Il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha affermato, in un’intervista a “la Repubblica” di domenica 15 novembre, che l’ipotesi di cancellazione del debito pubblico degli Stati membri dell’Ue contratto durante la pandemia di Covid-19 «è un’ipotesi di lavoro interessante, da conciliare con il principio cardine della sostenibilità del debito» stesso.
In un articolo pubblicato su “Avvenire” il 15 ottobre, ho sostenuto che in un momento eccezionale come questo la remissione da parte della Banca centrale europea del debito contratto dai Paesi membri durante la pandemia sarebbe una misura possibile e auspicabile per evitare di aggravare il carico delle generazioni presenti e future già duramente provate dalla pandemia.
La cancellazione parziale del debito è un evento non infrequente nella storia anche recente, non solo per i Paesi poveri o emergenti, ma anche per le nazioni ad alto reddito. In un bel lavoro di ricerca una tra le maggiori esperte mondiali in materia di debito e politiche fiscali, Carmen Reinhardt, analizza assieme al suo coautore, Christoph Trebesch, 48 casi di cancellazione parziale del debito accaduti nel Ventesimo secolo che riguardano Paesi ad alto reddito tra le due guerre e Paesi poveri o emergenti dopo la seconda guerra mondiale. I risultati del lavoro sottolineano effetti positivi e significativi su stock e servizio del debito, PIL pro capite negli anni successivi e assenza di peggioramento nel successivo rating creditizio. Le evidenze raccolte indicano anche che forme più drastiche di cancellazione parziale dello stock di debito hanno effetti migliori di interventi più soft come riduzioni di tasso e allungamento delle scadenze. La differenza sostanziale tra questi eventi storici, non così infrequenti, e la proposta di cui si discute oggi è che il creditore non sarebbe uno Stato sovrano ma la Banca Centrale Europea che detiene al momento una quota elevata di titoli di debito pubblico degli Stati membri a seguito di politiche monetarie non convenzionali che sembravano fino a qualche tempo fa tabù.
Per valutare la fattibilità di una proposta di questo tipo bisogna riflettere sugli effetti generati su diverse dimensioni: l’impatto sul bilancio della BCE e le conseguenti ricadute sulla fiducia dei mercati finanziari nel creditore (BCE) e nella reputazione sulla sua indipendenza, ricadute che potrebbero avere conseguenze sul tasso di cambio dell’euro. Fondamentale, poi, valutarne gli effetti in materia di variazione delle masse monetarie e delle conseguenze sull’inflazione e quelli non solo su performance economica e condizione finanziaria del debitore ma anche sulla tentazione a comportamenti “lassisti” futuri (il fenomeno del moral hazard). Sono timori che si possono superare con meccanismi di cancellazione del debito progressivi nel tempo e legati al raggiungimento di obiettivi (che è esattamente il principio del Next Generation Eu e del Recovery Fund se sostituiamo la cancellazione del debito con la disponibilità di risorse finanziarie).
Da considerare anche un’altra differenza sostanziale rispetto a molti episodi di cancellazione caratterizzati dal default del debitore. In questo caso l’evento non sarebbe affatto scatenato dall’urgenza di salvare il debitore perché, nonostante i livelli elevati, i debiti sono solvibili e non ci sono in questo momento, anche e soprattutto grazie alla protezione dell’ombrello BCE, particolari motivi di allarme sui mercati finanziari. Sarebbe il creditore, unilateralmente e indipendentemente dalle condizioni della controparte, a prendere questa decisione ritenendo tale debito una partita straordinaria non generata da politiche fiscali “lassiste”.
Bisogna inoltre ragionare su proposte o iniziative simili sollevate in questi ultimi tempi e valutarne le differenze (dal piano PADRE di Wyplosz fino alla proposta di titoli irredimibili garantiti dalla BCE di Giavazzi e Tabellini). A partire dal fatto che la BCE sta da tempo usando politiche non convenzionali e che il roll over (acquisto e rinnovo dell’acquisto a scadenza) di una quota rilevante di titoli del debito pubblico di ciascun Paese membro con la restituzione degli interessi corrispondono di fatto a forme di cancellazione parziale del debito con alcune piccole ma importanti differenze. La BCE è libera di revocare questa politica in qualunque momento e, a differenza di una cancellazione del debito, rende per il debitore necessario tornare ogni volta sui mercati a rinnovare quel determinato ammontare. Se la BCE non fosse impegnata permanentemente a riacquistare quel debito, si libererebbe altra domanda riequilibrando a favore del debitore il rapporto con l’offerta di titoli.
Le conseguenze della decisione di cancellazione parziale sul bilancio della BCE andrebbero valutate con attenzione. Le perdite di poste all’attivo dovrebbero essere compensate dal valore futuro atteso delle entrate da signoraggio (come già discusso da Wyplosz col piano PADRE). Parte di queste entrate viene trasferita dalle Banche centrali nazionali ai Governi. Non per questo la cancellazione sarebbe una partita di giro. Si potrebbe lasciare il meccanismo del signoraggio così com’è, rendendo lento nel tempo il recupero delle risorse oppure ridurre la quota trasferita agli Stati membri, creando in questo caso un principio di corresponsabilità e attenuando il rischio di moral hazard.
Inoltre, se è vero che una Banca centrale che stampa moneta non può fallire in principio, è anche vero che perdita di reputazione/fiducia che si riflette sul valore della moneta e crescita dell’inflazione sono due limiti fondamentali all’onnipotenza della sua azione. La reputazione della BCE, la straordinarietà dell’evento e le condizioni dei mercati relativamente al rischio inflazione fanno pensare che un esperimento di cancellazione del debito realizzato oggi e legato all’evento straordinario della pandemia non avrebbe un impatto particolarmente negativo su questi punti deboli. La lezione del recente passato insegna che in un sistema con forte concorrenza globale aumenti consistenti di masse monetarie aumentano i prezzi delle attività finanziarie piuttosto che quelli dei beni e servizi dell’economia reale.
Il 22 ottobre 2014 pubblicammo su questo giornale un appello sottoscritto da 340 colleghi economisti che parlava dell’Unione europea che avremmo voluto: quantitative easing, eurobond, politica fiscale comune, forme di cancellazione parziale del debito (piano PADRE). I critici risposero con tre “niet”: non si può fare, non si deve fare, la UE non lo farà mai. Ci sono voluti una drammatica crisi finanziaria e un virus per realizzare i primi tre punti e cominciare a ragionare sul quarto. Spesso accade purtroppo che si scelga finalmente di procedere in avanti con decisione solo quando dietro c’è un burrone o si sia con le spalle al muro.
(Tratto da www.avvenire.it)
In un articolo pubblicato su “Avvenire” il 15 ottobre, ho sostenuto che in un momento eccezionale come questo la remissione da parte della Banca centrale europea del debito contratto dai Paesi membri durante la pandemia sarebbe una misura possibile e auspicabile per evitare di aggravare il carico delle generazioni presenti e future già duramente provate dalla pandemia.
La cancellazione parziale del debito è un evento non infrequente nella storia anche recente, non solo per i Paesi poveri o emergenti, ma anche per le nazioni ad alto reddito. In un bel lavoro di ricerca una tra le maggiori esperte mondiali in materia di debito e politiche fiscali, Carmen Reinhardt, analizza assieme al suo coautore, Christoph Trebesch, 48 casi di cancellazione parziale del debito accaduti nel Ventesimo secolo che riguardano Paesi ad alto reddito tra le due guerre e Paesi poveri o emergenti dopo la seconda guerra mondiale. I risultati del lavoro sottolineano effetti positivi e significativi su stock e servizio del debito, PIL pro capite negli anni successivi e assenza di peggioramento nel successivo rating creditizio. Le evidenze raccolte indicano anche che forme più drastiche di cancellazione parziale dello stock di debito hanno effetti migliori di interventi più soft come riduzioni di tasso e allungamento delle scadenze. La differenza sostanziale tra questi eventi storici, non così infrequenti, e la proposta di cui si discute oggi è che il creditore non sarebbe uno Stato sovrano ma la Banca Centrale Europea che detiene al momento una quota elevata di titoli di debito pubblico degli Stati membri a seguito di politiche monetarie non convenzionali che sembravano fino a qualche tempo fa tabù.
Per valutare la fattibilità di una proposta di questo tipo bisogna riflettere sugli effetti generati su diverse dimensioni: l’impatto sul bilancio della BCE e le conseguenti ricadute sulla fiducia dei mercati finanziari nel creditore (BCE) e nella reputazione sulla sua indipendenza, ricadute che potrebbero avere conseguenze sul tasso di cambio dell’euro. Fondamentale, poi, valutarne gli effetti in materia di variazione delle masse monetarie e delle conseguenze sull’inflazione e quelli non solo su performance economica e condizione finanziaria del debitore ma anche sulla tentazione a comportamenti “lassisti” futuri (il fenomeno del moral hazard). Sono timori che si possono superare con meccanismi di cancellazione del debito progressivi nel tempo e legati al raggiungimento di obiettivi (che è esattamente il principio del Next Generation Eu e del Recovery Fund se sostituiamo la cancellazione del debito con la disponibilità di risorse finanziarie).
Da considerare anche un’altra differenza sostanziale rispetto a molti episodi di cancellazione caratterizzati dal default del debitore. In questo caso l’evento non sarebbe affatto scatenato dall’urgenza di salvare il debitore perché, nonostante i livelli elevati, i debiti sono solvibili e non ci sono in questo momento, anche e soprattutto grazie alla protezione dell’ombrello BCE, particolari motivi di allarme sui mercati finanziari. Sarebbe il creditore, unilateralmente e indipendentemente dalle condizioni della controparte, a prendere questa decisione ritenendo tale debito una partita straordinaria non generata da politiche fiscali “lassiste”.
Bisogna inoltre ragionare su proposte o iniziative simili sollevate in questi ultimi tempi e valutarne le differenze (dal piano PADRE di Wyplosz fino alla proposta di titoli irredimibili garantiti dalla BCE di Giavazzi e Tabellini). A partire dal fatto che la BCE sta da tempo usando politiche non convenzionali e che il roll over (acquisto e rinnovo dell’acquisto a scadenza) di una quota rilevante di titoli del debito pubblico di ciascun Paese membro con la restituzione degli interessi corrispondono di fatto a forme di cancellazione parziale del debito con alcune piccole ma importanti differenze. La BCE è libera di revocare questa politica in qualunque momento e, a differenza di una cancellazione del debito, rende per il debitore necessario tornare ogni volta sui mercati a rinnovare quel determinato ammontare. Se la BCE non fosse impegnata permanentemente a riacquistare quel debito, si libererebbe altra domanda riequilibrando a favore del debitore il rapporto con l’offerta di titoli.
Le conseguenze della decisione di cancellazione parziale sul bilancio della BCE andrebbero valutate con attenzione. Le perdite di poste all’attivo dovrebbero essere compensate dal valore futuro atteso delle entrate da signoraggio (come già discusso da Wyplosz col piano PADRE). Parte di queste entrate viene trasferita dalle Banche centrali nazionali ai Governi. Non per questo la cancellazione sarebbe una partita di giro. Si potrebbe lasciare il meccanismo del signoraggio così com’è, rendendo lento nel tempo il recupero delle risorse oppure ridurre la quota trasferita agli Stati membri, creando in questo caso un principio di corresponsabilità e attenuando il rischio di moral hazard.
Inoltre, se è vero che una Banca centrale che stampa moneta non può fallire in principio, è anche vero che perdita di reputazione/fiducia che si riflette sul valore della moneta e crescita dell’inflazione sono due limiti fondamentali all’onnipotenza della sua azione. La reputazione della BCE, la straordinarietà dell’evento e le condizioni dei mercati relativamente al rischio inflazione fanno pensare che un esperimento di cancellazione del debito realizzato oggi e legato all’evento straordinario della pandemia non avrebbe un impatto particolarmente negativo su questi punti deboli. La lezione del recente passato insegna che in un sistema con forte concorrenza globale aumenti consistenti di masse monetarie aumentano i prezzi delle attività finanziarie piuttosto che quelli dei beni e servizi dell’economia reale.
Il 22 ottobre 2014 pubblicammo su questo giornale un appello sottoscritto da 340 colleghi economisti che parlava dell’Unione europea che avremmo voluto: quantitative easing, eurobond, politica fiscale comune, forme di cancellazione parziale del debito (piano PADRE). I critici risposero con tre “niet”: non si può fare, non si deve fare, la UE non lo farà mai. Ci sono voluti una drammatica crisi finanziaria e un virus per realizzare i primi tre punti e cominciare a ragionare sul quarto. Spesso accade purtroppo che si scelga finalmente di procedere in avanti con decisione solo quando dietro c’è un burrone o si sia con le spalle al muro.
(Tratto da www.avvenire.it)
Un’analisi che non appare del tutto convincente. Lasciano un po’ perplessi le affermazioni di Becchetti che i “meccanismi di cancellazione del debito” debbano essere “progressivi nel tempo” e “legati al raggiungimento di obiettivi”. La prima perché una banca centrale non ha bisogno alcuno di recuperare “perdite” di moneta che non ha preso a prestito da alcuno ma ha creato ex nihilo essa stessa. La seconda perché la trasformazione del QE in perpetuity non richiede condizionalità di alcun tipo. Si fa e basta. Insistere nel porre condizioni rivela il proposito di far rientrare dalla finestra quel vincolo esterno che con i programmi straordinari della BCE viene invece cacciato dalla porta.