Il centro, il trasformismo e la DC



Giorgio Merlo    20 Gennaio 2020       0

Il professor Angelo Panebianco ha riproposto dalle colonne del “Corriere della Sera” la tesi della necessità di avere nella politica italiana un "centro". Un centro, però, almeno come mi è parso di capire, che di volta in volta sarebbe decisivo per dar vita alla potenziale coalizione di governo. Il tutto si giustificherebbe, com'è ovvio, con il ritorno del sistema proporzionale e il congedo definitivo da tutto ciò che è riconducibile al maggioritario.

Ora, che il centro o il centrismo nella politica italiana abbiano avuto un ruolo politico decisivo non c'è alcun dubbio. E non solo per la cinquantennale esperienza della Democrazia Cristiana ma anche perché ogniqualvolta prevale la radicalizzazione della lotta politica chi ne paga le conseguenze maggiori è sempre e solo la garanzia della governabilità. E questo perché è del tutto evidente che la "cultura di centro" e la "politica di centro" non perseguono mai l'obiettivo del "tanto peggio tanto meglio" ma, al contrario, la costante e tenace ricerca della mediazione e della composizione degli interessi contrapposti.

Per questo si rende necessario la presenza di una formazione politica di centro.

Ed è proprio su questo versante che è bene richiamare l'attenzione e fissare un paletto chiaro. Perché anche in un sistema proporzionale o semi proporzionale, un partito o una formazione politica che riconduce la sua esperienza al centro non può ridursi ad essere un protagonista del peggior trasformismo. O meglio ancora, un luogo politico che si rende disponibile per qualsiasi alleanza pur di stare al governo.

Certo, in una stagione trasformistica come quella contemporanea il richiamo alla coerenza politica e parlamentare è quasi un atteggiamento blasfemo. E, di conseguenza, tutto è possibile pur di stare al potere e conservare il proprio potere a prescindere da qualsiasi coerenza e lungimiranza politica. Appunto, l'apoteosi del trasformismo. Ma l'elemento che politicamente vale riaffermare, e con forza senza farsi condizionare dalle sirene trasformistiche che caratterizzano pesantemente la dialettica politica attuale, è che anche la DC era un "partito di centro che guarda a sinistra". Come lo fu il PPI di Martinazzoli e di Marini dopo la fine della DC.

Mentre esisteva anche un centro, almeno nella Seconda Repubblica, che guardava, del tutto legittimamente, a destra. Come il CCD di Mastella e Casini, l'UDC di Cesa e Casini e quel che resta oggi di Forza Italia di Berlusconi e di tutto ciò che ruota attorno a questo ex grande partito.

Ecco, ho ricordato questi passaggi essenziali per arrivare ad una conclusione che non può essere confutata con motivazioni di puro potere. E cioè, anche un ipotetico e consolidato "partito di centro" ha un senso non solo perché ritorna, prima o poi, il sistema proporzionale ma anche e soprattutto perché sarà un elemento decisivo e qualificante per riaffermare e dare un profilo serio e credibile a una coalizione di centrosinistra o ad una alleanza di centrodestra.

Solo se il centro ha un progetto politico ha un senso che ritorni con un partito e con una soggettualità politica. Tutto il resto è solo trasformismo e voltagabbana.


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