Il recente esito referendario nel lombardo-veneto ci dice, tra molte altre cose, che la cosiddetta "questione settentrionale" continua a essere interpretata e rappresentata, prevalentemente, dalla Lega e dai movimenti ad essa collegati. Così era nel 1994 all'indomani della liquidazione dei partiti della Prima Repubblica per l'ondata di Tangentopoli culminata con la vittoria della coppia Berlusconi-Bossi, e così resta oggi dopo oltre vent'anni da quella stagione. Una stagione caratterizzata, tra l'altro, sia da governi di centrodestra sia da esecutivi di centrosinistra.
Ma il trend culturale, sociale, economico e politico non si è discostato granché. E proprio il voto referendario del 22 ottobre ne è stata la plastica conferma. E la questione settentrionale, in un contesto politico dominato dalla personalizzazione, si identifica anche e soprattutto nei volti e nei personaggi. Sotto questo versante spicca la figura di Luca Zaia che ricorda, per molti aspetti, la vecchia DC dorotea del Nord-Est, fatta da bravi amministratori locali e da politici profondamente radicati nei territori, difensori dei loro interessi sociali e culturali. Ma, rispetto a quella stagione, oggi sperimentiamo, ancora una volta, il "silenzio" e la latitanza delle forze di centrosinistra, che dimostrano di non saper interpretare quelle istanze e quelle esigenze.
Una latitanza che rischia di avere pesanti ricadute anche nella ormai prossima campagna elettorale nazionale. È quasi una “non notizia” prendere atto che – come ormai ci dicono diversi sondaggi – nell'area che va dalla Liguria al Trentino, passando per Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, il centrosinistra rischia di perdere quasi tutti, se non tutti, i collegi uninominali della Camera e del Senato.
Ora, il tema di fondo su cui sinistra e centrosinistra devono riflettere è sul perché la questione settentrionale è di fatto appannaggio del centrodestra e della Lega in particolare. Com'é possibile che una forza riformista, democratica e formalmente di sinistra come il PD non riesca a intercettare esigenze che partono proprio da territori che esprimono modernità culturale, progresso economico e avanzamento sociale? Com'é possibile che il "forzaleghismo" continui imperterrito a essere quasi l'unico interlocutore politico di una fascia territoriale che traina lo sviluppo e il progresso del nostro Paese?
È inutile girarci attorno. Questo ritardo politico e culturale è una palla al piede per una forza politica e per una coalizione che puntano a dare una guida riformista al Paese ma che poi stentano ad essere specchio di quel lembo di territorio. Purtroppo si deve prendere atto, anche amaramente, che l'elaborazione politica e la proposta di governo dell'intero centrosinistra continuano a difettare nella capacità di saper unire la domanda di autonomia e di federalismo che sale da quei territori con l'esigenza, altrettanto importante e decisiva, di solidarismo e di sussidiarietà che caratterizzano le forze politiche ispirate a quel patrimonio culturale. E sin quando non si riesce a essere interlocutori su temi che attengono anche alla miglior eredità del popolarismo di ispirazione sturziana – penso, tra l'altro, al capitolo dell'autonomia impositiva e alla tassazione locale – è pressoché inutile ergersi a paladini di quel "riformismo dinamico" che si predica da anni. Non possiamo dimenticare, tra l'altro, che proprio la Lega Nord continua a raccogliere una mole di consensi malgrado il cambiamento di posizione e di orizzonte strategico: dall'autonomia fiscale e amministrativa alla secessione territoriale, dall'indipendentismo al federalismo amministrativo e regolamentare. Cambiamenti di prospettiva e di orizzonte che, però , non hanno mai interrotto o indebolito il consenso verso i lidi leghisti o comunque riconducibili al centrodestra.
E quindi, di conseguenza, non c'é affatto da stupirsi se alle prossime elezioni politiche il centrosinistra rischia un nuovo, ennesimo, "cappotto" elettorale. Purtroppo, come capita spesso in politica, quando non si riesce a interpretare e a farsi carico di determinati interessi culturali, sociali e elettorali, la conseguenza concreta è quella di pagarla politicamente.
Salvo miracoli dell'ultima ora, sarà quello che capiterà al centrosinistra alle elezioni della prossima primavera nel Nord del Paese.
Ma il trend culturale, sociale, economico e politico non si è discostato granché. E proprio il voto referendario del 22 ottobre ne è stata la plastica conferma. E la questione settentrionale, in un contesto politico dominato dalla personalizzazione, si identifica anche e soprattutto nei volti e nei personaggi. Sotto questo versante spicca la figura di Luca Zaia che ricorda, per molti aspetti, la vecchia DC dorotea del Nord-Est, fatta da bravi amministratori locali e da politici profondamente radicati nei territori, difensori dei loro interessi sociali e culturali. Ma, rispetto a quella stagione, oggi sperimentiamo, ancora una volta, il "silenzio" e la latitanza delle forze di centrosinistra, che dimostrano di non saper interpretare quelle istanze e quelle esigenze.
Una latitanza che rischia di avere pesanti ricadute anche nella ormai prossima campagna elettorale nazionale. È quasi una “non notizia” prendere atto che – come ormai ci dicono diversi sondaggi – nell'area che va dalla Liguria al Trentino, passando per Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, il centrosinistra rischia di perdere quasi tutti, se non tutti, i collegi uninominali della Camera e del Senato.
Ora, il tema di fondo su cui sinistra e centrosinistra devono riflettere è sul perché la questione settentrionale è di fatto appannaggio del centrodestra e della Lega in particolare. Com'é possibile che una forza riformista, democratica e formalmente di sinistra come il PD non riesca a intercettare esigenze che partono proprio da territori che esprimono modernità culturale, progresso economico e avanzamento sociale? Com'é possibile che il "forzaleghismo" continui imperterrito a essere quasi l'unico interlocutore politico di una fascia territoriale che traina lo sviluppo e il progresso del nostro Paese?
È inutile girarci attorno. Questo ritardo politico e culturale è una palla al piede per una forza politica e per una coalizione che puntano a dare una guida riformista al Paese ma che poi stentano ad essere specchio di quel lembo di territorio. Purtroppo si deve prendere atto, anche amaramente, che l'elaborazione politica e la proposta di governo dell'intero centrosinistra continuano a difettare nella capacità di saper unire la domanda di autonomia e di federalismo che sale da quei territori con l'esigenza, altrettanto importante e decisiva, di solidarismo e di sussidiarietà che caratterizzano le forze politiche ispirate a quel patrimonio culturale. E sin quando non si riesce a essere interlocutori su temi che attengono anche alla miglior eredità del popolarismo di ispirazione sturziana – penso, tra l'altro, al capitolo dell'autonomia impositiva e alla tassazione locale – è pressoché inutile ergersi a paladini di quel "riformismo dinamico" che si predica da anni. Non possiamo dimenticare, tra l'altro, che proprio la Lega Nord continua a raccogliere una mole di consensi malgrado il cambiamento di posizione e di orizzonte strategico: dall'autonomia fiscale e amministrativa alla secessione territoriale, dall'indipendentismo al federalismo amministrativo e regolamentare. Cambiamenti di prospettiva e di orizzonte che, però , non hanno mai interrotto o indebolito il consenso verso i lidi leghisti o comunque riconducibili al centrodestra.
E quindi, di conseguenza, non c'é affatto da stupirsi se alle prossime elezioni politiche il centrosinistra rischia un nuovo, ennesimo, "cappotto" elettorale. Purtroppo, come capita spesso in politica, quando non si riesce a interpretare e a farsi carico di determinati interessi culturali, sociali e elettorali, la conseguenza concreta è quella di pagarla politicamente.
Salvo miracoli dell'ultima ora, sarà quello che capiterà al centrosinistra alle elezioni della prossima primavera nel Nord del Paese.
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