L’accordo in seno all’Eurogruppo per 540 miliardi di euro non pare sufficiente a salvare l’Europa dalla grande crisi economica. È importante che la BCE intervenga ancora. Puntando su una monetizzazione del debito dei Paesi europei, attraverso acquisti permanenti di titoli pubblici.
La ricerca di strumenti per affrontare la crisi
L’accordo da 540 miliardi di euro raggiunto dai ministri delle finanze dell’Eurogruppo (composti da 100 miliardi accordati dalla Commissione a supporto dei piani nazionali di sussidio all’occupazione; 240 miliardi messi a disposizione dal Meccanismo europeo di stabilità – MES – per il finanziamento dell’assistenza sanitaria; e 200 miliardi di garanzie ai prestiti alle imprese offerti dalla BEI) rappresentano certamente un passo in avanti nella gestione della crisi finanziaria. Tuttavia non paiono sufficienti a salvare l’Europa dalla più grande crisi economica del secolo.
Nell’attesa che i Paesi europei trovino un accordo sull’emissione di una qualche forma di eurobond o maggiori risorse vengano messe in campo dal bilancio dell’Unione o dal MES, vale la pena chiedersi se la Banca centrale europea possa, ancora una volta, salvare l’Unione dalla catastrofe.
Cosa è stato già fatto
Nei mesi scorsi la BCE ha deciso di riprendere l’acquisto di titoli pubblici e privati con tre operazioni distinte: a settembre, in una congiuntura che si faceva sempre più recessiva, vara un primo programma da 20 miliardi mensili, che durerà per tutto il tempo necessario; a marzo, in piena crisi sanitaria, decide poi due manovre da 120 e 750 miliardi di euro da spendere entro l’anno. Viene poi ribadito che “il capitale rimborsato sui titoli in scadenza (…) continuerà a essere reinvestito integralmente, per un prolungato periodo di tempo (…)”.
In totale, quindi, nel 2020 la BCE acquisterà 1.110 miliardi di titoli più l’ammontare dei titoli in scadenza. Ora, seppure possano apparire importanti, queste cifre sono comunque inferiori agli oltre duemila miliardi messi sul tappeto dall’amministrazione americana e alla promessa della Federal Reserve di acquistare, se necessario, una quantità illimitata di titoli sul mercato.
La ripartizione tra le giurisdizioni dell’area dell’euro degli acquisti di titoli continuerà a essere condotta in base alle quote di capitale della BCE detenute dalle singole banche centrali nazionali, anche se a fine marzo è stato precisato che “gli acquisti (…) saranno condotti in maniera flessibile, consentendo fluttuazioni nella distribuzione dei flussi di acquisto nel corso del tempo”.
Tenendo conto che la quota di partecipazione della Banca d’Italia al capitale della BCE è del 13,8 per cento, nel corso del 2019 la Banca centrale europea si impegna ad acquistare 145 miliardi (1.050 x 0,138) di titoli italiani, per la stragrande maggioranza di Stato, oltre a riacquistare un ammontare di titoli pari a quelli in scadenza. Giusto quale metro di paragone, date le minori entrate e le maggiori uscite, numerosi centri di previsioni stimano per quest’anno un fabbisogno netto dell’Italia tra i 90 e i 100 miliardi, pari a un deficit pubblico superiore al 5 per cento del PIL. Quindi, gli interventi della BCE sarebbero sufficienti non solo a coprire i nuovi fabbisogni, ma anche a permettere di ridurre il debito in scadenza in mano ai privati.
Va anche ricordato che la BCE trasferisce tutti i profitti realizzati su questi portafogli (interessi e guadagni in conto capitale) alle banche centrali nazionali dei rispettivi Paesi. In altri termini, i finanziamenti effettuati dalla BCE sono a costo zero.
Cosa si dovrebbe fare ancora?
Innanzitutto è probabile che se anche l’ombrello della BCE appare sufficiente a coprire le necessità per quest’anno, certamente non lo è per i prossimi. Da un lato, anche nell’ipotesi che la crisi sanitaria sia superata entro il 2020, è molto probabile che la ripresa sia lenta e graduale. È quindi importante dare agli operatori maggior certezza nel medio periodo e adeguare le risorse messe a disposizione in Europa, portandole allo stesso livello di quelle degli altri principali Paesi. Quindi, si dovrebbe subito annunciare un piano di acquisti netti di almeno il doppio di quello messo sul tappeto, magari diluito su un arco di due o tre anni.
In secondo luogo, la BCE potrebbe dare maggiori assicurazioni che il capitale rimborsato sui titoli in scadenza (la cui durata media è oggi di sette anni e mezzo) continuerà a essere reinvestito per un orizzonte più lungo di quello finora promesso, diciamo dai dieci ai trent’anni. Se poi la BCE, abbattendo un suo dogma, garantisse che lo stock di titoli in scadenza verrà per sempre continuamente reinvestito, allora anche la definizione di debito pubblico dei diversi Paesi potrebbe essere rivista. Così, ad esempio, se a fine 2020 il debito pubblico italiano dovesse salire dal 132 al 150 per cento del PIL, ma la BCE assicurasse al mercato di detenere per sempre 450 miliardi (305+145) di titoli italiani allora nel suo bilancio, il “vero” debito da rimborsare da parte dell’Italia sarebbe pari a poco più del 120 per cento del PIL.
In conclusione, in una situazione dove i debiti di famiglie, imprese e stato aumenteranno in maniera vertiginosa, il rischio è che la crescita economica venga soffocata per molti anni e che nessuno possa rimborsare questi debiti se non con sacrifici altissimi. In un simile scenario, la storia ci insegna che le conseguenze politiche e sociali sarebbero davvero complesse.
Forse allora non vale la pena erigere barricate davanti agli eurobond o ai fondi MES, che comunque rimangono debiti da rimborsare, anche se a tassi bassi e in un periodo lungo, ma puntare a una vera e propria monetizzazione del debito dei Paesi europei: almeno in questa fase, avrebbe poche controindicazioni in termini inflazionistici, ma porterebbe un gran beneficio nel superare la crisi peggiore del secondo dopo guerra.
In fondo, Ludwig Feuerbach ci ricorda che “il dogma è nient’altro che un esplicito divieto di pensare”.
(Tratto da www.lavoce.info)
La ricerca di strumenti per affrontare la crisi
L’accordo da 540 miliardi di euro raggiunto dai ministri delle finanze dell’Eurogruppo (composti da 100 miliardi accordati dalla Commissione a supporto dei piani nazionali di sussidio all’occupazione; 240 miliardi messi a disposizione dal Meccanismo europeo di stabilità – MES – per il finanziamento dell’assistenza sanitaria; e 200 miliardi di garanzie ai prestiti alle imprese offerti dalla BEI) rappresentano certamente un passo in avanti nella gestione della crisi finanziaria. Tuttavia non paiono sufficienti a salvare l’Europa dalla più grande crisi economica del secolo.
Nell’attesa che i Paesi europei trovino un accordo sull’emissione di una qualche forma di eurobond o maggiori risorse vengano messe in campo dal bilancio dell’Unione o dal MES, vale la pena chiedersi se la Banca centrale europea possa, ancora una volta, salvare l’Unione dalla catastrofe.
Cosa è stato già fatto
Nei mesi scorsi la BCE ha deciso di riprendere l’acquisto di titoli pubblici e privati con tre operazioni distinte: a settembre, in una congiuntura che si faceva sempre più recessiva, vara un primo programma da 20 miliardi mensili, che durerà per tutto il tempo necessario; a marzo, in piena crisi sanitaria, decide poi due manovre da 120 e 750 miliardi di euro da spendere entro l’anno. Viene poi ribadito che “il capitale rimborsato sui titoli in scadenza (…) continuerà a essere reinvestito integralmente, per un prolungato periodo di tempo (…)”.
In totale, quindi, nel 2020 la BCE acquisterà 1.110 miliardi di titoli più l’ammontare dei titoli in scadenza. Ora, seppure possano apparire importanti, queste cifre sono comunque inferiori agli oltre duemila miliardi messi sul tappeto dall’amministrazione americana e alla promessa della Federal Reserve di acquistare, se necessario, una quantità illimitata di titoli sul mercato.
La ripartizione tra le giurisdizioni dell’area dell’euro degli acquisti di titoli continuerà a essere condotta in base alle quote di capitale della BCE detenute dalle singole banche centrali nazionali, anche se a fine marzo è stato precisato che “gli acquisti (…) saranno condotti in maniera flessibile, consentendo fluttuazioni nella distribuzione dei flussi di acquisto nel corso del tempo”.
Tenendo conto che la quota di partecipazione della Banca d’Italia al capitale della BCE è del 13,8 per cento, nel corso del 2019 la Banca centrale europea si impegna ad acquistare 145 miliardi (1.050 x 0,138) di titoli italiani, per la stragrande maggioranza di Stato, oltre a riacquistare un ammontare di titoli pari a quelli in scadenza. Giusto quale metro di paragone, date le minori entrate e le maggiori uscite, numerosi centri di previsioni stimano per quest’anno un fabbisogno netto dell’Italia tra i 90 e i 100 miliardi, pari a un deficit pubblico superiore al 5 per cento del PIL. Quindi, gli interventi della BCE sarebbero sufficienti non solo a coprire i nuovi fabbisogni, ma anche a permettere di ridurre il debito in scadenza in mano ai privati.
Va anche ricordato che la BCE trasferisce tutti i profitti realizzati su questi portafogli (interessi e guadagni in conto capitale) alle banche centrali nazionali dei rispettivi Paesi. In altri termini, i finanziamenti effettuati dalla BCE sono a costo zero.
Cosa si dovrebbe fare ancora?
Innanzitutto è probabile che se anche l’ombrello della BCE appare sufficiente a coprire le necessità per quest’anno, certamente non lo è per i prossimi. Da un lato, anche nell’ipotesi che la crisi sanitaria sia superata entro il 2020, è molto probabile che la ripresa sia lenta e graduale. È quindi importante dare agli operatori maggior certezza nel medio periodo e adeguare le risorse messe a disposizione in Europa, portandole allo stesso livello di quelle degli altri principali Paesi. Quindi, si dovrebbe subito annunciare un piano di acquisti netti di almeno il doppio di quello messo sul tappeto, magari diluito su un arco di due o tre anni.
In secondo luogo, la BCE potrebbe dare maggiori assicurazioni che il capitale rimborsato sui titoli in scadenza (la cui durata media è oggi di sette anni e mezzo) continuerà a essere reinvestito per un orizzonte più lungo di quello finora promesso, diciamo dai dieci ai trent’anni. Se poi la BCE, abbattendo un suo dogma, garantisse che lo stock di titoli in scadenza verrà per sempre continuamente reinvestito, allora anche la definizione di debito pubblico dei diversi Paesi potrebbe essere rivista. Così, ad esempio, se a fine 2020 il debito pubblico italiano dovesse salire dal 132 al 150 per cento del PIL, ma la BCE assicurasse al mercato di detenere per sempre 450 miliardi (305+145) di titoli italiani allora nel suo bilancio, il “vero” debito da rimborsare da parte dell’Italia sarebbe pari a poco più del 120 per cento del PIL.
In conclusione, in una situazione dove i debiti di famiglie, imprese e stato aumenteranno in maniera vertiginosa, il rischio è che la crescita economica venga soffocata per molti anni e che nessuno possa rimborsare questi debiti se non con sacrifici altissimi. In un simile scenario, la storia ci insegna che le conseguenze politiche e sociali sarebbero davvero complesse.
Forse allora non vale la pena erigere barricate davanti agli eurobond o ai fondi MES, che comunque rimangono debiti da rimborsare, anche se a tassi bassi e in un periodo lungo, ma puntare a una vera e propria monetizzazione del debito dei Paesi europei: almeno in questa fase, avrebbe poche controindicazioni in termini inflazionistici, ma porterebbe un gran beneficio nel superare la crisi peggiore del secondo dopo guerra.
In fondo, Ludwig Feuerbach ci ricorda che “il dogma è nient’altro che un esplicito divieto di pensare”.
(Tratto da www.lavoce.info)
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