Francia: da Barnier a Bayrou



Aldo Novellini    14 Dicembre 2024       0

In Francia, la palla per la nascita di un nuovo governo passa adesso a François Bayrou, vecchio routinier della politica transalpina. Uno che ha conquistato il suo primo portafoglio ministeriale – all'Educazione nazionale, tanto per la cronaca - quando all'Eliseo sedeva ancora François Mitterrand e che da allora, schierato su posizioni centriste, non ha mai abbandonato il grande palcoscenico pubblico. Più volte candidato alle presidenziali, a 73 anni potrebbe dire ancora la sua nella corsa verso l'Eliseo del 2027, perché guai ad un mondo politico basato più sulla carta d'identità che non sull'esperienza e la capacità di guida. Doti di cui Bayrou è provvisto più che qualsiasi altro nello scacchiere politico dell'Esagono.

Toccherà dunque a lui, entrando a Matignon, allestire una squadra di governo in grado di non incorrere nella tagliola di una nuova censura congiunta dell'estrema destra del Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen e della sinistra del Nuovo fronte popolare (Nfp) dominata dal radicalismo di Jean-Luc Melenchon. C'è da sperare che venga stipulato un patto tra gollisti, socialisti e centristi per evitare una nuova censura, poiché un Paese non può vivere con una crisi di governo ogni tre mesi o con uno scioglimento anticipato del Parlamento ogni anno.

Il problema è che la cultura politica transalpina è poco avvezza al compromesso: atteggiamento che non ha eguali in alcun altro Paese europeo. In Francia più che altrove si ragiona su blocchi contrapposti ed impermeabili l'uno all'altro. Principale causa è senza dubbio il sistema maggioritario che mette i candidati uno contro l'altro nei collegi uninominali. Si viene eletti per un voto in più rispetto agli avversari in una contrapposizione tale da non permettere una ricomposizione qualora, come accade oggi, invece che due coalizioni, come è stato sinora, i blocchi in lizza siano tre. Nessuno dei quali in grado di ottenere la maggioranza assoluta e di garantire una stabilità di governo.

Il maggioritario, insomma, funziona bene solo con due schieramenti contrapposti e non quando viene ad aggiungersi un terzo incomodo. E infatti oggi al posto della classica alternanza tra gollisti e socialisti si è dinanzi ad un centro, un'estrema destra ed una sinistra egemonizzata dalla sua ala più radicale. Tutto da vedere cosa succederà con Bayrou abile a districarsi nelle strettoie della politica ma a rischio di finire impallinato da una serie di veti incrociati. Come è capitato al pur valente Michel Barnier che dopo appena tre mesi ha dovuto ammainare bandiera bianca.

Davvero poco tre mesi: l'esecutivo più effimero della recente storia francese. Un record, anche confrontato con l'endemica instabilità che affliggeva la nostra Prima repubblica. Persino i due governi balneari di Giovanni Leone – estate 1963 e 1968 – fecero meglio. Una meteora governativa, quella di Barnier, che ricorda la sorte di Liz Truss, ultima premier di Elisabetta II, rimasta in carica poche settimane. Travolta dal malcontento generale e, prima ancora, da quello del suo stesso partito.

In ogni modo nella Francia della Quinta repubblica l'ultima censura coronata da successo portava la data del 1962. Ma si era agli albori del gollismo, mentre oggi siamo al tramonto del macronismo, sebbene manchino ancora tre anni alla prossima scadenza presidenziale. L'attuale censura porta la firma del Npf e del Rn. Un matrimonio di convenienza tra le estreme per buttare giù il governo. Manovra legittima - e non certo antirepubblicana come ha inopinatamente sostenuto Macron nel successivo discorso ai francesi - ma certo altamente irresponsabile perché rischia di impedire l'approvazione della Legge di bilancio entro fine anno e di richiedere l'esercizio provvisorio. Non proprio il miglior modo di rispondere alla crisi economica tra eccessivo deficit e debito pubblico fuori controllo.

Non ha peraltro alcun senso attribuire a Macron - che pure di colpe ne ha tante - l'errore di aver sciolto l'Assemblea nazionale in giugno dopo le europee. Il voto per l'europarlamento, con il clamoroso balzo in avanti del Rn, aveva rimescolato le carte ed era logico dare la parola ai cittadini sulla direzione politica da intraprendere. Il voto, su due turni, ha mostrato però come il Rn non sia ancora ritenuto affidabile forza di governo ed ha premiato la sinistra sotto le insegne del Nfp. Adesso c'è da augurarsi che il Partito socialista abbandoni il massimalismo e sia capace di appoggiare Bayrou anche solo con un appoggio esterno di marca andreottiana. Sarebbe la cosa più sensata. Ammesso che oggi nella politica francese qualcosa abbia ancora senso.


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