Perché Mattarella dovrebbe restare al Quirinale



Editoriale Politica Insieme    2 Giugno 2021       1

È comprensibile che il presidente Mattarella guardi alla conclusione del suo settennato presidenziale con la giusta e meritata aspettativa di un “riposo” come lui stesso lo ha definito, dopo che l’Italia ha potuto attraversare, conservando indenne il proprio ordinamento democratico, una fase drammatica dovuta alla pandemia ed una complessa, a tratti indecifrabile, stagione politico-istituzionale, soprattutto grazie all’equilibrio che, dal Quirinale, ha saputo trasmettere al Paese, attraverso un’azione rigorosamente attenta al dettato costituzionale, ad un tempo pacata e prudente, determinata e ferma ogni qual volta la situazione lo ha richiesto.

Il Presidente ha alluso più volte all’unicità del mandato presidenziale – adombrandone, almeno in un’occasione, una sorta di implicita costituzionalità – perché, pur mettendo in conto anche la motivazione dovuta al suo scrupoloso rispetto delle istituzioni, non si debba accogliere la sua dichiarata indisponibilità ad un secondo mandato, con altrettanto rispetto.

Eppure, anche chi contrasta ogni forma di leaderismo e di personalizzazione della politica, quando si tratta del ruolo monocratico che corrisponde al più alto magistero dello Stato, sa che la dimensione morale, la cultura istituzionale, l’attitudine politica, in una parola la statura personale, l’attendibilità e l’autorevolezza di chi ricopra quella carica, è un fattore decisivo e da cui non si può prescindere.

Succede, peraltro, che talvolta sia in sé il corso degli eventi, la loro evoluzione, il fatto che siano inscritti in un processo tuttora non giunto a conclusione, a ritagliare – al di là delle legittime attese personali di chi vi sia coinvolto – determinati compiti in capo a chi può, nell’ottica del bene comune, corrispondervi meglio.

Talvolta, a livelli così alti di competenza e di responsabilità, può succedere di essere “abitati”, proprio malgrado, da un compito, difficilmente ricusabile e tanto più pertinente, quanto più strida con ogni ambizione personale, anzi esiga il sacrificio della propria personale propensione.

Stiamo entrando nel semestre bianco, la legislatura prevede la sua fisiologica conclusione nel 2023, non sappiamo ancora con quale legge elettorale andremo alle urne per eleggere un Parlamento ridotto nel numero degli eletti e, probabilmente, nell’efficacia della rappresentanza. Vi sono, altresì, delicatissimi problemi attinenti la stessa struttura dello Stato, in particolare, come l’emergenza sanitaria ha posto in luce, nel rapporto tra il Governo centrale e le Regioni che, a loro volta saranno chiamate al voto, a ridosso delle prossime elezioni politiche. Altre questioni dirimenti concernono l’Europa, il Mediterraneo, il più vasto contesto internazionale.

Temi sui quali la responsabilità dei subentranti e cangianti governi dei prossimi anni non potrà fare a meno della costante attenzione del Quirinale e della credibilità personale che l’inquilino del Colle sarà in grado di riscuotere sul piano delle relazioni internazionale a garanzia del Paese.

Occorre che, via via ci avviciniamo alla scadenza del prossimo febbraio, cresca nel Paese e nella classe politica la consapevolezza di quale debba il profilo ideale del prossimo Presidente. Se non fosse per il timore di mancare di rispetto nei suoi confronti, da molti italiani si leverebbe a Sergio Mattarella un accorato appello perché accetti la fatica di addossarsi ancora una fatica improba, ma di cui l’Italia ha bisogno e gliene sarebbe grata.

Non per alchimie o tatticismi che abbiano a che vedere con l’intricato calendario dei prossimi anni, ma perché un Paese che, al di là del classico e tradizionale riformismo, sogna l’alba di una stagione di “trasformazione” non può fare a meno di un baricentro forte.

Come testimonia, del resto, l’attuale quadro politico che solo l’autorevole e rude monito del Presidente ha potuto comporre attorno ad un impegno, pur sempre dialettico, ma condiviso e comune.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


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