Tutti sappiamo, come ovvio, che il vento del populismo continua a soffiare nel nostro Paese. Al di là dello strame della coerenza dimostrata, in modo persin plateale, dai suoi alfieri e protagonisti in questi ultimi anni nella concreta azione politica e di governo, il populismo è ancora forte e potente. È bastato lo scandalo, squallido ma ben orchestrato e pianificato a livello politico e mediatico dalle forze e dagli sponsor del populismo nostrano, del bonus da 600 euro per rialimentare un clima antipolitico, antiparlamentare e, soprattutto, anti istituzionale – nel caso specifico contro l’istituto della democrazia rappresentativa a livello parlamentare – che spinge al Sì al referendum in modo convincente e persuasivo.
Ma, come ben sappiamo, il populismo non lo si combatte con le stesse armi di questa deriva ma solo e soltanto attraverso la forza della politica o, per dirla con Ciriaco De Mita, con la “categoria del pensiero”. E il prossimo referendum sul taglio dei parlamentari fortemente voluto e gettonato dai 5 Stelle, e al di là e al di fuori della qualità scadente e mediocre della stragrande maggioranza dell’attuale rappresentanza parlamentare, ci offre anche l’opportunità per spiegare e motivare le ragioni fondanti del No a difesa di un caposaldo del nostro ordinamento democratico e costituzionale. Un No che non risponde a ragioni pregiudiziali, a rivendicazioni nostalgiche o a motivazioni dettate da un puro conservatorismo istituzionale.
In gioco, come molti sanno anche se non osano ancora sfidare il conformismo dominante, è la difesa della democrazia rappresentativa contro la potenziale e progressiva riduzione degli spazi democratici. Perché quando si introduce il tema che la democrazia e i suoi istituti sono un mero costo per la comunità, è del tutto naturale che lo slogan di fondo diventa sempre di più “meno siamo e meglio stiamo”. Un meccanismo pericoloso e nefasto perché, se perseguito con coerenza e tenacia, non può che portare ad un progressivo restringimento della democrazia a tutti i suoi livelli.
E proprio la cultura cattolico democratica, cattolico popolare e cattolico sociale, storicamente e fortemente ancorata ai principi costituzionali e alla difesa del ruolo del Parlamento e delle sue prerogative e delle sue funzioni, non può non battere un colpo in vista della prossima contesa referendaria.
Ma lo può e lo deve fare attraverso una regia politica ed organizzativa il più possibile unitaria e condivisa. Solo con una rinnovata unità politica ed organizzativa di un mondo culturale frammentato e composito ma pur sempre unito attorno ai cosiddetti “fondamentali”, sarà possibile affrontare la marea populista nel prossimo dibattito referendario. Anche se sarà, per motivazioni facilmente comprensibili, un dibattito e un confronto alquanto monco e silenzioso, noi abbiamo il dovere di esserci.
Politicamente, culturalmente e organizzativamente.
Ma, come ben sappiamo, il populismo non lo si combatte con le stesse armi di questa deriva ma solo e soltanto attraverso la forza della politica o, per dirla con Ciriaco De Mita, con la “categoria del pensiero”. E il prossimo referendum sul taglio dei parlamentari fortemente voluto e gettonato dai 5 Stelle, e al di là e al di fuori della qualità scadente e mediocre della stragrande maggioranza dell’attuale rappresentanza parlamentare, ci offre anche l’opportunità per spiegare e motivare le ragioni fondanti del No a difesa di un caposaldo del nostro ordinamento democratico e costituzionale. Un No che non risponde a ragioni pregiudiziali, a rivendicazioni nostalgiche o a motivazioni dettate da un puro conservatorismo istituzionale.
In gioco, come molti sanno anche se non osano ancora sfidare il conformismo dominante, è la difesa della democrazia rappresentativa contro la potenziale e progressiva riduzione degli spazi democratici. Perché quando si introduce il tema che la democrazia e i suoi istituti sono un mero costo per la comunità, è del tutto naturale che lo slogan di fondo diventa sempre di più “meno siamo e meglio stiamo”. Un meccanismo pericoloso e nefasto perché, se perseguito con coerenza e tenacia, non può che portare ad un progressivo restringimento della democrazia a tutti i suoi livelli.
E proprio la cultura cattolico democratica, cattolico popolare e cattolico sociale, storicamente e fortemente ancorata ai principi costituzionali e alla difesa del ruolo del Parlamento e delle sue prerogative e delle sue funzioni, non può non battere un colpo in vista della prossima contesa referendaria.
Ma lo può e lo deve fare attraverso una regia politica ed organizzativa il più possibile unitaria e condivisa. Solo con una rinnovata unità politica ed organizzativa di un mondo culturale frammentato e composito ma pur sempre unito attorno ai cosiddetti “fondamentali”, sarà possibile affrontare la marea populista nel prossimo dibattito referendario. Anche se sarà, per motivazioni facilmente comprensibili, un dibattito e un confronto alquanto monco e silenzioso, noi abbiamo il dovere di esserci.
Politicamente, culturalmente e organizzativamente.
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