Tra i temi che pare siano scomparsi dall'agenda politica e del governo c'è anche quello della riforma della RAI. Ora, è vero che attorno al tema del futuro RAI, della prospettiva del servizio pubblico radiotelevisivo e della riforma complessiva del settore se ne parla da anni. Cioè dall'ultima riforma Gasparri che, come sappiamo, ha contribuito solo a peggiorare la situazione. Ma anche un governo di emergenza, o "di servizio" che esso sia, ha il dovere politico di affrontare un tema che, al di là del più spinoso conflitto di interesse, resta sul tappeto e non può essere rinviato alle calende greche.
Innanzitutto il servizio pubblico non può e non dev'essere privatizzato, svenduto o selvaggiamente ridimensionato. E questo non solo perchè si conferma sempre più negli ascolti, malgrado una "qualità" a volte ancora troppo scadente. Il servizio pubblico, checché se ne dica, continua ad essere, un baluardo di pluralismo, un luogo di autorevole e qualificato approfondimento intersettoriale e una vetrina di ciò che è il nostro Paese. Un servizio pubblico, quindi, non statico o passivo ma un network attraverso il quale viaggia l'Italia con le sue potenzialità e le sue contraddizioni. Insomma, il servizio pubblico, con i suoi canali, la sua specificità culturale e la sua "mission" continua a essere un polo insostituibile nel panorama culturale, politico, informativo e di costume nel nostro paese. Chi punta, come Grillo o spezzoni di PD e PDL, a liquidarlo attraverso un suo progressivo e micidiale dimagrimento, mira direttamente a indebolire lo stesso tessuto democratico. Al di là delle futili dichiarazioni che accompagnano quegli intenti.
In secondo luogo continua ad essere sterile la polemica sulla necessità di ridurre l'informazione, cioè i suoi Tg e Gr in virtù del fatto che la situazione è profondamente cambiata rispetto al passato. È curiosa questa considerazione perchè viene fatta proprio da coloro che invocano e predicano ogni giorno maggior pluralismo e libertà di opinione e poi sono indirettamente alfieri del "pensiero unico" attraverso un Tg unico. Semmai, è vero il contrario. E cioè, serve maggior pluralismo, maggior libertà di opinione e maggiori spazi di approfondimento. Del resto, non stupisce che chi ha una concezione padronale, proprietaria di un partito o di un movimento poi rinneghi, di fatto, un'informazione pluralistica e democratica. È sufficiente, al riguardo, una informazione "di regime" e al minor costo possibile. Una tesi politica semplicemente inaccettabile.
In terzo luogo la "qualita". Lo diciamo da tempo. Ma è ovvio che un servizio pubblico radiotelevisivo è credibile nella misura in cui declina quotidianamente "qualità". Solo su questo versante si giustifica ancora l'esistenza e la specificità di un servizio pubblico. L'auditel non dev'essere un ricatto quotidiano o una costrizione ma è indubbio che qualsiasi programma che sprigiona competenza, qualità e serietà fa ascolti e audience. La rincorsa del trash o l'istituzionalizzazione dell'effimero non sono elementi che competono ma, semmai, trascinano lo stesso servizio pubblico in una spirale di dequalificazione e di crisi di identità e di mission.
Ma per centrare questi obiettivi o meglio, per poterli valorizzare al massimo l'azienda dev'essere riformata. Non mancano i progetti di legge e le proposte dei vari partiti. A cominciare da quelli del PD. A costo zero, com'ovvio. Ma l'inerzia del Parlamento da un lato o la non volontà politica del Governo dall'altro rischiano di offrire un assist straordinario proprio a tutti coloro che puntano deliberatamente a distruggere la RAI e a ridurla ad una azienda del tutto insignificante e marginale. Che resta il vero obiettivo di Grillo, Casaleggio e di quei settori di PD e PDL che da anni, o da mesi, vogliono la radicale privatizzazione dell'azienda di viale Mazzini e la sua naturale e conseguente caduta di credibilità, di consensi e anche di qualità. Non può esser questo l'obiettivo di chi vuol mantenere e rafforzare la RAI come azienda di servizio pubblico che tutela e salvaguarda il pluralismo e la libertà e l'imparzialità dell'informazione nel nostro Paese. Su questo il PD per primo non può e non deve più tergiversare. |