Aumenta il lavoro (ma precario)



Lidia Baratta    3 Dicembre 2019       1

«Avanti così!», ha scritto sui social la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, davanti agli ultimi dati Istat (riferiti a ottobre), che segnano un aumento dell’occupazione dello 0,2% e una riduzione della disoccupazione dell’1,7% nell’ultimo mese.

Ma la notizia, che potrebbe sembrare positiva, in realtà non lo è. E basta mettere insieme gli stessi dati forniti dall’istituto di statistica per capirlo. Se è vero che l’occupazione aumenta, è anche vero che non si tratta dei contratti stabili a cui puntava il decreto dignità grillino, ma soprattutto di lavoratori autonomi (38mila su 46mila). E chissà quante false partite Iva, dopo la stretta sui rinnovi contratti a termine, ci saranno dietro quel segno più.

Non solo. Di fronte al calo dei disoccupati che si è meritato gli applausi della ministra, si assiste anche all’aumento degli inattivi, cioè di quelli scoraggiati che un lavoro non ce l’hanno e non lo cercano più. Un dato che va nella direzione opposta rispetto all’effetto atteso del reddito di cittadinanza che, almeno nelle intenzioni dei suoi ideatori – Catalfo compresa – , dovrebbe servire anche a trovare un lavoro a chi non ce l’ha. Facendo aumentare positivamente la disoccupazione.

Insomma, andando «avanti così!», si va a sbattere. Lo dicono i dati visti nei dettagli. Dietro quel +0,2% sbandierato da Catalfo, ci sono 46mila occupati in più su base mensile. Di questi, 38mila sono autonomi, 6mila a termine e solo 2mila a tempo indeterminato. La quasi totalità della crescita complessiva degli occupati si deve quindi ai lavoratori autonomi. E qui, a un anno esatto dall’avvio generale delle nuove regole del decreto dignità – che ha imposto la causale nei contratti a termine dopo i 12 mesi con l’obiettivo di favorire i contratti stabili e ridotto il numero di proroghe e la durata – sorge il dubbio che dietro questa impennata degli autonomi possa nascondersi semplicemente un modo più economico per dribblare i nuovi paletti sui contratti a tempo determinato, evitando così le assunzioni a tempo indeterminato.

Anche perché il decreto attuativo del decreto dignità sui bonus per le assunzioni stabili degli under 35 non è mai stato varato né da Di Maio né da Catalfo. E per il momento, l’imprenditore che vuole assumere un giovane dovrebbe rifarsi ai bonus della manovra 2018. Cosa che crea non poca confusione. Tant’è che nella bozza della legge di bilancio il governo ha introdotto una norma di coordinamento che prolunga di due anni lo sgravio previsto per gli under 35 nella manovra 2018 e cancella quello del decreto dignità che – scritto frettolosamente dai Cinque Stelle in piena competizione con la Lega – si era sovrapposto a quello precedente, senza neanche entrare nei dettagli delle modalità di fruizione. Insomma, un pasticcio da azzeccagarbugli che certo non aiuta i già pochi datori di lavoro che vogliono assumere. Da gennaio a settembre, secondo l’Inps, i contratti agevolati sono stati 73mila. Ma forse, senza questo caos normativo, avrebbero potuto essere molti di più.

Soprattutto se, guardando gli ultimi dati Istat di ottobre, viene fuori che nelle fasce più giovani (dai 15 ai 34 anni) diminuiscono sì i disoccupati (notizia positiva) ma aumentano anche gli inattivi (notizia negativa). Su 23mila disoccupati in meno, si registrano 23mila inattivi in più. Significa che le stesse persone che non hanno un lavoro non ne hanno trovato uno, ma hanno smesso di cercarlo. E gli inattivi aumentano anche, di 19mila unità, nella fascia 35-49 anni. Solo nella fascia più anziana, dai 50 anni in su, anche per effetto della legge Fornero, si registra un aumento degli occupati, dei disoccupati in cerca di lavoro e – unico caso – un calo degli inattivi di 38mila unità.

A conti fatti, sul totale della popolazione, in un mese si contano 44mila disoccupati in meno e 25mila inattivi in più. E guardando i tassi il calo della disoccupazione, si vede che non si traducono in una crescita dell’occupazione, ma spesso sono compensati dalla crescita del numero degli scoraggiati.

Su una popolazione che conta già il record europeo di Neet, il reddito di cittadinanza, nella sua fase due – quella della ricerca di un lavoro ai percettori del sussidio –avrebbe dovuto portare a un aumento della disoccupazione. Che sarebbe stata quindi una notizia positiva, perché avrebbe portato ad attivarsi nella ricerca di un lavoro coloro che fino ad oggi sono rimasti al di fuori del mercato. E invece, con la fase due che non decolla affatto, tra le mancate convocazioni nei centri per l’impiego e l’assenza di una piattaforma adatta per incrociare domanda e offerta di lavoro, i dati vanno in tutt’altra direzione. Il tasso di disoccupazione scende al 9,7%, quello di inattività sale al 34,3%. E l’Italia resta tra le peggiori d’Europa.

Siamo sicuri che si debba andare «Avanti così»?

(Tratto da www.linkiesta.it)


1 Commento

  1. Considerazioni ineccepibili, che confermano le critiche sollevate nei confronti della figura dei NEET (not in employment – occupazione – in Education – formazione scolastica in senso lato – and in Training – formazione per l’inserimento sul posto di lavoro), che costituirebbero una frazione di inoccupati particolarmente a rischio di emarginazione sociale.
    In effetti, il gruppo di giovani particolarmente in pericolo è dato dai NEETS (acronimo ove S non sta come forma plurale dei NEET, ma come iniziale di Searching -not in Searching-, non alla ricerca di un posto di lavoro). Sono coloro che non sono occupati, non sono in stato di ecucazione/formazione né cercano un posto di lavoro a costituire la situazione assai grave con riferimento al mondo del lavoro, anche perché questi giovani normalmente richiedono approcci di avvicinamento, di accoglienza e di accompagnamento del tutto particolari affinché siano scongiurate le conseguenze, facilmente prevedibili, che questo stato presenta: di esclusione, di asocialità, di forte depressione, di criminalità potenziale.

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