L’unica pista nel deserto



Lorenzo Dellai    22 Novembre 2019       0

La prospettiva evocata dal Manifesto Zamagni non può essere tradotta in termini di “partito cattolico”.
Quanto all’aggettivo, il pluralismo delle opzioni è ormai patrimonio consolidato nella comunità dei credenti (anche se ciò non significa affatto la fine delle diverse culture politiche di ispirazione cristiana, semmai la loro trasformazione).
Quanto al sostantivo, che significa oggi “Partito”? Rimane, a mio parere, il concetto definito nell’articolo 49 della Costituzione, ma le sue forme sono affidate alla capacità di interpretare i tempi, le esigenze, le opportunità.
Liberiamoci in ogni caso da questa terminologia: partito cattolico, centro, moderati e così via.

La prospettiva del Manifesto (e del dibattito che esso ha suscitato) è molto più ambiziosa – se non temeraria – e di lungo periodo, poiché incrocia tre domande “strutturali” per la vita del nostro Paese.
Ha ancora un senso la “Politica”? Ha ancora un futuro la “democrazia rappresentativa”? Ha ancora valore l’idea della “Comunità”?

Per ridare un “senso” ed una rilegittimazione sociale alla Politica, occorre che essa torni a svolgere la sua funzione costitutiva: leggere la domanda dei cittadini e coniugarla in termini di bene comune e di futuro. Non può continuare ad essere semplice “megafono” delle singole aspettative.
Ciò non può accadere se la Politica non recupera un suo respiro ideale e culturale.
Altrimenti non avrà nessuna capacità di dare una gerarchia ai bisogni sempre più individualizzati e dunque non potrà concorrere a delineare il profilo di un Bene Comune che implica scelte, priorità, idee, cambiamento.
Per rigenerare la “democrazia rappresentativa” occorre che si riannodino i fili spezzati della rappresentanza, in modo che i meccanismi formali del sistema democratico siano nuovamente vissuti dai cittadini come strumento di condivisione del futuro.

Solo così la “democrazia” riconquisterà il suo carisma e sarà percepita come via di giustizia sociale e di realizzazione delle opportunità di tutti ed in modo particolare di quanti hanno meno voce, meno potere, meno strumenti.
Per riproporre il valore della “Comunità” occorre ricostruire legami e rinverdire valori. Occorre una radicalità di proposte e di esperienze, tese all’equità e al primato del binomio “persona-bene comune”.

L’umanesimo cristiano rappresenta oggi il terreno ideale e culturale potenzialmente più fecondo per alimentare e orientare la risposta a queste tre domande, in base alla sua carica di “radicalità” nei contenuti e nelle ispirazioni ed assieme di “moderazione” negli atteggiamenti; laddove per moderazione deve intendersi non certo “moderatismo”, ma attitudine al dialogo, alla mediazione, al rispetto delle Istituzioni.

Il Manifesto Zamagni punta al medio e lungo periodo, pur in un momento nel quale ogni cosa nella politica sembra esistere solo nelle sue proiezioni “qui ed ora”.
È l’avvio ambizioso di un percorso, non il suggello ad operazioni di bottega.

Ma, d’altra parte, qualcuno pensa veramente che l’apertura di un ciclo nuovo nella politica e nella società italiana (capace di affrontare le tre domande strutturali di cui sopra) può avvenire attraverso le attuali strutture della rappresentanza politica (partiti storici, partiti nuovi o movimenti che essi siano)?
E poi, si può sostenere che in qualcuno di questi contenitori politici organizzati (vicini o lontani che essi siano rispetto al nostro posizionamento politico personale) vi sono spazi veri per la presenza organizzata, collettiva (non solo a titolo personale), visibile ed autonoma di una “soggettività di ispirazione popolare”?
Sarebbe arduo sostenere entrambe le cose.

Dunque, se non vogliamo accettare la “dottrina Ruini”, ma riteniamo che serva alla “Politica” e alla “Democrazia” il contributo originale di un pensiero “popolare”, laicamente ispirato all’umanesimo cristiano, senza presunzioni di primazia e senza alcuna forma di collateralismo confessionale o di ideologismo, non resta che provare a tradurre il Manifesto Zamagni in azione sociale e politica.
Prima a livello territoriale e poi, se ci sarà la forza, a livello nazionale.

Ben guardandosi (della serie: No grazie!) da chi vorrebbe “mettere il cappello” su questa idea con lo spirito “vecchio” o con la nostalgia di un “Centro” capace di tenere fermo il “confine a Destra” quanto lo può essere un grumo di gelatina.
I tempi non saranno brevi. La strada sarà tutta in salita: chi pensa a risultati immediati e a soluzioni facili, meglio che scelga un’altra traiettoria.

Ciò non di meno, si tratta dell’unica pista tracciata nel deserto per ricostruire, in forma nuova, una presenza.


Il primo dei commenti

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*