Riletto con pacatezza e ponderato con la necessaria attenzione, il messaggio di fine anno del Presidente Mattarella rivela, a maggior ragione, una ricchezza ormai desueta e pressoché introvabile nel resto dell’attuale scenario politico e istituzionale. Una ricchezza che si chiama “consistenza”, nel senso in cui questo termine ricorre anche nel linguaggio scientifico. Laddove significa coerenza interna e non contraddittorietà.
Un “sistema”, qualunque esso sia, anche un programma oppure l’ architettura concettuale di un discorso politico è “consistente” se, muovendo da determinati presupposti, si sviluppa in un complesso di deduzioni, nessuna delle quali è contraddetta da nessuna delle altre. Esattamente il contrario di quanto avviene oggi nella generalità della comunicazione politica, dominata o da chiacchiere scomposte o da brani penosamente recitati a memoria, in posa inamidata, scanditi con una intonazione da scolaretti alle prime armi, per lo più dai “sottopancia” dei leader, come se ne vedono tutti i giorni nei telegiornali.
Dichiarazioni nelle quali spesso la ricerca del contraddittorio e della contrapposizione a prescindere, dunque la rincorsa alla battuta e l’ immagine ad effetto, fino all’ invettiva oppure l’ esaltazione stentorea e gratuita delle “opere del regime” prevalgono sull’ argomentazione e sulla comunicazione di un concetto. A loro volta, i talk-show, di fatto, umiliano la politica, la “volgarizzano” nel senso peggiore del termine, cioè la banalizzano e la rivestono di un rissosità chiassosa che sconcerta il telespettatore, costretto nella nuda passività di un ascolto che non ammette replica o commento, come succede nei confronti a viso aperto di un dialogo che non sia virtuale e posticcio, ma vivo e reale.
Per un verso impongono un linguaggio frammentato, per altro verso accavallano confusamente una voce sull’ altra, mischiano temi, contenuti ed argomenti, senza che consentano di rintracciare un filo logico e sensato che connetta un’ affermazione all’altra.
Al contrario, tutto si tiene nel linguaggio del Presidente. L’unitarietà composta del suo discorso nulla toglie al ventaglio ampio dei versanti che ha toccato, anzi ne illumina ciascuno nella visione complessiva che li ricomprende tutti. La differenza con il chiacchiericcio che ci viene quotidianamente somministrato sta tutta lì: da una parte c’è a monte, una cultura politica, un pensiero strutturato, coeso e forte ( su cui è necessario tornare), dall’ altra l’improvvisazione e la contingenza di posizioni politiche arrembanti che vivono in una sorta di perenne “carpe diem” applicato alla politica, incapace perfino di formare una classe politica dirigente che sia all’ altezza, non si dice – per carità – dei leader, ma neppure dei militanti di base dei partiti di una volta.
Ci sono fior di parlamentari, e addirittura ministri o sottosegretari, che nella DC o nel PCI non sarebbero mai diventati segretari neppure di una sezione periferica.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Un “sistema”, qualunque esso sia, anche un programma oppure l’ architettura concettuale di un discorso politico è “consistente” se, muovendo da determinati presupposti, si sviluppa in un complesso di deduzioni, nessuna delle quali è contraddetta da nessuna delle altre. Esattamente il contrario di quanto avviene oggi nella generalità della comunicazione politica, dominata o da chiacchiere scomposte o da brani penosamente recitati a memoria, in posa inamidata, scanditi con una intonazione da scolaretti alle prime armi, per lo più dai “sottopancia” dei leader, come se ne vedono tutti i giorni nei telegiornali.
Dichiarazioni nelle quali spesso la ricerca del contraddittorio e della contrapposizione a prescindere, dunque la rincorsa alla battuta e l’ immagine ad effetto, fino all’ invettiva oppure l’ esaltazione stentorea e gratuita delle “opere del regime” prevalgono sull’ argomentazione e sulla comunicazione di un concetto. A loro volta, i talk-show, di fatto, umiliano la politica, la “volgarizzano” nel senso peggiore del termine, cioè la banalizzano e la rivestono di un rissosità chiassosa che sconcerta il telespettatore, costretto nella nuda passività di un ascolto che non ammette replica o commento, come succede nei confronti a viso aperto di un dialogo che non sia virtuale e posticcio, ma vivo e reale.
Per un verso impongono un linguaggio frammentato, per altro verso accavallano confusamente una voce sull’ altra, mischiano temi, contenuti ed argomenti, senza che consentano di rintracciare un filo logico e sensato che connetta un’ affermazione all’altra.
Al contrario, tutto si tiene nel linguaggio del Presidente. L’unitarietà composta del suo discorso nulla toglie al ventaglio ampio dei versanti che ha toccato, anzi ne illumina ciascuno nella visione complessiva che li ricomprende tutti. La differenza con il chiacchiericcio che ci viene quotidianamente somministrato sta tutta lì: da una parte c’è a monte, una cultura politica, un pensiero strutturato, coeso e forte ( su cui è necessario tornare), dall’ altra l’improvvisazione e la contingenza di posizioni politiche arrembanti che vivono in una sorta di perenne “carpe diem” applicato alla politica, incapace perfino di formare una classe politica dirigente che sia all’ altezza, non si dice – per carità – dei leader, ma neppure dei militanti di base dei partiti di una volta.
Ci sono fior di parlamentari, e addirittura ministri o sottosegretari, che nella DC o nel PCI non sarebbero mai diventati segretari neppure di una sezione periferica.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Una visione realista ed equilibrata.
Purtroppo c’è ancora troppa “pancia” nel popolo italiano e questi discorsi NON si capiscono.
La vera domanda è quale sarà il nostro futuro?