Periodicamente, e quando si vuole parlare della politica con la P maiuscola o della qualità della classe dirigente politica si fa quasi sempre un esplicito riferimento alla esperienza e alla storia della sinistra democristiana. Una esperienza che ha accompagnato, seppur con diverse forme e con modalità alterne, la storia cinquantennale della DC e che ancora oggi, attraverso i suoi vari leader cresciuti in quella comunità, condiziona e orienta la politica italiana. Seppur in assenza del partito di riferimento, la DC appunto.
Ora, almeno su tre fronti persiste la bruciante attualità della sinistra DC.
Innanzitutto la qualità, lo spessore e la valenza politica e culturale dei suoi leader. Nazionali e locali. È indubbio che molti leader e statisti della prima repubblica provengono dalle fila della sinistra democristiana. Leader che, anche con una percentuale minima di potere all’interno della DC, erano comunque in grado di condizionare e addirittura di guidare la strategia e la prospettiva dell’intero partito. Basti pensare alla sinistra sociale di Carlo Donat-Cattin che, con il 7-8% dei consensi nel partito era in grado di condizionare l’intera strategia politica della DC. Per non parlare della sinistra politica di Base i cui leader, da De Mita a Granelli, da Galloni ad Andreatta, da Tina Anselmi a Mino Martinazzoli erano considerati punti di riferimento ineludibili per l’intera esperienza DC nonchè leader politici capaci di imprimere una impronta determinante e alcune volte anche decisiva per la stessa qualità della democrazia italiana. Una classe dirigente nazionale che, però, era accompagnata anche da leadership locali altrettanto importanti e di qualità. Basti pensare ai sindaci delle medie/grandi città italiane e al loro magistero amministrativo e politico esercitato con qualità e autorevolezza per molti anni.
In secondo luogo la profondità del pensiero e la ricchezza di cultura politica che accompagnava quella straordinaria ed irripetibile esperienza. Le riviste, i tradizionali convegni politici e di approfondimento culturale di Saint Vincent, Chianciano, Belgirate, Lavarone e molte altre località che ricordano come quei convegni di studio, di analisi politica e soprattutto di proposta politica riuscivano a dettare l’agenda dell’intera politica italiana. E non solo della DC dove la presenza dorotea e moderata era comunque sempre forte e ragguardevole. Un luogo di elaborazione culturale, di progettualità politica concreta e di cultura di governo quasi irripetibile nella storia democratica del nostro paese. Non solo un laboratorio e, soprattutto, non solo un consesso di azione politica o, peggio ancora, di mera distribuzione di potere. No, un presidio di cultura politica e di azione politica che obbligava l’intera politica italiana a tenerne conto, a prescindere dalle varie collocazioni della sinistra DC nella geografia interna al partito. Maggioranza o minoranza faceva poca differenza. La sinistra DC era un punto di riferimento a prescindere dalla conclusione dei congressi e dai tatticismi di potere e dai vari posizionamenti nel partito. Comportamenti ed atteggiamenti validi ieri come oggi.
In ultimo la rappresentatività sociale, culturale e politica della sinistra DC. Nessuno poteva fare a meno della sinistra sociale di Carlo Donat-Cattin, e prima di Pastore. Lo ha detto più volte lo statista Aldo Moro, anche quando la maggioranza dorotea del tempo del partito non lo voleva o dopo la richiesta di esclusione dal Governo avanzata dal PCI durante le stagioni della solidarietà nazionale. Non si poteva e non si doveva fare perché Donat-Cattin rappresentava, appunto, un pezzo di società che garantiva la conservazione della natura popolare e sociale della Democrazia Cristiana. Così valeva per la sinistra politica di Base e per la sinistra dell’area Zac in un secondo momento. Esperienze e realtà che non solo erano qualificanti sotto il profilo politico e culturale ma anche, e soprattutto, sotto il profilo della rappresentatività sociale e anche territoriale.
Ecco perché l’esperienza della sinistra DC ritorna d’attualità e non è facilmente archiviabile. Né può essere banalmente storicizzata. Certo, il “nulla della politica”, per dirla con una felice espressione di Martinazzoli durante gli anni dello strabordante berlusconismo, è difficilmente paragonabile con quella esperienza. Per non parlare dell’attuale fase ancora dominata dai dogmi dei 5 stelle, cioè dal populismo demagogico e anti politico. Ma se si vuole ridare credibilità, autorevolezza e qualità alla politica e alla sua classe dirigente, non si può non incrociare l’esperienza vissuta e praticata dalla sinistra democristiana e dai suoi tanti leader. Per il bene della politica italiana e non per una banale e sterile riverniciatura nostalgica.
Ora, almeno su tre fronti persiste la bruciante attualità della sinistra DC.
Innanzitutto la qualità, lo spessore e la valenza politica e culturale dei suoi leader. Nazionali e locali. È indubbio che molti leader e statisti della prima repubblica provengono dalle fila della sinistra democristiana. Leader che, anche con una percentuale minima di potere all’interno della DC, erano comunque in grado di condizionare e addirittura di guidare la strategia e la prospettiva dell’intero partito. Basti pensare alla sinistra sociale di Carlo Donat-Cattin che, con il 7-8% dei consensi nel partito era in grado di condizionare l’intera strategia politica della DC. Per non parlare della sinistra politica di Base i cui leader, da De Mita a Granelli, da Galloni ad Andreatta, da Tina Anselmi a Mino Martinazzoli erano considerati punti di riferimento ineludibili per l’intera esperienza DC nonchè leader politici capaci di imprimere una impronta determinante e alcune volte anche decisiva per la stessa qualità della democrazia italiana. Una classe dirigente nazionale che, però, era accompagnata anche da leadership locali altrettanto importanti e di qualità. Basti pensare ai sindaci delle medie/grandi città italiane e al loro magistero amministrativo e politico esercitato con qualità e autorevolezza per molti anni.
In secondo luogo la profondità del pensiero e la ricchezza di cultura politica che accompagnava quella straordinaria ed irripetibile esperienza. Le riviste, i tradizionali convegni politici e di approfondimento culturale di Saint Vincent, Chianciano, Belgirate, Lavarone e molte altre località che ricordano come quei convegni di studio, di analisi politica e soprattutto di proposta politica riuscivano a dettare l’agenda dell’intera politica italiana. E non solo della DC dove la presenza dorotea e moderata era comunque sempre forte e ragguardevole. Un luogo di elaborazione culturale, di progettualità politica concreta e di cultura di governo quasi irripetibile nella storia democratica del nostro paese. Non solo un laboratorio e, soprattutto, non solo un consesso di azione politica o, peggio ancora, di mera distribuzione di potere. No, un presidio di cultura politica e di azione politica che obbligava l’intera politica italiana a tenerne conto, a prescindere dalle varie collocazioni della sinistra DC nella geografia interna al partito. Maggioranza o minoranza faceva poca differenza. La sinistra DC era un punto di riferimento a prescindere dalla conclusione dei congressi e dai tatticismi di potere e dai vari posizionamenti nel partito. Comportamenti ed atteggiamenti validi ieri come oggi.
In ultimo la rappresentatività sociale, culturale e politica della sinistra DC. Nessuno poteva fare a meno della sinistra sociale di Carlo Donat-Cattin, e prima di Pastore. Lo ha detto più volte lo statista Aldo Moro, anche quando la maggioranza dorotea del tempo del partito non lo voleva o dopo la richiesta di esclusione dal Governo avanzata dal PCI durante le stagioni della solidarietà nazionale. Non si poteva e non si doveva fare perché Donat-Cattin rappresentava, appunto, un pezzo di società che garantiva la conservazione della natura popolare e sociale della Democrazia Cristiana. Così valeva per la sinistra politica di Base e per la sinistra dell’area Zac in un secondo momento. Esperienze e realtà che non solo erano qualificanti sotto il profilo politico e culturale ma anche, e soprattutto, sotto il profilo della rappresentatività sociale e anche territoriale.
Ecco perché l’esperienza della sinistra DC ritorna d’attualità e non è facilmente archiviabile. Né può essere banalmente storicizzata. Certo, il “nulla della politica”, per dirla con una felice espressione di Martinazzoli durante gli anni dello strabordante berlusconismo, è difficilmente paragonabile con quella esperienza. Per non parlare dell’attuale fase ancora dominata dai dogmi dei 5 stelle, cioè dal populismo demagogico e anti politico. Ma se si vuole ridare credibilità, autorevolezza e qualità alla politica e alla sua classe dirigente, non si può non incrociare l’esperienza vissuta e praticata dalla sinistra democristiana e dai suoi tanti leader. Per il bene della politica italiana e non per una banale e sterile riverniciatura nostalgica.
Condivido Giorgio Merlo. Ne facevo parte e l’ho conosciuta bene la politica della sinistra DC.
Giorgio Merlo ci ha provocato, ma non per il solito “si stava meglio quando…..”, ma perchè ha riesumato una verità riferita a una classe politica che era di qualità, e tutti noi ci si chiede perchè si è perduta (ma si è perduta?).
Da sottolineare, in questo grandioso ricordo della sinistra DC è il fenomeno di come una componente minoritaria nel più grande Partito di quegli anni, di stampo interclassista è vero, svolgesse la funzione di sale nella pasta dorotea conservatrice, ma maggioritaria, targata Rumor, Bisaglia, Andreotti (Fanfani è a sé).
Io sono anziano ma non mi dico vecchio e sento il dovere di integrare il bel ragionamento di Merlo con qualche citazione. Gli è sfuggito Albertino Marcora, lui teneva le redini della sinistra di Base, e aggiungo, da lombardo, tre personaggi dello stesso cenacolo di Marcora: Giuseppe Guzzetti, Virginio Rognoni e il compianto Cesare Golfari: il primo un grande Ministro dell’Interno, gli altri due entrambi Presidenti della Regione Lombardia, parlamentari ed altri importanti incarichi. Un bel vivaio. Prima ancora del Covid.
Assolutamente d’accordo. Quella era politica! Ora la cronaca politica si limita alle battute o ai resoconti sulla tattica di questo o di quello… un abisso la separa dalla politica vera.