La “rivolta dei trattori” non è stato un fulmine a ciel sereno, è il frutto di un malcontento che viene da lontano. I dati (fonte Istat) parlano chiaro. Nel 2023 a livello dell’Unione Europea nel comparto agricolo sono calati produzione (-1% in volume), valore aggiunto (-1,7%) e occupazione (-1,5%). Per quanto riguarda l’Italia, nel 2023 si riducono la produzione (-1,4%) e, ancora di più, il valore aggiunto ai prezzi base (-2%); in calo anche le unità di lavoro (-4,9%). E si veniva già da un 2022 molto critico.
In questi anni ci sono stati forti aumenti dei costi di produzione: nel 2023 sono cresciuti i prezzi delle sementi (+12,9%), dei prodotti fitosanitari (+8,8%) e dei prodotti energetici (+1,6%). Incrementi ancora più pesanti nel 2022. Prendiamo il dato italiano: il prezzo medio dei beni e dei servizi impiegati in agricoltura ha subito un incremento del 25,3%, che si assommava a un +9% del 2021. Nel 2022 sono cresciuti fortemente soprattutto i costi di fertilizzanti (+63,4%), prodotti energetici (+49,7%), acque irrigue (+39%) e alimenti per animali (+25,1%). Un fenomeno di portata eccezionale e senza precedenti negli ultimi decenni. Ad aggravare la situazione c’è l’esplosione di malattie delle piante praticamente incurabili, come la xilella, che ha già seccato migliaia di ulivi, e la flavescenza dorata che distrugge i vigneti.
Queste le cifre veramente impressionanti che hanno in molti casi azzerato il reddito degli agricoltori. A tutto ciò bisogna sommare prima i problemi legati al Covid e poi la siccità e il caldo record che abbattono la produttività dei terreni. Infine la concorrenza delle produzioni da Paese extra UE.
Che sia crisi grave non c’è dubbio. Che a rischio siano migliaia di posti di lavoro anche. E non bisogna trascurare che terreni lasciati incolti, inselvatichiti, non sono sempre un vantaggio ecologico: possono rappresentare un rischio idrogeologico, alimentare incendi di vaste proporzioni.
Credo che la rabbia sia ancora molto contenuta, anche perché le principali associazioni agricole, Coldiretti in testa, hanno tenuto un profilo basso. Organizzazioni sindacali che troppo spesso si riducono ad agenzie che, a caro prezzo, “fanno le pratiche” e così mantengono una vasta burocrazia interna.
Si sono messe in primo piano le proteste contro il green deal europeo per contrastare i cambiamenti climatici e il degrado ambientale. Secondo la Commissione UE è “un’ancora di salvezza e trasformerà l’UE in un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, garantendo che nel 2050 non siano più generate emissioni di gas a effetto serra e che la crescita economica venga dissociata dall’uso delle risorse”. Insomma, “entro il 2050 l’Europa sarà il primo continente a impatto climatico zero”.
Non discuto il fatto che la riduzione di pesticidi e altri prodotti possa essere un fatto positivo. È di questi giorni l’iniziativa in Francia di una rete di ricercatori nel campo delle scienze umane e sociali che lavorano sui pesticidi: 140 scienziati che protestano contro la ritirata del governo Attal sul piano Ecophyto per soddisfare i sindacati agricoli. Sottolineano che la nocività dei pesticidi è un fatto scientifico.
Ma allora bisogna essere conseguenti. Se l’uso di certi prodotti chimici è un grave pericolo per la salute e l’ambiente, lo è in tutto il mondo e va scoraggiato dovunque si pratichi, non solo in Europa: bisognerebbe quindi sbarrare del tutto le porte per prodotti in arrivo da Paesi dove certi divieti e controlli non ci sono.
Inoltre vanno previsti incentivi, sussidi, premi consistenti perché si vada in questa direzione. Non piccole mance che non compensano il crollo del reddito per aziende che da tempo producono al limite della sopravvivenza. Anche i contributi previsti dai PSR (Piani di sviluppo regionali) sono una percentuale di rimborso di investimenti che abbisognano di utili per essere fatti. E poi i soldi arrivano mesi dopo.
Così la riduzione delle tasse sugli utili, sempre positiva, pesa se c’è reddito. Altrimenti cade nel vuoto.
E non mi inoltro nelle enormi differenze di costo del lavoro: chi conosce il mondo agricolo sa che i lavoratori provenienti da certi Paesi, penso ad esempio ai vendemmiatori dal Montenegro o dalla Macedonia, facendo per alcuni mesi la raccolta di uva o frutta in Italia, in nero o no, anche a solo 5 euro all’ora, guadagnano più del reddito che gli assicura coltivare il loro podere tutto l’anno.
Conosco il mondo dei produttori di nocciole, so quanto le grandi aziende, Ferrero in testa, importano da Turchia o dal Caucaso e da altri Paesi, i prezzi in discesa per il prodotto italiano con i costi in salita, i tempi di pagamento del prodotto che possono essere di molti mesi.
Insomma un groviglio di problemi e di interessi divergenti, con le grandi industrie, i grossisti, la grande distribuzione che moltiplicano gli utili tutto a scapito degli agricoltori.
Sentendo però i nostri politici, di qualsiasi colore, mi pare prevalga la propaganda spicciola, la poca conoscenza dei problemi.
Scriveva sconfortato Luigi Einaudi nel suo saggio dal significativo titolo Prediche inutili: “Come si può deliberare senza conoscere?… Nulla, tuttavia, repugna più della conoscenza a molti, forse a troppi di coloro che sono chiamati a risolvere problemi”. Non mi sembra che le cose siano molto cambiate.
In questi anni ci sono stati forti aumenti dei costi di produzione: nel 2023 sono cresciuti i prezzi delle sementi (+12,9%), dei prodotti fitosanitari (+8,8%) e dei prodotti energetici (+1,6%). Incrementi ancora più pesanti nel 2022. Prendiamo il dato italiano: il prezzo medio dei beni e dei servizi impiegati in agricoltura ha subito un incremento del 25,3%, che si assommava a un +9% del 2021. Nel 2022 sono cresciuti fortemente soprattutto i costi di fertilizzanti (+63,4%), prodotti energetici (+49,7%), acque irrigue (+39%) e alimenti per animali (+25,1%). Un fenomeno di portata eccezionale e senza precedenti negli ultimi decenni. Ad aggravare la situazione c’è l’esplosione di malattie delle piante praticamente incurabili, come la xilella, che ha già seccato migliaia di ulivi, e la flavescenza dorata che distrugge i vigneti.
Queste le cifre veramente impressionanti che hanno in molti casi azzerato il reddito degli agricoltori. A tutto ciò bisogna sommare prima i problemi legati al Covid e poi la siccità e il caldo record che abbattono la produttività dei terreni. Infine la concorrenza delle produzioni da Paese extra UE.
Che sia crisi grave non c’è dubbio. Che a rischio siano migliaia di posti di lavoro anche. E non bisogna trascurare che terreni lasciati incolti, inselvatichiti, non sono sempre un vantaggio ecologico: possono rappresentare un rischio idrogeologico, alimentare incendi di vaste proporzioni.
Credo che la rabbia sia ancora molto contenuta, anche perché le principali associazioni agricole, Coldiretti in testa, hanno tenuto un profilo basso. Organizzazioni sindacali che troppo spesso si riducono ad agenzie che, a caro prezzo, “fanno le pratiche” e così mantengono una vasta burocrazia interna.
Si sono messe in primo piano le proteste contro il green deal europeo per contrastare i cambiamenti climatici e il degrado ambientale. Secondo la Commissione UE è “un’ancora di salvezza e trasformerà l’UE in un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, garantendo che nel 2050 non siano più generate emissioni di gas a effetto serra e che la crescita economica venga dissociata dall’uso delle risorse”. Insomma, “entro il 2050 l’Europa sarà il primo continente a impatto climatico zero”.
Non discuto il fatto che la riduzione di pesticidi e altri prodotti possa essere un fatto positivo. È di questi giorni l’iniziativa in Francia di una rete di ricercatori nel campo delle scienze umane e sociali che lavorano sui pesticidi: 140 scienziati che protestano contro la ritirata del governo Attal sul piano Ecophyto per soddisfare i sindacati agricoli. Sottolineano che la nocività dei pesticidi è un fatto scientifico.
Ma allora bisogna essere conseguenti. Se l’uso di certi prodotti chimici è un grave pericolo per la salute e l’ambiente, lo è in tutto il mondo e va scoraggiato dovunque si pratichi, non solo in Europa: bisognerebbe quindi sbarrare del tutto le porte per prodotti in arrivo da Paesi dove certi divieti e controlli non ci sono.
Inoltre vanno previsti incentivi, sussidi, premi consistenti perché si vada in questa direzione. Non piccole mance che non compensano il crollo del reddito per aziende che da tempo producono al limite della sopravvivenza. Anche i contributi previsti dai PSR (Piani di sviluppo regionali) sono una percentuale di rimborso di investimenti che abbisognano di utili per essere fatti. E poi i soldi arrivano mesi dopo.
Così la riduzione delle tasse sugli utili, sempre positiva, pesa se c’è reddito. Altrimenti cade nel vuoto.
E non mi inoltro nelle enormi differenze di costo del lavoro: chi conosce il mondo agricolo sa che i lavoratori provenienti da certi Paesi, penso ad esempio ai vendemmiatori dal Montenegro o dalla Macedonia, facendo per alcuni mesi la raccolta di uva o frutta in Italia, in nero o no, anche a solo 5 euro all’ora, guadagnano più del reddito che gli assicura coltivare il loro podere tutto l’anno.
Conosco il mondo dei produttori di nocciole, so quanto le grandi aziende, Ferrero in testa, importano da Turchia o dal Caucaso e da altri Paesi, i prezzi in discesa per il prodotto italiano con i costi in salita, i tempi di pagamento del prodotto che possono essere di molti mesi.
Insomma un groviglio di problemi e di interessi divergenti, con le grandi industrie, i grossisti, la grande distribuzione che moltiplicano gli utili tutto a scapito degli agricoltori.
Sentendo però i nostri politici, di qualsiasi colore, mi pare prevalga la propaganda spicciola, la poca conoscenza dei problemi.
Scriveva sconfortato Luigi Einaudi nel suo saggio dal significativo titolo Prediche inutili: “Come si può deliberare senza conoscere?… Nulla, tuttavia, repugna più della conoscenza a molti, forse a troppi di coloro che sono chiamati a risolvere problemi”. Non mi sembra che le cose siano molto cambiate.
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