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Con Berlusconi finirà anche l'antiberlusconismo?
 
di Giorgio Merlo
 

Molti dicono, a ragione, che la sentenza della Cassazione che ha condannato Silvio Berlusconi è destinata a cambiare in profondità la geografia politica italiana. E questo, inesorabilmente, investe il centrodestra e anche il campo del centrosinistra. E, nello specifico, il ruolo e la proposta del Partito Democratico.
Non mi inoltro nell'universo del centrodestra perché è oggettivamente difficile pensare ad una sua riorganizzazione dopo vent’anni di dominio assoluto – personale, politico e carismatico – del suo leader. E la sua progressiva uscita di scena, anche se le sorprese sono sempre dietro l'angolo, muta in profondità il prossimo panorama politico.
Anche nel centrosinistra che le cose cambieranno, e in profondità. Diciamocelo con franchezza: in questi lunghi vent’anni, sull'onda di un antiberlusconismo militante, è cresciuto un esercito di persone che ha avuto popolarità, fortune editoriali, successi televisivi e giornalistici, redditi stratosferici e, specularmente, vantaggi politici. Il centrosinistra, nelle sue varie formulazioni, non è assente da questa banale considerazione. La sua strategia politica, dal 1994 in poi, non poteva non essere antiberlusconiana. Ma quella categoria politica è diventata, cammin facendo, una avversione ideologica, culturale, etica e violentemente personale. Al punto che le stesse alleanze politiche nascevano prevalentemente, se non esclusivamente, in funzione anti Berlusconi e non in positivo. Cioè "per" un progetto chiaro e percorribile, capace di guardare oltre la figura dell'imprenditore di Arcore.
Ora, considerata l'influenza culturale e politica che i professionisti dell'antiberlusconismo militante hanno da sempre esercitato sui partiti di centrosinistra – in particolare di quelli che provengono dalla sinistra più tradizionale –, è indubbio che la nuova stagione politica diventa un banco di prova anche per quel campo della politica italiana che da ormai quattro lunghi lustri sta sulla sponda opposta a Berlusconi. La vera sfida dell'ormai prossima legislatura – anche perché l'attuale non potrà più avere alcuna spinta propulsiva – è quella di costruire una coalizione riformista, costituzionale e di governo, che non ritrova la sua ragion d'essere nell'opposizione frontale e violenta a un solo personaggio della politica italiana. Come è stato sinora.
La controprova di ciò che dico è facilmente deducibile dal fatto che tutte le coalizioni messe in piedi dalla fine della prima Repubblica a oggi, complici anche i sistemi elettorali, sono sempre naufragate di fronte alle necessarie omogeneità programmatica e strategia di lunga gittata. Coalizioni che vivevano una stagione e naufragavano miseramente nelle loro contraddizioni. Per rendersene conto è sufficiente ricordare l'esperienza dell'Unione prodiana, coalizione che conteneva al suo interno tanto la maggioranza quanto l'opposizione. Una stagione buia per un centrosinistra frutto del pallottoliere: con l’ossessione cioè di unire tutto e il suo contrario pur di contrastare Berlusconi.
Ma dopo il 1° agosto qualcosa è cambiato. Adesso, al di là della durata del Governo Letta-Alfano, non ci saranno più attenuanti. Il PD ha il dovere di dimostrare che una strategia riformista e di centrosinistra è possibile anche senza la leadership carismatica di Silvio Berlusconi sul fronte opposto. Perché se questo non fosse possibile, allora dovremmo amaramente prendere atto che il centrosinistra sviluppatosi in questi anni si è consolidato solo e soltanto per la sua opposizione al capo del centrodestra. Un po’ poco per pretendere di inaugurare una nuova e feconda stagione politica.
Forse è venuto il momento di abbandonare alle ortiche l'antiberlusconismo militante e di aprire definitivamente una nuova pagina del centrosinistra italiano. Certo, pagando anche lo scotto di non essere più funzionali a tutti coloro che hanno prosperato sull'onda dell'antiberlusconismo, curando di più, però, i loro affari o i loro desideri che non contribuendo a costruire una valida e duratura alternativa politica, culturale, sociale e programmatica alla destra.
Ecco perché il 1° agosto 2013 è stata veramente una data spartiacque. Decisiva per il futuro centrodestra ma cruciale anche per il profilo politico del nuovo centrosinistra. Vedremo se prevarranno, ancora una volta, le categorie ideologiche o se, invece, saranno i programmi e la politica dei contenuti a farla da padrone.
E il congresso del PD sarà una ghiotta occasione per approfondire questi temi e non solo per blaterare di statuti, regole, primarie, mandati, codicilli, carriere e tessere.


Carlo Baviera - 2013-08-09
Concordo. Dobbiamo comunque considerare (a me sembra così) che l'ostacolo non è solo e tanto la persona che è leader della destra , ma anche la cultura e la visione che incarna e che la destra ha fatta propria (le leggi sono vincoli da rimuovere, la Costituzione un ostacolo all'imprenditore, l'Europa e l'Euro cose che limitano l'economia, le istituzioni democratiche cose per parrucconi e così via). Questo deve continuare ad essere l'avversario del centro sinistra (o del riformismo solidale e comunitario); insieme all'opposizione (che significa fare una proposta) al sistema capitalista di questi anni, e ad una visione sussidiaria e pluralista della società (personalismo comunitario), di tutela vera dell'ambiente, di un welfare non più statalista che però non elimini o penalizzi i servizi assistenziali, sanitari e scolastici.