Il virus della burocrazia



Paolo Girola    5 Aprile 2020       0

Lo stesso Bruno Vespa a “Porta a Porta” è sbottato di fronte a un imbarazzato presidente dell’INPS Tridico dopo il flop del primo giorno di domande degli autonomi: in Italia il virus più pericoloso è quello della burocrazia!
Se questa tragedia ci insegna qualcosa, e ce ne insegna molte, è che bisogna mettere mano a questo ganglio vitale dello Stato e in generale di tutta la pubblica amministrazione.

Inorridisco nel sentire proposte per un nuovo accentramento di funzioni a Roma: se c’è una cosa che mediamente funziona meglio in Italia sono gli Enti locali. Lo Stato è, in generale, lento e macchinoso, imprevidente, incapace di programmare: lo abbiamo visto ancora una volta: ISS, Consip, Governo nei suoi vari ministeri, la stessa Protezione civile nazionale, nessuno ha dato prova di velocità ed efficienza. Non ci vuole più Stato, ma più Stato capace di fare un’opera di coordinamento e programmazione con gli Enti locali: anche in questo caso sono mancati sia l’uno che l’altra. Conferma questa idea anche il “Corriere della Sera” del 3 aprile che scrive: “Dalla Sapi di Reggio Emilia, ad altre 7 aziende accompagnate alla riconversione dal Tecnopolo di Mirandola; dalla Fater che fa pannolini e ha avviato una linea di produzione su richiesta della Protezione civile, alla Fippi, su pressione di Assolombarda. La Fippi è stata guidata dal Politecnico nella scelta del materiale giusto, ha superato i test di laboratorio, avviato la produzione di 900.000 mascherine chirurgiche al giorno due settimane fa. Oggi ne ha in stock 4 milioni. Ebbene queste aziende non possono ancora commercializzarle perché l’Istituto Superiore di Sanità, che per decreto deve rispondere entro 3 giorni, non lo ha ancora fatto. La procedura semplificata alla fine si arena ancora una volta nella confusione romana”.

Ci vuole uno Stato che possa assumere nell’emergenza decisioni rapide e straordinarie: come può fare il Presidente degli USA che servendosi di una legge per i tempi di guerra indica alle aziende che cosa devono produrre. Negli USA nessuno pensa di togliere competenze ai vari Stati, che ne hanno di amplissime e si tengono il 70% del gettito fiscale. Ma lo Stato fa lo Stato, non fa il sindaco o il governatore. C’è una legge in Italia che permette questo? Non c’è, allora si faccia senza intaccare il disegno costituzionale delle Autonomie. Mentre da Roma non arrivavano mascherine e altro, abbiamo visto sindaci distribuirle ai loro concittadini: in Piemonte in moltissimi medi e piccoli comuni. Ne cito solo due fra i tanti: Casale Monferrato e Trino.

E poi c’è il problema di uno Stato che si è fatto trovare impreparato: l’epidemia non è un terremoto che arriva, inatteso, una notte. Persino secoli addietro, si incominciava ad averne notizia da lontano. Figurarsi oggi. Di pandemie da virus ce ne saranno altre, bisogna far tesoro di questa tragica esperienza. Come ho già scritto ci sono settori produttivi che vanno mantenuti in funzione in ogni Stato, anche sovvenzionati. A rinforzo di quello che ho scritto, cito ancora il “Corriere” del 3 aprile: “E poi, quando l’emergenza sarà finita cosa succederà? Tutte le aziende che hanno investito in una riconversione per aiutare il Paese o perché erano in crisi, si troveranno di nuovo a competere con quei mercati che producono a 10 centesimi quello che qui costa 50? Bisogna pensarci adesso a mantenere dentro al Paese la produzione di forniture strategiche, prevedendo che nelle gare pubbliche una quota sia riservata ai produttori italiani. Altrimenti da questa tragedia non avremo imparato nulla”.

Vorrei che qualche nostro parlamentare si facesse carico di queste esigenze. Vuole gentilmente dire qualcosa in merito, invece che tacere, se in maggioranza, o fare polemiche inutili se all’opposizione? Vuole dimostrare qualcuno di sapere fare politica con la P maiuscola e non soltanto scrivere sui social?


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