Non era necessario essere esperti del settore delle costruzioni, economisti o analisti dei conti pubblici per comprendere il potenziale devastante dell’introduzione del Superbonus per le ristrutturazioni abitative. L’ idea balzana di mettere a carico dello Stato i costi degli interventi sostenuti dai committenti, maggiorati del 10%, ha demolito il triplice effetto virtuoso operato dalle precedenti agevolazioni: la capacità di generare un volano aggiuntivo degli investimenti con il contributo dei risparmio privato; l’interesse dei committenti di contenere i costi delle ristrutturazioni; la semplificazione delle procedure di attivazione, di utilizzo e di controllo delle prestazioni.
Ci eravamo permessi, in tempi non sospetti, di assimilare il provvedimento a una sorta di incentivazione a delinquere legalizzata, motivata dall’oggettivo interesse dei committenti e dei fornitori di massimizzare l’importo degli oneri da trasferire allo Stato. Per una serie di circostanze, a partire dal sostegno al Governo Draghi offerto dalle forze politiche che hanno varato il Superbonus e dalla capacità delle lobby bancarie e dei costruttori edili di propagandare le virtù del provvedimento per rilanciare le sorti dell’economia italiana, i deterrenti introdotti successivamente per contenere le truffe e gli effetti degenerativi della misura si sono rivelati quantomeno inefficaci. Alcuni di essi – la massa dei controlli e delle certificazioni (sempre con oneri a carico dello Stato) per prevenire gli abusi; le scadenze temporali per l’utilizzo della misura per delimitare il numero dei beneficiari – hanno ottenuto il risultato di accelerare la rincorsa dei potenziali committenti e fornitori e di mandare in tilt i sistemi di monitoraggio delle prestazioni.
La contabilizzazione dei costi per l’Erario, e gli effetti sul debito pubblico, continuano a essere rivisti al rialzo. La stima più recente operata dalla Banca d’Italia, rilasciata nell’audizione al Parlamento, ipotizza un onere di crediti maturati superiore a 170 miliardi alla fine del 2023. Una cifra equivalente a circa 8 punti del PIL e superiore di 5 volte rispetto a quella originale contenuta nella legge istitutiva. Un importo che dovrà essere ammortizzato nelle Leggi di bilancio dei prossimi 5 anni ipotecando l’utilizzo di almeno 25 miliardi di spesa pubblica. La relazione descrive un lungo elenco di criticità, oltre a quelle evidenziate in precedenza, generate dal Superbonus: la bolla speculativa dei costi dei materiali e delle prestazioni; la riduzione dei benefici attesi del capitale pubblico investito rispetto alle precedenti detrazioni per le ristrutturazioni abitative; le implicazioni negative sulle imprese derivanti dal blocco della cessione dei crediti; l’incertezza generata sul futuro delle agevolazioni.
Sono stime che confermano quelle prodotte recentemente da altri centri di ricerca (CRESME- Symbola, Università Cattolica) che abbiamo commentato in un recente articolo. Analisi che smentiscono gli effetti miracolistici sulla crescita economica palesati dai promotori politici del Superbonus con l’ausilio di studi commissionati dalla principale Associazione dei costruttori (ANCE-Nomisma) e da alcuni ordini professionali.
In un recente articolo sugli effetti del Superbonus e delle altre agevolazioni introdotte per le medesime finalità, il Prof. Marco Fortis (“Il Sole 24 Ore” del 19 aprile u.s.), pur criticando le distorsioni del provvedimento, dà conto di un impatto positivo sugli investimenti delle abitazioni: +142 miliardi nel triennio 2021-2023, rispetto a quello precedente la pandemia Covid-19.
Gli investimenti aggiuntivi, oltre agli effetti positivi sulle entrate fiscali generati dal volano economico per le entrate fiscali che hanno ridimensionato una parte degli oneri a carico dello Stato, avrebbero contribuito a ridurre di circa 2,7 punti il rapporto tra l’indebitamento pubblico e il valore del PIL. Un contributo destinato a rimanere anche nell’ipotesi di una crescita del debito pubblico nei prossimi anni dovuta all’ammortamento dei costi del Superbonus.
Tutte queste stime dovranno essere confermate a fronte di un consuntivo realistico di quanto avvenuto nel corso del 2023. Il fatto che l’Amministrazione statale, nonostante la conclamata esigenza di porre un argine agli effetti degenerativi, denunciati due anni fa dal presidente del Consiglio in carica Mario Draghi, non sia stata in grado di stimare i costi-benefici della misura offre un’idea della capacità della nostra capacità di gestire e di orientare, l’utilizzo delle risorse. Il Superbonus è l’esempio eclatante della teorizzazione del “debito buono”, ovvero dell’ampliamento della spesa pubblica per favorire una crescita dell’economia capace di ripagare gli oneri che ne derivano.
Nel caso specifico, secondo le stime effettuate da CRESME-Symbola, per finanziare le misure in questione e la ristrutturazione di circa mezzo milione di abitazioni, poco più del 3% del patrimonio abitativo, è stata impegnata una spesa pubblica equivalente a quella della somma complessiva erogata per le detrazioni fiscali a favore delle ristrutturazioni abitative nei 20 anni precedenti.
La recente Direttiva europea case green che fissa gli obiettivi e le scadenze per ridurre, fino ad azzerare, l’impatto ecologico negativo delle abitazioni, comporterà un potenziale fabbisogno di ristrutturare circa 7 milioni di abitazioni a partire dal 2025. Entro due anni i Governi dei Paesi aderenti all’UE dovranno presentare un piano di attuazione delle misure. La notizia positiva è la possibilità di conteggiare i risultati ottenuti a partire dal 2020 nella riduzione del 16% dei consumi energetici entro oltre 2030. Quella negativa è la necessità di contemperare la copertura dei costi pregressi con la palese esigenza di ricostruire la fiducia, e le condizioni di sostenibilità degli investimenti, per i proprietari delle abitazioni e per gli operatori economici coinvolti.
(Tratto da www.ilsussidiario.net)
Ci eravamo permessi, in tempi non sospetti, di assimilare il provvedimento a una sorta di incentivazione a delinquere legalizzata, motivata dall’oggettivo interesse dei committenti e dei fornitori di massimizzare l’importo degli oneri da trasferire allo Stato. Per una serie di circostanze, a partire dal sostegno al Governo Draghi offerto dalle forze politiche che hanno varato il Superbonus e dalla capacità delle lobby bancarie e dei costruttori edili di propagandare le virtù del provvedimento per rilanciare le sorti dell’economia italiana, i deterrenti introdotti successivamente per contenere le truffe e gli effetti degenerativi della misura si sono rivelati quantomeno inefficaci. Alcuni di essi – la massa dei controlli e delle certificazioni (sempre con oneri a carico dello Stato) per prevenire gli abusi; le scadenze temporali per l’utilizzo della misura per delimitare il numero dei beneficiari – hanno ottenuto il risultato di accelerare la rincorsa dei potenziali committenti e fornitori e di mandare in tilt i sistemi di monitoraggio delle prestazioni.
La contabilizzazione dei costi per l’Erario, e gli effetti sul debito pubblico, continuano a essere rivisti al rialzo. La stima più recente operata dalla Banca d’Italia, rilasciata nell’audizione al Parlamento, ipotizza un onere di crediti maturati superiore a 170 miliardi alla fine del 2023. Una cifra equivalente a circa 8 punti del PIL e superiore di 5 volte rispetto a quella originale contenuta nella legge istitutiva. Un importo che dovrà essere ammortizzato nelle Leggi di bilancio dei prossimi 5 anni ipotecando l’utilizzo di almeno 25 miliardi di spesa pubblica. La relazione descrive un lungo elenco di criticità, oltre a quelle evidenziate in precedenza, generate dal Superbonus: la bolla speculativa dei costi dei materiali e delle prestazioni; la riduzione dei benefici attesi del capitale pubblico investito rispetto alle precedenti detrazioni per le ristrutturazioni abitative; le implicazioni negative sulle imprese derivanti dal blocco della cessione dei crediti; l’incertezza generata sul futuro delle agevolazioni.
Sono stime che confermano quelle prodotte recentemente da altri centri di ricerca (CRESME- Symbola, Università Cattolica) che abbiamo commentato in un recente articolo. Analisi che smentiscono gli effetti miracolistici sulla crescita economica palesati dai promotori politici del Superbonus con l’ausilio di studi commissionati dalla principale Associazione dei costruttori (ANCE-Nomisma) e da alcuni ordini professionali.
In un recente articolo sugli effetti del Superbonus e delle altre agevolazioni introdotte per le medesime finalità, il Prof. Marco Fortis (“Il Sole 24 Ore” del 19 aprile u.s.), pur criticando le distorsioni del provvedimento, dà conto di un impatto positivo sugli investimenti delle abitazioni: +142 miliardi nel triennio 2021-2023, rispetto a quello precedente la pandemia Covid-19.
Gli investimenti aggiuntivi, oltre agli effetti positivi sulle entrate fiscali generati dal volano economico per le entrate fiscali che hanno ridimensionato una parte degli oneri a carico dello Stato, avrebbero contribuito a ridurre di circa 2,7 punti il rapporto tra l’indebitamento pubblico e il valore del PIL. Un contributo destinato a rimanere anche nell’ipotesi di una crescita del debito pubblico nei prossimi anni dovuta all’ammortamento dei costi del Superbonus.
Tutte queste stime dovranno essere confermate a fronte di un consuntivo realistico di quanto avvenuto nel corso del 2023. Il fatto che l’Amministrazione statale, nonostante la conclamata esigenza di porre un argine agli effetti degenerativi, denunciati due anni fa dal presidente del Consiglio in carica Mario Draghi, non sia stata in grado di stimare i costi-benefici della misura offre un’idea della capacità della nostra capacità di gestire e di orientare, l’utilizzo delle risorse. Il Superbonus è l’esempio eclatante della teorizzazione del “debito buono”, ovvero dell’ampliamento della spesa pubblica per favorire una crescita dell’economia capace di ripagare gli oneri che ne derivano.
Nel caso specifico, secondo le stime effettuate da CRESME-Symbola, per finanziare le misure in questione e la ristrutturazione di circa mezzo milione di abitazioni, poco più del 3% del patrimonio abitativo, è stata impegnata una spesa pubblica equivalente a quella della somma complessiva erogata per le detrazioni fiscali a favore delle ristrutturazioni abitative nei 20 anni precedenti.
La recente Direttiva europea case green che fissa gli obiettivi e le scadenze per ridurre, fino ad azzerare, l’impatto ecologico negativo delle abitazioni, comporterà un potenziale fabbisogno di ristrutturare circa 7 milioni di abitazioni a partire dal 2025. Entro due anni i Governi dei Paesi aderenti all’UE dovranno presentare un piano di attuazione delle misure. La notizia positiva è la possibilità di conteggiare i risultati ottenuti a partire dal 2020 nella riduzione del 16% dei consumi energetici entro oltre 2030. Quella negativa è la necessità di contemperare la copertura dei costi pregressi con la palese esigenza di ricostruire la fiducia, e le condizioni di sostenibilità degli investimenti, per i proprietari delle abitazioni e per gli operatori economici coinvolti.
(Tratto da www.ilsussidiario.net)
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