Dunque, ci risiamo con il suk arabo. La vicenda delle candidature, degli incroci nella quota proporzionale e nella scelta dei collegi uninominali vincenti, ripropone il capitolo della fatidica designazione centralistica dei candidati da parte di ogni partito. Soprattutto quando questa designazione coincide con le giornate di Ferragosto. Del resto, lo diciamo da ormai molto tempo e da molto tempo è un tema del tutto irrisolto. E cioè, l’impossibilità – o meglio la non volontà – di ridare la voce ai cittadini/elettori attraverso il varo di una riforma elettorale degna di questo nome.
Per l’ennesima volta, infatti, ci troviamo di fronte ad uno scenario dove due soli criteri la fanno da padrone: quello della fedeltà al capo partito da un lato e quello della brutale rappresentanza correntizia dall’altro. Due criteri che nulla centrano con la competenza, il radicamento territoriale, l’espressività sociale e, non ultimo, la “professionalità” della politica. Insomma, da anni denunciamo – tutti, partiti, organi di informazione, intellettuali, opinionisti e commentatori – la debolezza strutturale della nostra classe dirigente e la sua sostanziale incapacità di ergersi a guida autorevole e qualificata del paese e poi si fa di tutto per bloccare una riforma che almeno cerca, seppur con scarsa possibilità di successo,di invertire quella rotta. E, pertanto, la selezione e la promozione della classe dirigente politica continua ad avvenire all’insegna dei criteri che quotidianamente denunciamo e combattiamo.
Ora, ci si trova di fronte all’ennesima competizione elettorale del tutto impotenti e anche un po’ rassegnati. Ovvero, il giorno dopo la compilazione centralistica delle liste già sapremo – senza sbagliarsi granchè – chi saranno i futuri eletti e chi saranno i sicuri sconfitti o trombati. E questo perchè, anche attraverso gli ormai quotidiani sondaggi, conosciamo in forte anticipo il peso dei vari partiti e, di conseguenza, i potenziali eletti di quella lista proporzionale nelle varie circoscrizioni e i vincenti dei collegi uninominali. Tutto è già certificato. Anzi, per essere ancora più precisi e dettagliati, il giorno dopo la compilazione delle liste i candidati possono anche fare a meno di cimentarsi con la campagna nazionale elettorale perchè già si sa la potenziale e futura composizione delle Camere. Salvo miracoli – sempre possibili, per carità – addebitabili ad eventi straordinari ed imprevedibili. Ma, appunto, proprio perchè imprevedibili sono del tutto fuori della norma.
Insomma, anche questa volta pagheremo le conseguenze della debolezza della politica. O meglio, della esplicita volontà dei capi partito di continuare a designarsi i propri eletti. C’è una sola speranza, al riguardo. Ed è quella che i capi partito scelgano al meglio la futura rappresentanza democratica. Perchè altrimenti sarebbe difficile, estremamente difficile, denunciare giustamente le malefatte e lo squallore del populismo grillino e poi continuare tranquillamente a praticare quella degenerazione. Ovvero, continuare ad avere una rappresentanza parlamentare disciplinata unicamente ed esclusivamente dalla fedeltà, dalla logica tribale della spartizione delle varie tribù correntizie e dalla sostanziale debolezza delle singole personalità politiche. Sarebbe, ancora una volta,il trionfo dell’anti politica, del qualunquismo, della demagogia e del pressappochismo. Ovvero, per dirla in altri termini, della vulgata populista che tutti diciamo, almeno a parole, di combattere e di voler definitivamente sradicare dal tessuto democratico del nostro paese.
Per l’ennesima volta, infatti, ci troviamo di fronte ad uno scenario dove due soli criteri la fanno da padrone: quello della fedeltà al capo partito da un lato e quello della brutale rappresentanza correntizia dall’altro. Due criteri che nulla centrano con la competenza, il radicamento territoriale, l’espressività sociale e, non ultimo, la “professionalità” della politica. Insomma, da anni denunciamo – tutti, partiti, organi di informazione, intellettuali, opinionisti e commentatori – la debolezza strutturale della nostra classe dirigente e la sua sostanziale incapacità di ergersi a guida autorevole e qualificata del paese e poi si fa di tutto per bloccare una riforma che almeno cerca, seppur con scarsa possibilità di successo,di invertire quella rotta. E, pertanto, la selezione e la promozione della classe dirigente politica continua ad avvenire all’insegna dei criteri che quotidianamente denunciamo e combattiamo.
Ora, ci si trova di fronte all’ennesima competizione elettorale del tutto impotenti e anche un po’ rassegnati. Ovvero, il giorno dopo la compilazione centralistica delle liste già sapremo – senza sbagliarsi granchè – chi saranno i futuri eletti e chi saranno i sicuri sconfitti o trombati. E questo perchè, anche attraverso gli ormai quotidiani sondaggi, conosciamo in forte anticipo il peso dei vari partiti e, di conseguenza, i potenziali eletti di quella lista proporzionale nelle varie circoscrizioni e i vincenti dei collegi uninominali. Tutto è già certificato. Anzi, per essere ancora più precisi e dettagliati, il giorno dopo la compilazione delle liste i candidati possono anche fare a meno di cimentarsi con la campagna nazionale elettorale perchè già si sa la potenziale e futura composizione delle Camere. Salvo miracoli – sempre possibili, per carità – addebitabili ad eventi straordinari ed imprevedibili. Ma, appunto, proprio perchè imprevedibili sono del tutto fuori della norma.
Insomma, anche questa volta pagheremo le conseguenze della debolezza della politica. O meglio, della esplicita volontà dei capi partito di continuare a designarsi i propri eletti. C’è una sola speranza, al riguardo. Ed è quella che i capi partito scelgano al meglio la futura rappresentanza democratica. Perchè altrimenti sarebbe difficile, estremamente difficile, denunciare giustamente le malefatte e lo squallore del populismo grillino e poi continuare tranquillamente a praticare quella degenerazione. Ovvero, continuare ad avere una rappresentanza parlamentare disciplinata unicamente ed esclusivamente dalla fedeltà, dalla logica tribale della spartizione delle varie tribù correntizie e dalla sostanziale debolezza delle singole personalità politiche. Sarebbe, ancora una volta,il trionfo dell’anti politica, del qualunquismo, della demagogia e del pressappochismo. Ovvero, per dirla in altri termini, della vulgata populista che tutti diciamo, almeno a parole, di combattere e di voler definitivamente sradicare dal tessuto democratico del nostro paese.
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