In realtà, la presenza di De Gasperi in noi non è solo memoria, ma anche una proposta politica storica e morale, ancora vitale e costituisce anche un sostegno culturale.
Le riflessioni che si propongono adesso con l’occasione di una lettura e quindi di un commento di un libro, assumono l’aspetto di una accensione di luci su una figura che ancora oggi si propone nella realtà politica italiana e mondiale. Per non dire della realtà istituzionale in cui “partecipazione” cristiana è cosa forte e imponente.
L’occasione è il volume elaborato da Luigi Bottazzi su "La Memoria che si rinnova. Raccolta di documenti e di omelie delle messe celebrate a Reggio Emilia in memoria di Alcide De Gasperi" (ed. Bizzocchi, Reggio Emilia 2019), in cui i testi espongono aspetti sia di azione politica sia di vita spirituale del grande statista trentino. Di questi si può dire e ripetere, che la sua vita sembra inesauribile quale sorgente, di motivazioni, indicazioni, sofferenze e proposte per un tempo difficile e comunque pieno di speranza.
Osservo subito che nella comune opinione sembra tuttavia acquisita un’idea dominante dell’europeismo di De Gasperi come di una prospettiva tributaria della guerra fredda e del bipolarismo in cui sembra la si voglia incapsulare. Sono però formulazioni della propaganda e poco controllate dalla storiografia preoccupata soprattutto se non esclusivamente, del dato registrato e documentato e non anche dell’intima “verità” complessa che il personaggio ha espresso e che può esprimere ancora.
Il fatto serio e forse grave è che nella prospettiva di una costruzione europea che oggi, improvvisamente, sembra tormentata, emergono traguardi di altissimo rilievo che giungono comunque a “interessare le tasche”, e insieme le ragioni di un impegno che hanno bisogno di una giustificazione più ampia. Una giustificazione che non è solo economica, anche se talora, erroneamente, sembra essere la sola a valere, ma culturale e politica su un fondale che ritorna a essere tecnicamente strategico, e quindi di prospettiva.
La condizioni politica del mondo, in questi decenni, seguendo le necessità di affermazione di potenza unitaria della comunità europea, ha accentuato purtroppo l’interesse per la materialità della possibile Unione. Si coglie, però, un malessere dovuto all’insufficiente capacità di persuasione di un disegno che impone sacrifici e scelte morali sulla convivenza tra popoli, etnie, diversità di ogni genere cioè una “dedizione”.
Il richiamo ai padri fondatori dell’Unione europea, e a De Gasperi in particolare, diventa adesso essenziale per coglierne le intime sollecitazioni che lo portarono a intendersi, in un disegno di solidarietà anche umana con Schuman e Adenauer.
Per De Gasperi l’unità europea non trovava una base e una giustificazione nella guerra fredda e risaliva invero a una cultura politica e della pace che precedeva l’esplosione della prima guerra mondiale. In particolare già allora (1911) De Gasperi riteneva che una giustificazione dell’azione dei cattolici fosse la cooperazione internazionale, l’unione continentale e l’azione per la pace.
Se si trascura questo dato che si coniuga con le impostazioni del primo e del secondo dopoguerra, si corre il rischio d’accettare la “decadenza” anche per l’Europa di una necessità che pareva fondata sulla divisione del mondo (e dell’Europa) in blocchi militari contrapposti e ostili: il rischio è di coinvolgere nella crisi del post-comunismo, tipica di tante istituzioni della fase tramontata, anche l’Unione Europea. In realtà De Gasperi e con lui la DC aveva pensato alla federazione europea prima che la guerra fredda assumesse i caratteri di divisione morale e psicologica (più che militare) che assunse negli anni fino alla crisi dell’Unione Sovietica.
C’è una corrente di propaganda che collega l’azione di De Gasperi e del suo partito, e con essi dei governi che sono seguiti, esclusivamente all’atlantismo, ignorando tutti i problemi e le difficoltà che caratterizzarono la nostra partecipazione alla NATO.
Questi aspetti restano essenziali anche nel poi. La verità è che l’Alleanza atlantica fu certamente indispensabile strumento anche per la politica di De Gasperi. Va aggiunto e chiarito però che proprio la divisione del mondo in blocchi e l’elaborazione – che crebbe nel tempo e non fu una costruzione bella e compiuta in un attimo – dell’atlantismo accentuava il valore costruttivo e positivo dell’europeismo di De Gasperi.
Lo statista trentino riteneva che nell’alleanza atlantica non ci dovesse essere solo la gamba americana a reggere il peso della difesa occidentale, ma anche quella europea. Inoltre l’Europa unita avrebbe dovuto dare un contributo originale alla cooperazione internazionale, non solo per evitare un conflitto, ma anche per rimuoverne le cause.
La difficile linea di De Gasperi è rimasta alla base delle impostazioni successive dei democratici cristiani e dei governi da loro guidati. A molti appare ancora oggi una linea di doppiezza non l’essersi schierati in maniera ottusa a favore non di un’attenuazione dei conflitti, ma della loro esasperazione. Il dato essenziale è che De Gasperi e il suo insegnamento si collocano in un’area che si era formata prima della calata della cortina di ferro.
Oggi riprendere in mano l’insegnamento di De Gasperi proprio sulla questione della costruzione europea appare essenziale proprio per le difficoltà che si incontrano nella formulazione di un’architettura politica del nuovo edificio. L’enfasi posta sull’economia non è stata una deviazione in senso proprio rispetto alla linea dei tre fondatori dell’Unione, che cominciarono essi, proprio con la CECA (carbone e acciaio), a dar vita a un’entità europea. Ma essi non pensarono mai che ci fosse un effetto di trascinamento meccanico e materiale da parte dell’economia rispetto all’edificazione politica e istituzionale. Occorre ribadire che esisteva per loro una contemporaneità delle scelte istituzionali ed economiche, e non si sarebbero mai acconciati a seguire il traino delle questioni monetarie.
Oggi non siamo certo a un anno zero dell’europeismo, ma a un passaggio difficile, per il cui superamento un ricorso ai maestri non è affatto un lusso inutile, ma una necessità. Per capire e per farsi capire.
Non è che oggi si proponga un giudizio su De Gasperi, ma la ricerca di una valorizzazione comprensibile per le presenti generazioni, di cittadini di varie collocazioni, attitudini e convinzioni. In questo senso le offerte tematiche che ci fa Luigi Bottazzi nel suo libro sono quanto mai opportune e attuali per la domanda di chiarimento che alla fine esigono.
Secondo una certa letteratura politica anche “degasperiana” ma incardinata in una struttura logica solo “democristiana” più che democratica e cristiana, non sempre si coglie una peculiarità di una visione innovativa valida anche oggi. Non si afferra cioè il nucleo essenziale del ruolo e della presenza storica di un personaggio che confesso di aver sentito anche come mia appartenenza non soltanto politica, ma morale e culturale.
Si è legato l’uomo a un cliché di abilità di scelte politiche, di guida politica di un movimento, di capacità di distribuire i compiti secondo competenza. Si è trascurato l’elemento di fondo di una testimonianza e fedeltà a istanze popolari, di crescita umana non solo italiana e nazionale.
Un caso particolare è offerto di una posizione forse notoria ma non nota abbastanza nel suo significato. Si tratta del tema della collocazione della Democrazia cristiana in ordine al suo essere una entità di impegno storico e di rappresentanza sociale che lo metteva in una posizione originale soprattutto rispetto alla proposta comunista. De Gasperi rispondendo a una domanda da che parte sociale la DC si sarebbe collocata, ebbe a dire:” Noi ci siamo definiti un partito di centro che si muove verso sinistra”. Lo disse in un discorso al Consiglio Nazionale della DC del 31 luglio 1945. Il concetto lo aveva ribadito anche più tardi alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile 1948. De Gasperi in questa seconda occasione, rispondendo a una domanda sulla differenza col PCI disse:”Mi riferisco a tutto il programma cristiano-sociale in materia, ricordando che siamo un partito di centro che cammina verso sinistra” (intervista al “Messaggero” del 17 aprile 1948). La signora Maria Romana De Gasperi nella biografia del padre non dice cammina, ma “marcia”, con un peso anche più significativo. Sebbene i testi siano chiari, anche si è continuato a ripetere che la DC “guarda“ a sinistra.
Si è trattato di una depurazione storica significativa, perché si è cercato di attenuare il “dato sociale” dell’impegno politico di De Gasperi che aveva un’idea della collocazione del partito nella società non di tenuta conservatrice.
L’idea di Bottazzi di mettere insieme oggi le omelie e le commemorazioni su De Gasperi risulta molto opportuna, perché i vescovi e i sacerdoti che hanno contribuito ciascuno per suo conto a far luce sulla personalità del leader trentino hanno forti coincidenze tematiche che nella brevità dei singoli interventi, danno un quadro complessivo, ma abbastanza unitario, di una figura che alla fine è del tutto eccezionale.
In realtà l’insieme degli interventi, delinea un quadro biografico complesso, ma esatto, che dagli inizi della carriera pubblica del leader democratico cristiano, giunge alla sua, a dir poco, clamorosa morte. Clamorosa perché è l’insieme che porta a farci vedere una passione politica che non è di partito e neppure di movimento ideologico, di grande prospettiva. Una prospettiva legata alla creazione di un vero Stato europeo repubblicano, ancorato a una tradizione storica solida, con una vera passione per la libertà che De Gasperi vedeva ancora in pericolo.
Il suo pianto, tuttavia, per la bocciatura della Comunità Europea di Difesa significa molto di più di una nota quasi solo letteraria. La CED fu un progetto politico che rimase nella mente dello statista morente un’idea ferma, radicata e amata quanto sofferta e alla fine persino sconfitta.
De Gasperi risulta il politico che da cristiano non propone una forma nuova di apostolato innervato nell’Azione cattolica storicamente ben definita, ma come missione di un personaggio che si sente investito senza dubbio di un “istinto missionario”, ma che coglie nella elaborazione di strutture temporali molto più di una politica legata a un programma nazionale cattolico. In De Gasperi il superamento dei vecchi “steccati” (come egli stesso definì certi rimpianti confessionali) tra clericali e anticlericali rimase un impegno anche programmatico. Comunque la passione di De Gasperi non è quella di elaborare percorsi religiosi nell’azione politica, anche se la religiosità resta il motivo di fondo di una missione.
In questo senso anche i discorsi di De Gasperi mettono sempre in luce un non senso di certe divisioni. A voler fare confronti dovremmo mettere in evidenza che De Gasperi prefigura il discorso di Giovanni Battista Montini (ancora vescovo) nel suo famoso, ma non abbastanza noto discorso in Campidoglio.
La fine del temporalismo può essere oggetto di ricerca storica ma non la base per una prospettiva nuova, su una “base storica” creata dalla terribile guerra che pure pare un punto di partenza inedito per andare oltre ogni lacerazioni religiosa, politica e morale. La democrazia predicata da De Gasperi appare ancorata all’insegnamento di Tommaso d’Aquino, la stessa che era stata espressa nella elaborazione di Maritain che pare essergli presente, dovuta anche a conoscenze e approfondimenti della sua attività professionale nella Biblioteca apostolica Vaticana.
L’utilità del libro serve per una riflessione non nuova, ma rivissuta al presente, di un messaggio che conserva la freschezza di una”invenzione“ politica – quella di Alcide De Gasperi – di cui non si è ancora verificata la profonda ed estesa ricchezza teorico-pratica.
Le riflessioni che si propongono adesso con l’occasione di una lettura e quindi di un commento di un libro, assumono l’aspetto di una accensione di luci su una figura che ancora oggi si propone nella realtà politica italiana e mondiale. Per non dire della realtà istituzionale in cui “partecipazione” cristiana è cosa forte e imponente.
L’occasione è il volume elaborato da Luigi Bottazzi su "La Memoria che si rinnova. Raccolta di documenti e di omelie delle messe celebrate a Reggio Emilia in memoria di Alcide De Gasperi" (ed. Bizzocchi, Reggio Emilia 2019), in cui i testi espongono aspetti sia di azione politica sia di vita spirituale del grande statista trentino. Di questi si può dire e ripetere, che la sua vita sembra inesauribile quale sorgente, di motivazioni, indicazioni, sofferenze e proposte per un tempo difficile e comunque pieno di speranza.
Osservo subito che nella comune opinione sembra tuttavia acquisita un’idea dominante dell’europeismo di De Gasperi come di una prospettiva tributaria della guerra fredda e del bipolarismo in cui sembra la si voglia incapsulare. Sono però formulazioni della propaganda e poco controllate dalla storiografia preoccupata soprattutto se non esclusivamente, del dato registrato e documentato e non anche dell’intima “verità” complessa che il personaggio ha espresso e che può esprimere ancora.
Il fatto serio e forse grave è che nella prospettiva di una costruzione europea che oggi, improvvisamente, sembra tormentata, emergono traguardi di altissimo rilievo che giungono comunque a “interessare le tasche”, e insieme le ragioni di un impegno che hanno bisogno di una giustificazione più ampia. Una giustificazione che non è solo economica, anche se talora, erroneamente, sembra essere la sola a valere, ma culturale e politica su un fondale che ritorna a essere tecnicamente strategico, e quindi di prospettiva.
La condizioni politica del mondo, in questi decenni, seguendo le necessità di affermazione di potenza unitaria della comunità europea, ha accentuato purtroppo l’interesse per la materialità della possibile Unione. Si coglie, però, un malessere dovuto all’insufficiente capacità di persuasione di un disegno che impone sacrifici e scelte morali sulla convivenza tra popoli, etnie, diversità di ogni genere cioè una “dedizione”.
Il richiamo ai padri fondatori dell’Unione europea, e a De Gasperi in particolare, diventa adesso essenziale per coglierne le intime sollecitazioni che lo portarono a intendersi, in un disegno di solidarietà anche umana con Schuman e Adenauer.
Per De Gasperi l’unità europea non trovava una base e una giustificazione nella guerra fredda e risaliva invero a una cultura politica e della pace che precedeva l’esplosione della prima guerra mondiale. In particolare già allora (1911) De Gasperi riteneva che una giustificazione dell’azione dei cattolici fosse la cooperazione internazionale, l’unione continentale e l’azione per la pace.
Se si trascura questo dato che si coniuga con le impostazioni del primo e del secondo dopoguerra, si corre il rischio d’accettare la “decadenza” anche per l’Europa di una necessità che pareva fondata sulla divisione del mondo (e dell’Europa) in blocchi militari contrapposti e ostili: il rischio è di coinvolgere nella crisi del post-comunismo, tipica di tante istituzioni della fase tramontata, anche l’Unione Europea. In realtà De Gasperi e con lui la DC aveva pensato alla federazione europea prima che la guerra fredda assumesse i caratteri di divisione morale e psicologica (più che militare) che assunse negli anni fino alla crisi dell’Unione Sovietica.
C’è una corrente di propaganda che collega l’azione di De Gasperi e del suo partito, e con essi dei governi che sono seguiti, esclusivamente all’atlantismo, ignorando tutti i problemi e le difficoltà che caratterizzarono la nostra partecipazione alla NATO.
Questi aspetti restano essenziali anche nel poi. La verità è che l’Alleanza atlantica fu certamente indispensabile strumento anche per la politica di De Gasperi. Va aggiunto e chiarito però che proprio la divisione del mondo in blocchi e l’elaborazione – che crebbe nel tempo e non fu una costruzione bella e compiuta in un attimo – dell’atlantismo accentuava il valore costruttivo e positivo dell’europeismo di De Gasperi.
Lo statista trentino riteneva che nell’alleanza atlantica non ci dovesse essere solo la gamba americana a reggere il peso della difesa occidentale, ma anche quella europea. Inoltre l’Europa unita avrebbe dovuto dare un contributo originale alla cooperazione internazionale, non solo per evitare un conflitto, ma anche per rimuoverne le cause.
La difficile linea di De Gasperi è rimasta alla base delle impostazioni successive dei democratici cristiani e dei governi da loro guidati. A molti appare ancora oggi una linea di doppiezza non l’essersi schierati in maniera ottusa a favore non di un’attenuazione dei conflitti, ma della loro esasperazione. Il dato essenziale è che De Gasperi e il suo insegnamento si collocano in un’area che si era formata prima della calata della cortina di ferro.
Oggi riprendere in mano l’insegnamento di De Gasperi proprio sulla questione della costruzione europea appare essenziale proprio per le difficoltà che si incontrano nella formulazione di un’architettura politica del nuovo edificio. L’enfasi posta sull’economia non è stata una deviazione in senso proprio rispetto alla linea dei tre fondatori dell’Unione, che cominciarono essi, proprio con la CECA (carbone e acciaio), a dar vita a un’entità europea. Ma essi non pensarono mai che ci fosse un effetto di trascinamento meccanico e materiale da parte dell’economia rispetto all’edificazione politica e istituzionale. Occorre ribadire che esisteva per loro una contemporaneità delle scelte istituzionali ed economiche, e non si sarebbero mai acconciati a seguire il traino delle questioni monetarie.
Oggi non siamo certo a un anno zero dell’europeismo, ma a un passaggio difficile, per il cui superamento un ricorso ai maestri non è affatto un lusso inutile, ma una necessità. Per capire e per farsi capire.
Non è che oggi si proponga un giudizio su De Gasperi, ma la ricerca di una valorizzazione comprensibile per le presenti generazioni, di cittadini di varie collocazioni, attitudini e convinzioni. In questo senso le offerte tematiche che ci fa Luigi Bottazzi nel suo libro sono quanto mai opportune e attuali per la domanda di chiarimento che alla fine esigono.
Secondo una certa letteratura politica anche “degasperiana” ma incardinata in una struttura logica solo “democristiana” più che democratica e cristiana, non sempre si coglie una peculiarità di una visione innovativa valida anche oggi. Non si afferra cioè il nucleo essenziale del ruolo e della presenza storica di un personaggio che confesso di aver sentito anche come mia appartenenza non soltanto politica, ma morale e culturale.
Si è legato l’uomo a un cliché di abilità di scelte politiche, di guida politica di un movimento, di capacità di distribuire i compiti secondo competenza. Si è trascurato l’elemento di fondo di una testimonianza e fedeltà a istanze popolari, di crescita umana non solo italiana e nazionale.
Un caso particolare è offerto di una posizione forse notoria ma non nota abbastanza nel suo significato. Si tratta del tema della collocazione della Democrazia cristiana in ordine al suo essere una entità di impegno storico e di rappresentanza sociale che lo metteva in una posizione originale soprattutto rispetto alla proposta comunista. De Gasperi rispondendo a una domanda da che parte sociale la DC si sarebbe collocata, ebbe a dire:” Noi ci siamo definiti un partito di centro che si muove verso sinistra”. Lo disse in un discorso al Consiglio Nazionale della DC del 31 luglio 1945. Il concetto lo aveva ribadito anche più tardi alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile 1948. De Gasperi in questa seconda occasione, rispondendo a una domanda sulla differenza col PCI disse:”Mi riferisco a tutto il programma cristiano-sociale in materia, ricordando che siamo un partito di centro che cammina verso sinistra” (intervista al “Messaggero” del 17 aprile 1948). La signora Maria Romana De Gasperi nella biografia del padre non dice cammina, ma “marcia”, con un peso anche più significativo. Sebbene i testi siano chiari, anche si è continuato a ripetere che la DC “guarda“ a sinistra.
Si è trattato di una depurazione storica significativa, perché si è cercato di attenuare il “dato sociale” dell’impegno politico di De Gasperi che aveva un’idea della collocazione del partito nella società non di tenuta conservatrice.
L’idea di Bottazzi di mettere insieme oggi le omelie e le commemorazioni su De Gasperi risulta molto opportuna, perché i vescovi e i sacerdoti che hanno contribuito ciascuno per suo conto a far luce sulla personalità del leader trentino hanno forti coincidenze tematiche che nella brevità dei singoli interventi, danno un quadro complessivo, ma abbastanza unitario, di una figura che alla fine è del tutto eccezionale.
In realtà l’insieme degli interventi, delinea un quadro biografico complesso, ma esatto, che dagli inizi della carriera pubblica del leader democratico cristiano, giunge alla sua, a dir poco, clamorosa morte. Clamorosa perché è l’insieme che porta a farci vedere una passione politica che non è di partito e neppure di movimento ideologico, di grande prospettiva. Una prospettiva legata alla creazione di un vero Stato europeo repubblicano, ancorato a una tradizione storica solida, con una vera passione per la libertà che De Gasperi vedeva ancora in pericolo.
Il suo pianto, tuttavia, per la bocciatura della Comunità Europea di Difesa significa molto di più di una nota quasi solo letteraria. La CED fu un progetto politico che rimase nella mente dello statista morente un’idea ferma, radicata e amata quanto sofferta e alla fine persino sconfitta.
De Gasperi risulta il politico che da cristiano non propone una forma nuova di apostolato innervato nell’Azione cattolica storicamente ben definita, ma come missione di un personaggio che si sente investito senza dubbio di un “istinto missionario”, ma che coglie nella elaborazione di strutture temporali molto più di una politica legata a un programma nazionale cattolico. In De Gasperi il superamento dei vecchi “steccati” (come egli stesso definì certi rimpianti confessionali) tra clericali e anticlericali rimase un impegno anche programmatico. Comunque la passione di De Gasperi non è quella di elaborare percorsi religiosi nell’azione politica, anche se la religiosità resta il motivo di fondo di una missione.
In questo senso anche i discorsi di De Gasperi mettono sempre in luce un non senso di certe divisioni. A voler fare confronti dovremmo mettere in evidenza che De Gasperi prefigura il discorso di Giovanni Battista Montini (ancora vescovo) nel suo famoso, ma non abbastanza noto discorso in Campidoglio.
La fine del temporalismo può essere oggetto di ricerca storica ma non la base per una prospettiva nuova, su una “base storica” creata dalla terribile guerra che pure pare un punto di partenza inedito per andare oltre ogni lacerazioni religiosa, politica e morale. La democrazia predicata da De Gasperi appare ancorata all’insegnamento di Tommaso d’Aquino, la stessa che era stata espressa nella elaborazione di Maritain che pare essergli presente, dovuta anche a conoscenze e approfondimenti della sua attività professionale nella Biblioteca apostolica Vaticana.
L’utilità del libro serve per una riflessione non nuova, ma rivissuta al presente, di un messaggio che conserva la freschezza di una”invenzione“ politica – quella di Alcide De Gasperi – di cui non si è ancora verificata la profonda ed estesa ricchezza teorico-pratica.
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