La parola al popolo… con il proporzionale



Domenico Galbiati    24 Dicembre 2019       1

Ancora nessuna intesa in vista, per quanto concerne la nuova legge elettorale.

Eppure i nodi delle tante furbizie e dei furbeschi inganni perpetrati da tempo, nel merito, a detrimento del popolo italiano, sembrano venire finalmente al pettine tutti in una volta. E il nostro sistema politico-istituzionale, solo che lo volesse o ne fosse capace, potrebbe trovare in questa opportunità di confronto, l’occasione di un riscatto e di una svolta, almeno sul piano del costume e di una modalità civile della competizione.

Forse è troppo sperare – eppure sperare dovrebbe essere pur sempre lecito – che, una volta tanto, si affronti questo argomento guardando all’oggettivo interesse del Paese, quindi al rispetto ed al rafforzamento, se possibile, delle regole della democrazia rappresentativa.

Abbandonando la ricerca affannosa del miglior piazzamento nell’ordine di partenza o il gioco di interdizione reciproca o peggio ancora le combines tra acerrimi avversari, ma pur studiate sostanzialmente di comune intesa quando si tratta di imbragare a dovere e preventivamente la libera espressione del corpo elettorale.

In un momento carico di tensioni e di difficoltà, ma soprattutto di per sé estremamente delicato nella misura in cui vi si giocano temi di lunga prospettiva, sarebbe bene che le regole elettorali consentissero di dare voce e piena rappresentanza a tutte le correnti di pensiero, le culture, le domande e le opinioni che attraversano il Paese.

Insomma, si dovrebbe rinunciare, una volta per tutte, accampando l’alibi della governabilità, a preordinare argini in particolare imponendo un impianto bipolare, se non addirittura bipartitico, che esita sempre in un bilanciamento delle posizioni, tale per cui chi non vince la palma del governo, conquista quella dell’opposizione, cosicchè nessuno perde, in vista di scambiarsi graziosamente i ruoli alla prossima occasione.

È andata avanti così per oltre vent’anni in una sorta di “alternanza della stagnazione”, al punto che centro-destra e centro-sinistra si sono reciprocamente ingessati in una baruffa furiosamente recitata, quanto alienante dall’una e dall’altra parte.

Non a caso, Forza Italia e Partito Democratico si sono via via inselvatichiti finché, nei rispettivi campi, sono esplosi movimenti nuovi che hanno fortemente scosso e compromesso il loro primato nei rispettivi territori. Insomma, è indispensabile una strategia inclusiva e non escludente; capace di proporre sul serio le istituzioni democratiche come “casa comune”, evitando scrupolosamente qualunque spinta che rischi di “extra-parlamentizzare” ogni pur piccola espressione sociale attiva nella comunità nazionale.

In altri termini, ci vuole il coraggio di andare schiettamente ad una legge elettorale francamente proporzionale che, accompagnata da qualche opportuno correttivo, non contraddice affatto la governabilità.

Per lo più, l’obiezione concerne il fatto che, in tal modo, si andrebbe incontro ad un tale pluralità di formazioni politiche concorrenti nelle aule parlamentari da rendere impraticabile ogni soluzione di effettiva governabilità. In sostanza, i partiti non sarebbero in grado di fare il loro mestiere, cioè di mettere in atto le mediazioni necessarie, secondo quei criteri di flessibilità che attengono le più elementari leggi dell’agire politico.

E ciò non di meno – palese contraddizione – pur esprimendo tale formidabile considerazione di sé, pare pretenderebbero, almeno talune e sia pure a fasi alterne, di replicare, in nome della vocazione maggioritaria, schemi bipolari che, ancora una volta, costringano e comprimano il Paese in un corsetto rigido e soffocante.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


1 Commento

  1. Ripeto quanto espressi in passato. Le “buone” leggi elettorali o si fanno in situazioni di emergenza (nascita della Repubblica, era post-terrorismo, e in Francia crisi della guerra di Algeria ecc.) o quando le parti sono sotto il velo dell’ignoranza di chi potrà vincere le elezioni. Le leggi “ad partes” creano solo maggiore sfiducia nell’elettorato, che ora, con la diffusione delle informazioni, è sempre più scettico sia sulla loro efficacia per il “bene comune” della governabilità che per la stessa tenuta della democrazia.

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