con il solo obiettivo di superare, fosse solo di un voto, il cartello avversario. Alleanze senza un progetto politico comune che sono crollate come castelli di carte al primo soffio di vento (come è accaduto all'Ulivo) o hanno vivacchiato, tra mille polemiche, senza affrontare i nodi del Paese (come è successo al PDL). Partiti estremisti, come Lega Nord o Rifondazione comunista, hanno sempre tenuto in scacco le loro rispettive coalizioni. Un bipolarismo dunque schiacciato sulle estreme e non rivolto verso il centro, come accade normalmente nelle democrazie europee.
Adesso si ha davvero l'occasione di fare tabula rasa, tenendo fermi almeno alcuni punti. Penso che vada salvaguardato il bipolarismo, che permette la competizione tra schieramenti e programmi alternativi, consentendo agli elettori di scegliere direttamente da chi essere governati. Poi occorre che il Parlamento abbia un certo grado di rappresentatività, per non essere scollato da quanto si muove nel Paese.
Per tenere insieme questi requisiti può essere adatto un sistema proporzionale con voto di preferenza e uno sbarramento al 5 per cento, per evitare un’eccessiva frammentazione. Per contro è meglio evitare la distorsione di qualsiasi premio di maggioranza, poiché per conseguirlo nascerebbero nuovamente quei cartelli elettorali capaci di vincere ma non di governare. Si può invece ottenere un buon effetto bipolare per altra via, disegnando dei collegi di ridotte dimensioni, ove si eleggano non più di sei-sette deputati, favorendo così i partiti che hanno maggiori consensi. Il territorio ristretto, fra l’altro, ridurrebbe anche le spese per i candidati che, a scanso di guai, dovrebbero comunque rispettare un tetto prefissato.
Alla resa dei conti il sistema che ne sortisce è assai simile a quello spagnolo con l’aggiunta delle preferenze. Un modello che oltre i Pirenei funziona bene e che può dare buona prova di sé anche sotto le Alpi. |