L’aumento delle nuove quote d’ingresso di lavoratori extracomunitari viene motivato dall’esigenza di rimediare due fattori critici del nostro mercato del lavoro: la riduzione del numero delle persone in età di lavoro; la carenza di manodopera disponibile per svolgere le mansioni esecutive che comportano disagi e fatica. La decrescita della natalità registrata nel corso degli anni 2000 si trasferirà nella perdita di circa 5 milioni di persone in età di lavoro entro il 2040. La quota dei lavoratori anziani in procinto di andare in pensione risulterà superiore del 40% rispetto al potenziale ingresso dei giovani in uscita dai percorsi scolastici e universitari. Una tendenza destinata ad amplificare il potenziale divario tra la domanda di lavoro delle imprese e l’offerta di lavoratori disponibili, che è aumentato dal 32% al 47% negli ultimi tre anni.
Il XIV Rapporto annuale sugli immigrati nel mercato del lavoro italiano recentemente pubblicato dal ministero del Lavoro aggiorna queste stime. Più del 70% dei circa 2,4 milioni dei lavoratori provenienti da altri Paesi (10,1% sul totale degli occupati) svolge mansioni esecutive con caratteristiche professionali e di rapporti di lavoro che generano redditi inferiori del 30% rispetto a quelli degli occupati italiani. La quota dei lavoratori stranieri risulta superiore alla media nei comparti di attività caratterizzate da un basso valore aggiunto: i servizi alle persone (30,4%); l’agricoltura (18%); gli alberghi e la ristorazione (17,4%); le costruzioni (6,4%); i trasporti e i magazzini (12,4%). Sono i comparti economici che occupano circa i due terzi degli stranieri regolarmente soggiornanti, che registrano: un’ intensa mobilità lavorativa; numeri rilevanti di prestazioni stagionali; quote di lavoro sommerso di gran lunga superiori alla media generale.
Il Rapporto riprende anche le indagini dell’Istat sulla distribuzione del reddito delle famiglie residenti in Italia che mettono in evidenza la crescita dei nuclei e delle persone straniere in condizioni di povertà assoluta, circa un terzo del totale di quelle composte da soli stranieri, pari a 530mila, con un’incidenza superiore di 5 volte rispetto alle famiglie italiane.
La caratteristica peculiare degli stranieri è la rilevante quota di persone che rimangono povere pur avendo un lavoro (il 29,8% rispetto al 5% degli italiani). Il contributo degli stranieri alla crescita della popolazione in condizioni di povertà assoluta, in Italia in particolare nelle regioni del nord, è assai rilevante. Ed è motivato da tre fattori: l’impatto della lunga crisi economica iniziata alla fine del 2008 che ha provocato un aumento del numero delle persone straniere in cerca di lavoro (oltre 400 mila); la riduzione di circa 14 punti del tasso di occupazione; l’incremento dei nuclei familiari e delle persone a carico motivato dalle ricongiunzioni familiari e dalle nuove nascite.
Sono numeri che mettono in discussione la qualità delle politiche per l’immigrazione che hanno accompagnato la crescita della popolazione di origine straniera residente in Italia e la solidità di alcune analisi tese a dimostrare i vantaggi generati dal contributo offerto dagli immigrati per finanziare la spesa pubblica e le prestazioni sociali.
Se le condizioni lavorative e salariali riservate agli immigrati regolarmente residenti non sono in grado di offrire un reddito dignitoso per le loro famiglie, le stesse non possono che peggiorare se si programmano nuovi ingressi di lavoratori stranieri per fare le medesime attività. La sostenibilità dei mercati del lavoro caratterizzati da elevate quote di lavoro sommerso dipende dalla possibilità di avere un’ampia offerta di manodopera disponibile a lavorare alle medesime condizioni. Gli esiti dei click day messi in campo per assegnare circa mezzo milione delle nuove quote d’ingresso per motivi di lavoro confermano che solo il 20% degli ingressi autorizzati si concretizza in un regolare rapporto di lavoro.
L’esigenza di riformare la programmazione e la gestione dei nuovi flussi d’ingresso per renderli più coerenti con l’andamento della domanda di lavoro è del tutto evidente. Ma la programmazione delle nuove quote non può prescindere dall’obiettivo di aumentare il tasso di impiego regolare e di migliorare le condizioni di lavoro degli immigrati residenti.
Questa evoluzione richiede di affrontare altre criticità del modello di integrazione degli stranieri. Il tasso di occupazione degli extracomunitari (60,7%) risulta di poco inferiore a quello degli italiani (61,5%), ma registra al proprio interno uno squilibrio di genere più accentuato (il 75% per gli uomini e il 45% per le donne) che risulta più rilevante per molte comunità di origine che non accettano culturalmente un ruolo attivo delle donne nel mercato del lavoro. Queste criticità si manifestano anche nei tassi di dispersione scolastica dei minori (29,5% rispetto al 9% degli italiani) e sulla quota dei giovani che non studiano e non lavorano (26,5% rispetto al 15,1%).
La sostenibilità futura di molti comparti di attività non può dipendere dalla mera sostituzione del personale dedicato ai lavori poco qualificati. L’impatto delle nuove tecnologie digitali sarà pervasivo sulle organizzazioni del lavoro in tutti i settori (compresi il lavoro di cura, l’agricoltura, le costruzioni, i vari comparti del commercio e dei servizi) e richiede un aumento parallelo delle competenze dei lavoratori.
Una recente indagine di Excelsior (ministero del Lavoro-Unioncamere) sui fabbisogni di lavoratori immigrati richiesti dalle imprese conferma l’aumento della domanda di lavoratori immigrati qualificati e la necessità di aumentare l’attrattività del nostro mercato del lavoro per le persone adeguatamente formate. Tema che non riguarda solamente la componente dei nuovi potenziali lavoratori stranieri, ma la possibilità di ridurre il tasso di disoccupazione e di inattività delle persone in età di lavoro residenti in Italia. Nel 2023, a fronte di un aumento della difficoltà di assumere lavoratori stranieri (il 54% rispetto alla media del 47%), la crescita del numero degli occupati (+480 mila) ha riguardato essenzialmente i cittadini italiani (+2,3%), mentre è rimasta stabile quella degli stranieri con una compensazione interna tra la componente degli extracomunitari (+0,2%) e quella proveniente dai Paesi UE (-0,6%). Il miglioramento del mercato del lavoro ha consentito di ridurre il numero dei disoccupati (-21mila) e delle persone inattive (-53mila).
L’insieme di queste tendenze segnala la necessità di aggiornare l’analisi dei fenomeni che alimentano i flussi migratori e delle politiche per renderli sostenibili. I fattori demografici e la necessità di soddisfare i fabbisogni di lavoratori con bassa qualificazione continueranno ad avere una significativa importanza, ma dovranno essere valutati tenendo conto dell’esigenza primaria di soddisfare la domanda di lavoratori più qualificati, di migliorare l’impiego delle risorse umane già disponibili nel territorio nazionale e di ridurre la quota dei lavoratori poco qualificati e del lavoro sommerso con l’impiego delle nuove tecnologie.
(Tratto da www.ilsussidiario.net)
Il XIV Rapporto annuale sugli immigrati nel mercato del lavoro italiano recentemente pubblicato dal ministero del Lavoro aggiorna queste stime. Più del 70% dei circa 2,4 milioni dei lavoratori provenienti da altri Paesi (10,1% sul totale degli occupati) svolge mansioni esecutive con caratteristiche professionali e di rapporti di lavoro che generano redditi inferiori del 30% rispetto a quelli degli occupati italiani. La quota dei lavoratori stranieri risulta superiore alla media nei comparti di attività caratterizzate da un basso valore aggiunto: i servizi alle persone (30,4%); l’agricoltura (18%); gli alberghi e la ristorazione (17,4%); le costruzioni (6,4%); i trasporti e i magazzini (12,4%). Sono i comparti economici che occupano circa i due terzi degli stranieri regolarmente soggiornanti, che registrano: un’ intensa mobilità lavorativa; numeri rilevanti di prestazioni stagionali; quote di lavoro sommerso di gran lunga superiori alla media generale.
Il Rapporto riprende anche le indagini dell’Istat sulla distribuzione del reddito delle famiglie residenti in Italia che mettono in evidenza la crescita dei nuclei e delle persone straniere in condizioni di povertà assoluta, circa un terzo del totale di quelle composte da soli stranieri, pari a 530mila, con un’incidenza superiore di 5 volte rispetto alle famiglie italiane.
La caratteristica peculiare degli stranieri è la rilevante quota di persone che rimangono povere pur avendo un lavoro (il 29,8% rispetto al 5% degli italiani). Il contributo degli stranieri alla crescita della popolazione in condizioni di povertà assoluta, in Italia in particolare nelle regioni del nord, è assai rilevante. Ed è motivato da tre fattori: l’impatto della lunga crisi economica iniziata alla fine del 2008 che ha provocato un aumento del numero delle persone straniere in cerca di lavoro (oltre 400 mila); la riduzione di circa 14 punti del tasso di occupazione; l’incremento dei nuclei familiari e delle persone a carico motivato dalle ricongiunzioni familiari e dalle nuove nascite.
Sono numeri che mettono in discussione la qualità delle politiche per l’immigrazione che hanno accompagnato la crescita della popolazione di origine straniera residente in Italia e la solidità di alcune analisi tese a dimostrare i vantaggi generati dal contributo offerto dagli immigrati per finanziare la spesa pubblica e le prestazioni sociali.
Se le condizioni lavorative e salariali riservate agli immigrati regolarmente residenti non sono in grado di offrire un reddito dignitoso per le loro famiglie, le stesse non possono che peggiorare se si programmano nuovi ingressi di lavoratori stranieri per fare le medesime attività. La sostenibilità dei mercati del lavoro caratterizzati da elevate quote di lavoro sommerso dipende dalla possibilità di avere un’ampia offerta di manodopera disponibile a lavorare alle medesime condizioni. Gli esiti dei click day messi in campo per assegnare circa mezzo milione delle nuove quote d’ingresso per motivi di lavoro confermano che solo il 20% degli ingressi autorizzati si concretizza in un regolare rapporto di lavoro.
L’esigenza di riformare la programmazione e la gestione dei nuovi flussi d’ingresso per renderli più coerenti con l’andamento della domanda di lavoro è del tutto evidente. Ma la programmazione delle nuove quote non può prescindere dall’obiettivo di aumentare il tasso di impiego regolare e di migliorare le condizioni di lavoro degli immigrati residenti.
Questa evoluzione richiede di affrontare altre criticità del modello di integrazione degli stranieri. Il tasso di occupazione degli extracomunitari (60,7%) risulta di poco inferiore a quello degli italiani (61,5%), ma registra al proprio interno uno squilibrio di genere più accentuato (il 75% per gli uomini e il 45% per le donne) che risulta più rilevante per molte comunità di origine che non accettano culturalmente un ruolo attivo delle donne nel mercato del lavoro. Queste criticità si manifestano anche nei tassi di dispersione scolastica dei minori (29,5% rispetto al 9% degli italiani) e sulla quota dei giovani che non studiano e non lavorano (26,5% rispetto al 15,1%).
La sostenibilità futura di molti comparti di attività non può dipendere dalla mera sostituzione del personale dedicato ai lavori poco qualificati. L’impatto delle nuove tecnologie digitali sarà pervasivo sulle organizzazioni del lavoro in tutti i settori (compresi il lavoro di cura, l’agricoltura, le costruzioni, i vari comparti del commercio e dei servizi) e richiede un aumento parallelo delle competenze dei lavoratori.
Una recente indagine di Excelsior (ministero del Lavoro-Unioncamere) sui fabbisogni di lavoratori immigrati richiesti dalle imprese conferma l’aumento della domanda di lavoratori immigrati qualificati e la necessità di aumentare l’attrattività del nostro mercato del lavoro per le persone adeguatamente formate. Tema che non riguarda solamente la componente dei nuovi potenziali lavoratori stranieri, ma la possibilità di ridurre il tasso di disoccupazione e di inattività delle persone in età di lavoro residenti in Italia. Nel 2023, a fronte di un aumento della difficoltà di assumere lavoratori stranieri (il 54% rispetto alla media del 47%), la crescita del numero degli occupati (+480 mila) ha riguardato essenzialmente i cittadini italiani (+2,3%), mentre è rimasta stabile quella degli stranieri con una compensazione interna tra la componente degli extracomunitari (+0,2%) e quella proveniente dai Paesi UE (-0,6%). Il miglioramento del mercato del lavoro ha consentito di ridurre il numero dei disoccupati (-21mila) e delle persone inattive (-53mila).
L’insieme di queste tendenze segnala la necessità di aggiornare l’analisi dei fenomeni che alimentano i flussi migratori e delle politiche per renderli sostenibili. I fattori demografici e la necessità di soddisfare i fabbisogni di lavoratori con bassa qualificazione continueranno ad avere una significativa importanza, ma dovranno essere valutati tenendo conto dell’esigenza primaria di soddisfare la domanda di lavoratori più qualificati, di migliorare l’impiego delle risorse umane già disponibili nel territorio nazionale e di ridurre la quota dei lavoratori poco qualificati e del lavoro sommerso con l’impiego delle nuove tecnologie.
(Tratto da www.ilsussidiario.net)
Esiste in Italia un grande problema: il coordinamento delle attività rivolte alla formazione degli adulti. Vale per tutti i lavoratori italiani o stranieri che siano ed è trasversale rispetto a tutte le qualifiche professionali. Le grandi imprese da sempre adottano politiche intese all’aggiornamento professionale dei propri dipendenti indirizzato verso le hard skills, le competenze tecniche e le soft skills, le competenze organizzative e relazionali oggi non meno importanti delle prime. Numerose sono le società di consulenza e i professionisti della formazione che lavorano principalmente (e competono fra di loro come è normale in un libero mercato) sulla base di committenze private. O anche di committenze pubbliche nel senso che spesso le amministrazioni più virtuose impostano strategie formative e chiamano in causa consulenti bravi e capaci: operando isolatamente esattamente come le aziende private. Ciò che manca è la capacità di mettere in rete queste esperienze , di effettuare “l’analisi delle necessità formative” (lo fa ogni azienda che aspira all’eccellenza prima di definire il piano formativo annuale e il relativo budget) prevedendo gli impatti che le trasformazioni indotte dai mercati e soprattutto dalle nuove tecnologie eserciteranno sul competence gap dei lavoratori vecchi e nuovi. Le piccole imprese sono particolarmente esposte al rischio di assistere alla rapida obsolescenza delle competenze dei propri lavoratori il che imporrebbe loro di sostituirli affannosamente con nuovi soggetti disponibili sul mercato del lavoro: rendendo per conseguenza sempre più precari i rapporti in essere. Occorre grande forza creativa per immaginare e progettare un sistema di di formazione degli adulti che coinvolga armonicamente energie pubbliche e private. Quanto agli immigrati: dato per assodato che una politica migratoria di successo non può prescindere, occorre essere realisti, dal rispetto di precisi parametri quantitativi e qualitativi occorrerebbe attraverso la formazione professionale loro rivolta facilitare l’incontro fra offerta e domanda di lavoro. Nell’interesse di tutti, immigrati, imprese, società.
(…)
La Lega non cambia idea, continua a ritenere che anche a Bruxelles vada proposto il modello di centrodestra che sta governando bene l’Italia (lo ammette anche Mario Monti nella recente intervista rilasciata a Telese, elogia Giorgia premier). L’ex ministro della Difesa GUERINI al pari dell’attuale CROSETTO, i più determinati a sostenere l’opzione militare per l’Ucraina (una guerra inutile), con il conseguente aumento del DB (Debito Pubblico). Prima del premierato. viene l’inderogabile necessità: la riduzione del debito pubblico, era un impegno di questo Governo, ma vedo è che è disatteso. Al 31 dicembre 2023 il DB era pari a 2.862,8 miliardi, in aumento rispetto ai 2.757,5 miliardi fine 2022 (141,7% del Pil, oggi sfioriamo 3.000,00 miliardi). Per risorgere l’economia italiana deve diventare indipendente dall’estero con l’autoproduzione di EE senza CO2 con parchi eolici offshore. Gli italiani non vogliono le guerre, personaggi come Josep BORRELL– Ursula von DER LEYEN, BIDEN, STOLTEMBERG, ZELENSKY, CROSETTO , TAJANI, ecc. sono guerrafondai per antonomasia (finché c’è guerra c’è speranza, omonimo film con Alberto Sordi)! Basta armamenti e gli immigrati irregolari, non favoriscono la pace. Le sanzioni e le guerre impoveriscono l’Umanità, 500mila morti recenti, sono tantissimi!!! Osservatorio: Nino CARTABELLOTTA Presidente GIMBE: allarme, quasi 2 milioni di italiani non si curano per motivi economici. Troppe spese per armi sono il veleno per gli italiani. 500mila morti recenti, sono tantissimi!!! L’eccesso dei DEM aumenterà le guerre e le distruzioni in tutto il mondo. Gli italiani auspicano, che Il Governo sviluppi per il futuro queste proposte migliorative: a) limitare al massimo l’acquisto e la vendita di armi
b) orientare le risorse per la salvaguardia del territorio, c) favorire la nascita di bambini (culle vuote) d) costruire case popolari con specifiche di solidità, idonee per abitanti indisciplinati, e) espellere chi non ha diritto d’asilo, limitando il pericolo islamico f) bandire le ONG, g) con un’accorta gestione, eliminare le sanzioni e diminuire il DB (debito pubblico)