L’interesse del Paese avrebbe richiesto la riconferma di Mattarella al Quirinale. So bene che il Presidente non ne vuole sapere: lo ha detto in mille modi. Ma proprio il suo ultimo sobrio e forte discorso di fine anno dimostra che questa sarebbe stata per il Parlamento la scelta più giusta. L’ipotesi è ormai archiviata? Probabilmente si. Ma, come si dice, “spes, ultima dea”.
Il fatto è che la riconferma di Mattarella non sarebbe stata (e non sarebbe) motivata dalla sostanziale incapacità di convergere su un nome diverso, come accadde nel 2013 con Napolitano. Sarebbe stata (e sarebbe) piuttosto il frutto di una consapevolezza: la sua missione è – oggettivamente – a metà del guado. E ciò conta molto di più della prassi (peraltro, come sappiamo, non prevista espressamente dalla Costituzione) in tema di non rieleggibilitá dei Presidenti della Repubblica. Mi riferisco alla missione di “garantire” l’uscita dalla lunga e travagliata crisi della Repubblica (prima e seconda, per usare termini gettonati) a fronte delle trasformazioni radicali, inedite e repentine degli assetti sociali, politici ed economici che il Covid ha solo accelerato.
Le ultime tre Legislature – con i diversi Governi, quasi mai espressione di maggioranze politiche decise dal voto degli elettori – hanno reso palese una crisi strutturale delle nostre Istituzioni e del nostro sistema politico che ha radici antiche. La continuità della Presidenza Mattarella era (è) forse l’unica strada per aiutare il sistema a chiudere questa incompiuta transizione. Allo stesso modo, a metà del guado è anche la missione del Premier Draghi. Lo sarà alla fine di questa Legislatura; lo è a maggior ragione adesso. Le scommesse economiche, sociali ed amministrative che il Governo e il Parlamento hanno lanciato in chiave interna ed europea sono vitali, ambiziose e tutt’altro che scontate. Anzi.
Il PNNR da troppi viene inteso come una mera opportunità di risorse finanziarie aggiuntive (invero in larga parte da restituire, essendo prestiti) e non invece come vincolo irreversibile per una vera modernizzazione del Paese e per il recupero di un suo sentiero di responsabilità civica e fin anche morale. Scommesse che, nei prossimi anni, saranno tutte ancora “calde” e richiederanno concentrazione, volontà riformatrice, leadership e convinto consenso popolare. La continuità necessaria, a mio parere, dei due Presidenti si intreccia dunque con una questione di fondo, quasi preliminare: la rigenerazione della Politica: delle sue culture, della sua capacità di rappresentanza; delle sue regole (anche elettorali).
Mattarella è oggi un punto di equilibrio tra il sistema e il sentire popolare. E Draghi non interpreta affatto una istanza “anti politica”. Semmai, è una sorta di antibiotico che il sistema ha accettato per curare l’infezione populista che l’aveva da anni colpito. Ma, come sappiamo, interrompere la cura antibiotica prima del tempo comporta effetti tutt’altro che salutari. Serve tempo alla Politica italiana per ritrovare se stessa e le sue ragioni fondative. È il tempo che serve alla nostra Democrazia per rigenerare le sue virtù, dopo la follia di questi tempi, vissuti come se merito, competenza, responsabilità diffusa, senso del dovere, capacità di visione, vocazione al servizio del Bene Comune fossero ormai orpelli di un passato da abiurare. Ed invece proprio le sfide della modernità richiedono questi talenti come basi da coltivare e valorizzare. Nella politica e nella vita sociale.
Una interruzione di questo percorso sarebbe esiziale per gli interessi del Paese e per la stessa Europa, che ha bisogno di una Italia forte e rinnovata. E sarebbe esiziale per la politica italiana, che rischierebbe di essere fagocitata nel vortice delle proprie fragili, consumate dinamiche. Purtroppo è mancato fin qui il coraggio di accompagnare l’Agenda Draghi con un’Agenda di riforme del sistema politico ed elettorale. Sarebbe stato (sarebbe) questo il vero, plausibile viatico per un Mattarella Bis da parte di un Parlamento che ha votato una banale e sciocca riduzione del numero dei propri componenti (obolo offerto al Dio della semplificazione demagogica) con l’impegno ad una riforma elettorale, poi svanito nella nebbia.
Una quarta Legislatura di seguito costretta a cambiare governi ogni anno e mezzo e a ricercare poi l’ennesima “soluzione di salvezza nazionale” non sarebbe tollerabile per la nostra Democrazia e per gli interessi del Paese nel nuovo contesto globale. Molto meglio adottare un sistema proporzionale con alta soglia di sbarramento, che responsabilizzi le varie componenti politiche (ognuna chiamata a rigenerare il proprio riferimento culturale ed ideale ed il proprio rapporto con il popolo) e che ponga le basi per un patto parlamentare a favore di un Governo Draghi anche per la prossima Legislatura. La quale sarà decisiva – come tutti dovrebbero sapere – per intraprendere in modo irreversibile il sentiero della ripresa del Paese. Solo così l’Agenda Draghi potrà diventare la vera Agenda Italia, oltre ogni percezione solamente “tecnica” e potrà fondarsi su quella rinnovata alleanza tra tutte le aree democratiche, popolari, riformatrici ed europeiste che l’attuale sistema politico- elettorale – di fatto – non consente.
Tra l’ormai improbabile “governo di schieramento” figlio del vecchio sistema maggioritario e l’irrituale ed emergenziale “Governo di salute pubblica”, esiste la terza via di un Governo parlamentare di coalizione tra le forze che vogliono veramente cambiare in profondità il Paese senza abiurarne le radici europeiste ed i valori di coesione e solidarietà. Un sussulto di consapevolezza e di coraggio dei partiti – iniziando dal PD, per finire agli ambienti più responsabili del centro destra e passando per la oggi dispersa galassia del centro – sarebbe un atto di vero servizio al futuro possibile – ma non scontato – dell’Italia.
I segnali non sono affatto buoni, ma – come detto – la speranza è l’ultima a morire.
Il fatto è che la riconferma di Mattarella non sarebbe stata (e non sarebbe) motivata dalla sostanziale incapacità di convergere su un nome diverso, come accadde nel 2013 con Napolitano. Sarebbe stata (e sarebbe) piuttosto il frutto di una consapevolezza: la sua missione è – oggettivamente – a metà del guado. E ciò conta molto di più della prassi (peraltro, come sappiamo, non prevista espressamente dalla Costituzione) in tema di non rieleggibilitá dei Presidenti della Repubblica. Mi riferisco alla missione di “garantire” l’uscita dalla lunga e travagliata crisi della Repubblica (prima e seconda, per usare termini gettonati) a fronte delle trasformazioni radicali, inedite e repentine degli assetti sociali, politici ed economici che il Covid ha solo accelerato.
Le ultime tre Legislature – con i diversi Governi, quasi mai espressione di maggioranze politiche decise dal voto degli elettori – hanno reso palese una crisi strutturale delle nostre Istituzioni e del nostro sistema politico che ha radici antiche. La continuità della Presidenza Mattarella era (è) forse l’unica strada per aiutare il sistema a chiudere questa incompiuta transizione. Allo stesso modo, a metà del guado è anche la missione del Premier Draghi. Lo sarà alla fine di questa Legislatura; lo è a maggior ragione adesso. Le scommesse economiche, sociali ed amministrative che il Governo e il Parlamento hanno lanciato in chiave interna ed europea sono vitali, ambiziose e tutt’altro che scontate. Anzi.
Il PNNR da troppi viene inteso come una mera opportunità di risorse finanziarie aggiuntive (invero in larga parte da restituire, essendo prestiti) e non invece come vincolo irreversibile per una vera modernizzazione del Paese e per il recupero di un suo sentiero di responsabilità civica e fin anche morale. Scommesse che, nei prossimi anni, saranno tutte ancora “calde” e richiederanno concentrazione, volontà riformatrice, leadership e convinto consenso popolare. La continuità necessaria, a mio parere, dei due Presidenti si intreccia dunque con una questione di fondo, quasi preliminare: la rigenerazione della Politica: delle sue culture, della sua capacità di rappresentanza; delle sue regole (anche elettorali).
Mattarella è oggi un punto di equilibrio tra il sistema e il sentire popolare. E Draghi non interpreta affatto una istanza “anti politica”. Semmai, è una sorta di antibiotico che il sistema ha accettato per curare l’infezione populista che l’aveva da anni colpito. Ma, come sappiamo, interrompere la cura antibiotica prima del tempo comporta effetti tutt’altro che salutari. Serve tempo alla Politica italiana per ritrovare se stessa e le sue ragioni fondative. È il tempo che serve alla nostra Democrazia per rigenerare le sue virtù, dopo la follia di questi tempi, vissuti come se merito, competenza, responsabilità diffusa, senso del dovere, capacità di visione, vocazione al servizio del Bene Comune fossero ormai orpelli di un passato da abiurare. Ed invece proprio le sfide della modernità richiedono questi talenti come basi da coltivare e valorizzare. Nella politica e nella vita sociale.
Una interruzione di questo percorso sarebbe esiziale per gli interessi del Paese e per la stessa Europa, che ha bisogno di una Italia forte e rinnovata. E sarebbe esiziale per la politica italiana, che rischierebbe di essere fagocitata nel vortice delle proprie fragili, consumate dinamiche. Purtroppo è mancato fin qui il coraggio di accompagnare l’Agenda Draghi con un’Agenda di riforme del sistema politico ed elettorale. Sarebbe stato (sarebbe) questo il vero, plausibile viatico per un Mattarella Bis da parte di un Parlamento che ha votato una banale e sciocca riduzione del numero dei propri componenti (obolo offerto al Dio della semplificazione demagogica) con l’impegno ad una riforma elettorale, poi svanito nella nebbia.
Una quarta Legislatura di seguito costretta a cambiare governi ogni anno e mezzo e a ricercare poi l’ennesima “soluzione di salvezza nazionale” non sarebbe tollerabile per la nostra Democrazia e per gli interessi del Paese nel nuovo contesto globale. Molto meglio adottare un sistema proporzionale con alta soglia di sbarramento, che responsabilizzi le varie componenti politiche (ognuna chiamata a rigenerare il proprio riferimento culturale ed ideale ed il proprio rapporto con il popolo) e che ponga le basi per un patto parlamentare a favore di un Governo Draghi anche per la prossima Legislatura. La quale sarà decisiva – come tutti dovrebbero sapere – per intraprendere in modo irreversibile il sentiero della ripresa del Paese. Solo così l’Agenda Draghi potrà diventare la vera Agenda Italia, oltre ogni percezione solamente “tecnica” e potrà fondarsi su quella rinnovata alleanza tra tutte le aree democratiche, popolari, riformatrici ed europeiste che l’attuale sistema politico- elettorale – di fatto – non consente.
Tra l’ormai improbabile “governo di schieramento” figlio del vecchio sistema maggioritario e l’irrituale ed emergenziale “Governo di salute pubblica”, esiste la terza via di un Governo parlamentare di coalizione tra le forze che vogliono veramente cambiare in profondità il Paese senza abiurarne le radici europeiste ed i valori di coesione e solidarietà. Un sussulto di consapevolezza e di coraggio dei partiti – iniziando dal PD, per finire agli ambienti più responsabili del centro destra e passando per la oggi dispersa galassia del centro – sarebbe un atto di vero servizio al futuro possibile – ma non scontato – dell’Italia.
I segnali non sono affatto buoni, ma – come detto – la speranza è l’ultima a morire.
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