La guerra russo-ucraina ha sconvolto il mondo. Certo, molti sanno che ci sono molti conflitti in altri Paesi che vengono sistematicamente censurati dai grandi organi di informazione. E, sotto questo versante, è inutile fingere che non esistono e concentrare l’attenzione solo e soltanto su alcune guerre. Ovvero, quelle che riscuotono maggior scandalo mediatico e su cui si vuole richiamare maggiormente l’attenzione. Una contraddizione che non può non farci riflettere…
Ora, però, al di là delle motivazioni – misteriose sino ad un certo punto, come tutti sappiamo… – sulle guerre che vengono descritte ed analizzate a fondo e in tutti i dettagli e quelle che vengono sistematicamente taciute, è indubbio che uno dei temi che merita di essere approfondito lungo questo versante è il rapporto che intercorre tra la guerra e i cattolici. O meglio, come i cattolici, seppur nella loro multiforme e pluralistica espressione e composizione, pensano, vivono e affrontano il capitolo drammatico e complesso dello scontro bellico. Un rapporto difficile perché, purtroppo, continuiamo ad assistere ad una radicale dissociazione tra ciò che predicano il Papa, i vescovi, i sacerdoti, la stampa cattolica, i movimenti ecclesiali e religiosi e ciò che, invece, concretamente pensano e decidono i cattolici impegnati nelle istituzioni. Locali come nazionali.
Certo, nella politica come nelle istituzioni democratiche esiste l’assunzione di responsabilità personale dei cattolici impegnati nel pubblico. Frutto di una concezione che affonda le sue radici nella laicità dell’azione politica, nel rispetto delle istituzioni democratiche e nelle decisioni autonome che prescindono dal condizionamento – diretto o indiretto – delle autorità ecclesiastiche. E questo perchè il clericalismo e il confessionalismo sono due derive che restano estranee ed esterne alla lezione conciliare e allo stesso insegnamento della Chiesa Cattolica.
Detto questo, comunque sia, non possiamo non rilevare che esiste ormai una divaricazione politica crescente e profonda tra ciò che sta predicando oggi la Chiesa – in particolare gli interventi ripetuti di Francesco e di molti alti prelati – e ciò che decidono concretamente i cattolici impegnati in politica. Sia quelli che sono impegnati nei partiti governisti e di potere come il Partito Democratico e sia quelli che, storicamente, si collocano all’opposizione e si riconoscono più in una prospettiva politica populista o sovranista. Una dissociazione, però, che non può non fare riflettere. Anche perché se questa divaricazione tra ciò che si professa e poi come si agisce concretamente e laicamente cresce progressivamente e addirittura si consolida attorno ad un tema peraltro decisivo per la comune convivenza e per lo stesso ordine nazionale, europeo ed internazionale come la guerra o i rapporti tra i popoli, è di tutta evidenza che si corre il rischio che una politica di ispirazione cristiana si inaridisca sempre di più e forse anche definitivamente.
Un rischio, cioè, che mette in discussione la stessa specificità della presenza politica e culturale dei cattolici. In questo caso dei cattolici italiani. Certo, anche nel passato non mancavano questa dicotomia e questa difficoltà di relazione. Se non addirittura di sostanziale incomunicabilità. Ma il contesto storico era molto diverso e meno conflittuale. Oggi, invece, si è preso tranquillamente atto che tutto ciò che arriva dal magistero della Chiesa si rispetta ma, al contempo, si può farne tranquillamente a meno. Ovvero, una sorta di grande rispetto per un insegnamento che, però, non può che essere un mero richiamo testimoniale. E poco più.
Per questi motivi, proprio partendo dalla guerra russo-ucraina e tutto ciò che comporta e determina questo conflitto nell’economia regionale ed internazionale e anche e soprattutto nel futuro assetto politico mondiale, è indubbio che il rapporto tra i cattolici e l’impegno politico si fa sempre più difficile e complesso. Nello specifico, cresce la sensazione che ormai i cattolici impegnati in politica vanno in una direzione e il magistero della Chiesa in un’altra. Una dissociazione che non può non preoccupare chi crede ancora nella tradizione del cattolicesimo politico, democratico e sociale e che ha contribuito in modo decisivo a fare crescere e consolidare la democrazia nel nostro paese. E che non può, al contempo, non suggerire una domanda profonda e di merito. Sul versante della coerenza, dei contenuti e della lettura della società.
Ora, però, al di là delle motivazioni – misteriose sino ad un certo punto, come tutti sappiamo… – sulle guerre che vengono descritte ed analizzate a fondo e in tutti i dettagli e quelle che vengono sistematicamente taciute, è indubbio che uno dei temi che merita di essere approfondito lungo questo versante è il rapporto che intercorre tra la guerra e i cattolici. O meglio, come i cattolici, seppur nella loro multiforme e pluralistica espressione e composizione, pensano, vivono e affrontano il capitolo drammatico e complesso dello scontro bellico. Un rapporto difficile perché, purtroppo, continuiamo ad assistere ad una radicale dissociazione tra ciò che predicano il Papa, i vescovi, i sacerdoti, la stampa cattolica, i movimenti ecclesiali e religiosi e ciò che, invece, concretamente pensano e decidono i cattolici impegnati nelle istituzioni. Locali come nazionali.
Certo, nella politica come nelle istituzioni democratiche esiste l’assunzione di responsabilità personale dei cattolici impegnati nel pubblico. Frutto di una concezione che affonda le sue radici nella laicità dell’azione politica, nel rispetto delle istituzioni democratiche e nelle decisioni autonome che prescindono dal condizionamento – diretto o indiretto – delle autorità ecclesiastiche. E questo perchè il clericalismo e il confessionalismo sono due derive che restano estranee ed esterne alla lezione conciliare e allo stesso insegnamento della Chiesa Cattolica.
Detto questo, comunque sia, non possiamo non rilevare che esiste ormai una divaricazione politica crescente e profonda tra ciò che sta predicando oggi la Chiesa – in particolare gli interventi ripetuti di Francesco e di molti alti prelati – e ciò che decidono concretamente i cattolici impegnati in politica. Sia quelli che sono impegnati nei partiti governisti e di potere come il Partito Democratico e sia quelli che, storicamente, si collocano all’opposizione e si riconoscono più in una prospettiva politica populista o sovranista. Una dissociazione, però, che non può non fare riflettere. Anche perché se questa divaricazione tra ciò che si professa e poi come si agisce concretamente e laicamente cresce progressivamente e addirittura si consolida attorno ad un tema peraltro decisivo per la comune convivenza e per lo stesso ordine nazionale, europeo ed internazionale come la guerra o i rapporti tra i popoli, è di tutta evidenza che si corre il rischio che una politica di ispirazione cristiana si inaridisca sempre di più e forse anche definitivamente.
Un rischio, cioè, che mette in discussione la stessa specificità della presenza politica e culturale dei cattolici. In questo caso dei cattolici italiani. Certo, anche nel passato non mancavano questa dicotomia e questa difficoltà di relazione. Se non addirittura di sostanziale incomunicabilità. Ma il contesto storico era molto diverso e meno conflittuale. Oggi, invece, si è preso tranquillamente atto che tutto ciò che arriva dal magistero della Chiesa si rispetta ma, al contempo, si può farne tranquillamente a meno. Ovvero, una sorta di grande rispetto per un insegnamento che, però, non può che essere un mero richiamo testimoniale. E poco più.
Per questi motivi, proprio partendo dalla guerra russo-ucraina e tutto ciò che comporta e determina questo conflitto nell’economia regionale ed internazionale e anche e soprattutto nel futuro assetto politico mondiale, è indubbio che il rapporto tra i cattolici e l’impegno politico si fa sempre più difficile e complesso. Nello specifico, cresce la sensazione che ormai i cattolici impegnati in politica vanno in una direzione e il magistero della Chiesa in un’altra. Una dissociazione che non può non preoccupare chi crede ancora nella tradizione del cattolicesimo politico, democratico e sociale e che ha contribuito in modo decisivo a fare crescere e consolidare la democrazia nel nostro paese. E che non può, al contempo, non suggerire una domanda profonda e di merito. Sul versante della coerenza, dei contenuti e della lettura della società.
Egr. G. Merlo,
coerenza di contenuti e lettura della società? Nessun cattolico credo contesti la ricerca della pace, come più volte richiesto dal Papa. Questo è il programma di fondo, pregnante e sempre attuale del cattolicesimo. Ricerca sottolineo, non realizzazione avvenuta. Ma la realtà è ben diversa dai desiderata e il Regno non è ancora attuato appieno e l’uomo continua a comportarsi nello stesso modo. C’è sempre in azione l’ homo homini lupus, che significa ora Putin con aggressione, stragi e distruzioni. Di fronte all’aggressore il cattolico singolo può accettare la propria morte per evitare quella del nemico. Ma diverso se si tratta di salvare la vita dei fratelli, più o meno congiunti. Nel caso credo che sia dovere ed atto di amore del cattolico e di chiunque intervenire per difendere anche se ciò comporta la soppressione del nemico. Lei lascerebbe uccidere i suoi per non uccidere l’aggressore? E i predicatori di pace senza se e senza ma, ovunque si trovino nelle basse e nelle alte sfere della Chiesa e della politica, lascerebbero uccidere i propri genitori, le proprie mogli e i propri figli?
Il resto mi dà molto la sensazione di aria fritta.