Non si tratta d’insistere più di tanto sull’odioso portato “anti-mediazione” della propaganda grillina. Complice la crisi del Movimento, la pubblica opinione è avvertita dei danni che essa ha prodotto nel tempo. Conta invece rilevare che il PD assume con Letta il medesimo profilo “radicale”. Con ciò siamo ben lontani dalla migliore esperienza democratico cristiana.
La cosiddetta “cultura della mediazione” è, storicamente, uno dei capisaldi costitutivi del cattolicesimo politico italiano. E proprio attorno alla “cultura della mediazione”, per dirla con il grande storico cattolico democratico, Pietro Scoppola, noi abbiamo potuto registrare le qualità e le capacità delle classi dirigenti del passato. Nello specifico, della classi dirigenti di governo. Non a caso fu proprio la Democrazia cristiana, in particolare le componenti interne riconducibili alla sinistra democristiana, a farsi protagonista e artefice di questa modalità concreta del far politica nel costruire, di volta in volta, la miglior sintesi possibile per il bene del Paese.
Certo, la “cultura della mediazione” è figlia di una concezione politica che respinge alla radice qualsiasi forma di radicalizzazione del confronto; è estranea alla tesi della criminalizzazione dell’avversario, cioè del nemico politico; non prevede la delegittimazione morale e politica dell’interlocutore e, soprattutto, cerca sempre la miglior sintesi politica possibile non attraverso un compromesso al ribasso ma, semmai, con una “mediazione alta”, appunto.
Ecco, questa modalità concreta di ricercare le ragioni di una convergenza, pur senza alcuna deviazione consociativa o, peggio ancora, trasformistica, è la conseguenza di una precisa cultura politica. Non a caso, i grandi statisti democratici cristiani del passato, e non solo, non praticavano questa prassi per conservare il solo potere o per ridicolizzare l’avversario politico di turno. Al contrario, era la strada migliore per la ricerca di una convergenza politica e parlamentare che restava l’obiettivo finale della stessa azione politica. Anche in stagioni dove la contrapposizione politica e parlamentare era all’ordine del giorno e caratterizzava il confronto tra i vari partiti.
Ora, che cosa resta di tutto ciò nell’attuale contesto politico italiano? Certo, siamo ancora – speriamo per poco, comunque sia – in una stagione politica dominata dal populismo, dal trasformismo e dall’opportunismo politico e parlamentare. È persin inutile ricordare che in contesti del genere la “cultura della mediazione” resta un corpo del tutto estraneo se non addirittura un oggettivo impedimento da radere al suolo per poter declinare concretamente l’azione politica. E, non a caso, l’ideologia grillina, ora condivisa e sposata dal nuovo corso del Partito Democratico di Letta, non prevede questa prassi nella gestione politica complessiva.
I totem ideologici di quel partito, il Movimento 5 Stelle appunto, ormai li conosciamo talmente bene che non è granché credibile la tesi di rimuoverli saltuariamente dal confronto politico quotidiano. “Dall’uno vale uno” alla ridicolizzazione politica del passato, dalla contestazione a tutte le culture politiche alternative al populismo alla demagogia e alla deriva antiparlamentare, da una spregiudicata antipolitica alla violenza verbale. Dal “vaffa day” in poi. È ovvio che la “cultura della mediazione” in un quadro del genere non abbia diritto di cittadinanza. Il tutto aggravato da una voglia, persin violenta – almeno a livello verbale – di delegittimare definitivamente e irreversibilmente l’avversario politico in qualsiasi modo e con qualsiasi strumento. E, su questo versante, la specificità culturale di un grande patrimonio politico del passato – quello del cattolicesimo popolare e democratico, appunto – non può che essere sacrificato sull’altare delle nuove mode.
Se, però, non stupiscono affatto il comportamento e la prassi dei 5 Stelle – un partito estraneo ed esterno alla cultura politica e parlamentare delle tradizionali forze politiche del nostro Paese – quello che incuriosisce è il cosiddetto “nuovo corso” di quei partiti, a cominciare dal PD e da chi lo rappresenta, che hanno fatto della distruzione della “cultura della mediazione” quasi la loro ragion d’essere. Forse in virtù del fatto che per stringere un’alleanza storica, organica e strutturale con i 5 Stelle non si può che assecondarne la loro cultura e il loro concreto modo d’essere. Un elemento, questo, talmente evidente e palpabile che non merita ulteriori commenti.
E la vicenda politica, parlamentare e legislativa dell’ormai famosissima “legge Zan” non è che la plateale sintesi di questa impostazione. Al punto che la ricerca di una mediazione, o di un accordo, o di un confronto viene visto e percepito quasi come un attentato alla attuale dialettica politica e parlamentare. E quindi da respingere senza esitazione al mittente. E questo al di là delle posizioni di Renzi che, com’è noto e ormai scontato, sono sempre e solo del tutto strumentali, estranee e lontane dal merito della questione. Ma questo è un altro paio di maniche.
Spiace rilevare, infine, che anche su questo versante emerge una grave carenza della presenza pubblica dei cattolici democratici e popolari. Un motivo in più, quindi, per accelerare le ragioni della presenza di quest’area culturale nella concreta dialettica politica italiana.
La cosiddetta “cultura della mediazione” è, storicamente, uno dei capisaldi costitutivi del cattolicesimo politico italiano. E proprio attorno alla “cultura della mediazione”, per dirla con il grande storico cattolico democratico, Pietro Scoppola, noi abbiamo potuto registrare le qualità e le capacità delle classi dirigenti del passato. Nello specifico, della classi dirigenti di governo. Non a caso fu proprio la Democrazia cristiana, in particolare le componenti interne riconducibili alla sinistra democristiana, a farsi protagonista e artefice di questa modalità concreta del far politica nel costruire, di volta in volta, la miglior sintesi possibile per il bene del Paese.
Certo, la “cultura della mediazione” è figlia di una concezione politica che respinge alla radice qualsiasi forma di radicalizzazione del confronto; è estranea alla tesi della criminalizzazione dell’avversario, cioè del nemico politico; non prevede la delegittimazione morale e politica dell’interlocutore e, soprattutto, cerca sempre la miglior sintesi politica possibile non attraverso un compromesso al ribasso ma, semmai, con una “mediazione alta”, appunto.
Ecco, questa modalità concreta di ricercare le ragioni di una convergenza, pur senza alcuna deviazione consociativa o, peggio ancora, trasformistica, è la conseguenza di una precisa cultura politica. Non a caso, i grandi statisti democratici cristiani del passato, e non solo, non praticavano questa prassi per conservare il solo potere o per ridicolizzare l’avversario politico di turno. Al contrario, era la strada migliore per la ricerca di una convergenza politica e parlamentare che restava l’obiettivo finale della stessa azione politica. Anche in stagioni dove la contrapposizione politica e parlamentare era all’ordine del giorno e caratterizzava il confronto tra i vari partiti.
Ora, che cosa resta di tutto ciò nell’attuale contesto politico italiano? Certo, siamo ancora – speriamo per poco, comunque sia – in una stagione politica dominata dal populismo, dal trasformismo e dall’opportunismo politico e parlamentare. È persin inutile ricordare che in contesti del genere la “cultura della mediazione” resta un corpo del tutto estraneo se non addirittura un oggettivo impedimento da radere al suolo per poter declinare concretamente l’azione politica. E, non a caso, l’ideologia grillina, ora condivisa e sposata dal nuovo corso del Partito Democratico di Letta, non prevede questa prassi nella gestione politica complessiva.
I totem ideologici di quel partito, il Movimento 5 Stelle appunto, ormai li conosciamo talmente bene che non è granché credibile la tesi di rimuoverli saltuariamente dal confronto politico quotidiano. “Dall’uno vale uno” alla ridicolizzazione politica del passato, dalla contestazione a tutte le culture politiche alternative al populismo alla demagogia e alla deriva antiparlamentare, da una spregiudicata antipolitica alla violenza verbale. Dal “vaffa day” in poi. È ovvio che la “cultura della mediazione” in un quadro del genere non abbia diritto di cittadinanza. Il tutto aggravato da una voglia, persin violenta – almeno a livello verbale – di delegittimare definitivamente e irreversibilmente l’avversario politico in qualsiasi modo e con qualsiasi strumento. E, su questo versante, la specificità culturale di un grande patrimonio politico del passato – quello del cattolicesimo popolare e democratico, appunto – non può che essere sacrificato sull’altare delle nuove mode.
Se, però, non stupiscono affatto il comportamento e la prassi dei 5 Stelle – un partito estraneo ed esterno alla cultura politica e parlamentare delle tradizionali forze politiche del nostro Paese – quello che incuriosisce è il cosiddetto “nuovo corso” di quei partiti, a cominciare dal PD e da chi lo rappresenta, che hanno fatto della distruzione della “cultura della mediazione” quasi la loro ragion d’essere. Forse in virtù del fatto che per stringere un’alleanza storica, organica e strutturale con i 5 Stelle non si può che assecondarne la loro cultura e il loro concreto modo d’essere. Un elemento, questo, talmente evidente e palpabile che non merita ulteriori commenti.
E la vicenda politica, parlamentare e legislativa dell’ormai famosissima “legge Zan” non è che la plateale sintesi di questa impostazione. Al punto che la ricerca di una mediazione, o di un accordo, o di un confronto viene visto e percepito quasi come un attentato alla attuale dialettica politica e parlamentare. E quindi da respingere senza esitazione al mittente. E questo al di là delle posizioni di Renzi che, com’è noto e ormai scontato, sono sempre e solo del tutto strumentali, estranee e lontane dal merito della questione. Ma questo è un altro paio di maniche.
Spiace rilevare, infine, che anche su questo versante emerge una grave carenza della presenza pubblica dei cattolici democratici e popolari. Un motivo in più, quindi, per accelerare le ragioni della presenza di quest’area culturale nella concreta dialettica politica italiana.
Noto una certa insistenza che non convince, anzi distrae e fuorvia. Giorgio Merlo reitera i suoi mugugni sul tramonto di quella politica della mediazione, che è stata la base della filosofia politica del cosiddetto centro e della sua incarnazione nella politica concreta della D.C. Tramonto che gli appare così illogico da fargli ritenere inevitabile, prima o poi, la rinascita del centro.
A parte il fatto che nel corso dell’ultimo secolo molti filosofi politici e sociologi hanno dimostrato come spesso la mediazione nasconda le contraddizioni senza risolverle; è pur vero nel tempo che viviamo è emerso un ulteriore problema, ovvero le difficoltà delle crisi economiche, il succedersi sempre più ravvicinato di quelle finanziarie e di quelle ambientali; tanto che poi si è visto l’aggravarsi e il radicalizzarsi delle questioni sociali, da quella occupazionale a quella salariale, a quella ambientale.
Tutte cause e leve materiali di crescenti disuguaglianze. Sono questi grandi problemi a non aver ricevuto risposta, sicché la linea verticale che separava destra e sinistra si è infine trasformata nella linea orizzontale di separazione tra sopra e sotto, tra “noi e loro”, tra quelli di prima e quelli di adesso, in un nuovo rapporto “primordiale” di rappresentanza.
Detto ciò, appare chiaro come il compromesso oggi si ponga sul terreno sociale, cioè nel cuore stesso del rapporto di rappresentanza e non tra una sinistra e una destra di un singolo partito o dell’intero arco costituzionale. A questa novità, senza fantasie e approssimazioni bisogna dare una risposta adeguata.
È bene che tu rilegga meglio l’articolo. Forse l’hai fatto con troppa fretta.
Per raggiungere mediazioni costruttive ed insperate dobbiamo assolutamente aprirci al dialogo come sistema attivo e virtuoso, che per essere efficace deve penetrare in tutte le attività che costituiscono la vita politica. Anteporre dialoghi positivi e costruttivi essenzialmente con la Comunità Europea, per affrontare e risolvere il devastante fenomeno dell’Immigrazione clandestina, un dramma enorme che molto bene ha fatto Giuseppe LADETTO, il 23 Giugno 2021, a riproporci sinteticamente il giudizio che Stephen Smith, ha presentato nel suo libro: “Fuga in Europa (Einaudi 2018). La giovane Africa verso il vecchio Continente”, un tema trattato non soltanto sulla base dei dati numerici attuali, ma estendendo lo sguardo ai prossimi decenni. Un problema primario per la stessa sopravvivenza del Creato, perciò non va sottovalutato e visto solo in termini d’emergenza caritatevole, ma come un fenomeno da affrontare in modo radicale, individuando soluzioni efficaci, immediate e a basso costo, con riguardo alla sicurezza circolare, in primis contro la diffusione di potenziali pandemie collegate all’incontrollata e disordinata globalizzazione. E’ bene sapere, che in tal senso, ho aperto un dialogo con la Commissione Europea, 1049 Brussels, BELGIO Tel. + 32 22991111 Ylva.Johasson@ec.europa.eu – Nacira.Boulehouat@ec.europa.eu, perciò sarebbe buona cosa la creazione di un gruppo di studio, che prenda a modello il libro di Stephen Smith. Conosco l’Africa equatoriale, una polveriera pronta ad esplodere, ho realizzato in quei luoghi grandi progetti per diversi anni, a tal proposito servono riferimenti validi per mettere in atto potenti deterrenti atti a trattenere in Africa i potenziali emigranti. Spero in un vostro favorevole e fattivo giudizio.