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Popolari nel PD: non siamo morti ma non stiamo molto bene
 
di Giorgio Merlo
 

Alessandro Risso ha scritto un bell'articolo chiedendosi se nel "PD il popolarismo è morto". Una domanda persin troppo secca conoscendo l'indole moderata e tranquilla dell'articolista. Ma, al di là dell'amicizia con Alessandro, affrontiamo seppur rapidamente alcuni temi che sono, piaccia o non piaccia, sul tappeto.
Innanzitutto dobbiamo chiederci: perché i Popolari – lo dico così per esemplificare – sono profondamente divisi nell'ambito dello stesso partito, cioè il PD? La risposta è molto semplice e al tempo stesso complessa. Perché ci sono irriducibili questioni personali e di posizionamento tattico che nel tempo si sono consolidate e hanno portato a questo epilogo.
È così a Torino, così in Piemonte, così in tutta Italia. Ed è sufficiente una banale considerazione per rendere l'idea. Nella contesa congressuale del PD abbiamo, ad esempio, Franco Marini che appoggia la mozione Cuperlo, Rosi Bindi che non appoggia nessuno e Franceschini che appoggia Renzi. Di Civati non so, perché è radicalmente estraneo al nostro mondo e a ciò che noi rappresentiamo da sempre. Insomma, una babele di lingue che oggettivamente indebolisce una presenza politica e culturale che risente ancora in parte del condizionamento identitario.
Ma, su questo versante, non possiamo non farci anche una domanda più politica. Perché anche tra di noi, al di là della contingenza congressuale del PD, c'è questa profonda divergenza? Per un motivo molto semplice. Perché se cominci a navigare in mare aperto, in un partito plurale come il PD e con l'obiettivo di non ricostruire una mera "corrente Popolare" è persin scontato che anche tra noi ci siano valutazioni diverse e strategie leggermente divaricanti.
Certo, poi c'è sicuramente una convergenza nell'analisi sulle tendenze nella nostra società e sulle grandi ricette da avanzare per affrontare i principali nodi sul tappeto. Ma dopo aver rinunciato a mantenere in vita un partito sostanzialmente identitario anche se profondamente laico come il PPI –ahimè che errore! – e dopo aver deciso di liquidare la Margherita per approdare nel PD, era abbastanza evidente che non si poteva più riproporre una forte ricomposizione politica, culturale e organizzativa di tutti i Popolari. Perché se fosse prevalso quel disegno avremmo deciso, probabilmente tutti insieme, di proseguire l'esperienza del PPI.
Pertanto, entrando ancor più nello specifico della dinamica congressuale del PD, abbiamo visto che molti Popolari dopo aver votato convintamente più volte nel passato Bersani adesso non votano Cuperlo perchè dicono – come rileva anche Alessandro – che è troppo "legato al partito della sinistra europea". Come se Bersani fosse stato da sempre un cattolico liberale! E, al contempo, abbiamo Popolari che hanno votato Franceschini nel passato e adesso votano Cuperlo perché, come penso io, è l'unico dei candidati alla segreteria del PD capace di far proseguire l'esperienza di un partito "inclusivo e plurale" – come scrive lo stesso Alessandro – senza riproporre il modello para berlusconiano di un partito personale, a vocazione plebiscitaria e funzionale agli interessi elettorali e di potere del suo leader.
Ho voluto riproporre questo semplice esempio per arrivare ad una conclusione: anche tra di noi c'è un forte pluralismo frutto, probabilmente anzi quasi certamente, di valutazioni politiche e culturali diverse.
Ora, senza inoltrarci nei dettagli politici, culturali, programmatici e organizzativi che ci portano a fare delle singole valutazioni sull'attuale stato di salute del PD e sulle migliori ricette da offrire all'intero Paese – su questi temi ho scritto nelle ultime settimane un libretto e rimando a quello per chi ha tempo da dedicare all'approfondimento di questi argomenti – c'è una domanda cruciale a cui prima o poi dovremmo dare una risposta compiuta per uscire da questa difficoltà che periodicamente ci coinvolge e ci appassiona. Anche se la politica, come ci hanno insegnato, è in perenne evoluzione ed è difficile fissare un punto definitivo. E cioè, i Popolari, i cattolici democratici e tutti coloro che continuano a riconoscersi nel famoso slogan di De Gasperi "un partito di centro che guarda a sinistra", sono condannati a militare per sempre nei partiti plurali – in questo caso nel PD – oppure pensano che, prima o poi, possano convergere tutti, seppur con altre esperienze e altri apporti, in un medesimo soggetto politico? Che sia politicamente e culturalmente più affine, più coerente e più funzionale alla nostra storia, ai nostri valori e alla nostra cultura.
Perchè, alla fine, di questo si tratta. E non di altro. E l'articolo di Alessandro, forse inconsapevolmente, pone proprio questo tema parlando del "ni" a Renzi e del "ni" a Cuperlo.
Mi rendo conto che il tema è del tutto aperto. Nessuno ha la verità in tasca e nessuno può rivendicare maggior coerenza di un altro. Per questo ringrazio Alessandro per aver riaperto il dibattito con un articolo interessante e suggestivo. Tocca a noi, adesso, con amicizia e disponibilità al dialogo e al confronto, approfondire la discussione.


giuseppe cicoria - 2013-12-08
Ho votato Renzi perchè di tradizione più vicina alle mie idee ma la riflessione proposta che Cuperlo potrebbe rappresentare un segretario capace di "far proseguire l'esperienza di un partito inclusivo e plurale", mi ha fatto venire qualche dubbio sulla scelta fatta. Il problema è che Cuperlo rappresenta più da vicino la tradizione ex comunista che solo apparentemente si dichiarava "democratico" perchè accentrava il potere decisionale nelle mani di poche persone facenti parte di una ristretta oligarchia. Devo forse concludere che sarebbe stato meglio non votare per niente ma se avessi fatto così avrei sbagliato lo stesso!