È indubbio che la cosiddetta “questione cattolica” periodicamente in Italia riemerge. A seconda delle fasi storiche. Dopo quasi 50 anni di presenza politica, culturale, sociale ed organizzativa della Democrazia cristiana, è iniziata una fase che, tranne la felice e feconda ma troppo breve esperienza del Partito popolare italiano di Martinazzoli e di Marini, di spaesamento se non di vera e propria confusione. Dal 2001 in poi, infatti, cioè dopo il progetto di “Democrazia europea” patrocinato da Giulio Andreotti e da Sergio D’Antoni che annunciava, in pratica, la “rinascita della balena bianca”, si sono succeduti oltre 50 tentativi per resuscitare un barlume di presenza politica autonoma dei cattolici italiani. Il filo rosso che, però, ha legato tutte le varie esperienze – dal livello comunale a quello regionale, dalla competizione nazionale a quella europea – è stato quello di non oltrepassare quasi mai l’1% dei consensi. Con un ulteriore abbassamento della cifra alle ultime consultazioni locali ed europee.
Ora, sarebbe persin troppo facile infierire su questo versante. Bastano i numeri crudi a spiegare che, probabilmente, l’approccio ripetuto ed insistente di organizzare un nuovo partito identitario non è ancora maturo nel sistema politico italiano. Tuttavia, e al di là delle mille motivazioni politiche, culturali, sociali e anche religiose che si potrebbero accampare, la cosiddetta “questione cattolica” è nuovamente riemersa e sarebbe ingeneroso aggirarla come se nulla fosse. Fermandosi solo e soltanto ai ripetuti fallimenti elettorali, e quindi politici, che li hanno caratterizzati per lunghi 25 anni. E questo non solo perché nelle ultime due settimane sono nati, di fatto, altri due partiti – quello potenziale che scaturisce dal “manifesto” del professor Zamagni e quello della “Federazione di centro” promosso dall’onorevole Gianfranco Rotondi e altre sigle riconducibili all’associazionismo cattolico. Ma perché il tema interessa e interpella le grandi firme dei principali organi di informazione.
Certo, è decisamente curioso che i principali detrattori del centro, della politica di centro, della presenza moderata e della stessa presenza politica ed organizzativa autonoma dei cattolici italiani oggi siano i principali sponsor del ritorno di una simile esperienza. Seppur aggiornata e rivista. Una curiosa e singolare eterogenesi dei fini. Ma, al di là di questo ripensamento o di questa ennesima piroetta della nostra intellighenzia, è indubbio che il tema è sul tappeto e va affrontato. Nei giorni scorsi è stato affrontato con profondità ed intelligenza anche da autorevoli esponenti della Chiesa italiana. Seppur con letture diverse e comprensibili approcci diversi. Dal Cardinale Camillo Ruini a monsignor Domenico Mogavero, dal direttore della Civiltà Cattolica Antonio Spadaro a padre Enzo Bianchi, dal cardinale Gualtiero Bassetti ad alcuni vertici delle associazioni cattoliche. Letture e approcci diversi, com’è giusto e scontato che sia.
Ma accomunati, guarda caso, da un filo rosso: e cioè, l’inopportunità, oggi, di dar vita ad un partito cattolico, dei cattolici, di cattolici, o di ispirazione cristiana. Le diverse sfumature sulla lettura dei fenomeni che caratterizzano e attraversano la società italiana e le possibili risposte che possono arrivare dalla frastagliata e pluralistica area cattolica non portano, comunque sia, alla ricostruzione immediata di un partito.
Ecco perché, forse, pur proseguendo la giusta e sacrosanta riflessione innescata dal ritorno – seppur periodico – della “questione cattolica”, in questa fase storica la presenza politica e la rilevanza pubblica dei cattolici italiani va ancora ricondotta e praticata nei partiti, nei movimenti e nei soggetti che attualmente sono in campo. Certo, con le ovvie e scontate differenze politiche e programmatiche che contraddistinguono i vari schieramenti e i vari partiti. Frutto, questo, del profondo, consolidato ed ormai acquisito pluralismo politico che attraversa il cosiddetto “popolo cattolico” nel nostro paese. Del resto, se non fosse così, non si capirebbe il perché dei ripetuti e quasi scientifici fallimenti politici ed elettorali dei vari tentativi messi in campo da quai 20 anni.
Nello specifico, e per quanto riguarda il campo del centrosinistra, forse è giunto anche il momento per favorire e tentare una ricomposizione dell’area cattolico popolare e cattolico democratica all’intero del Partito Democratico. Sempre che voglia confermare e consolidare l’intuizione iniziale della sua vocazione. Cioè quella di essere un partito plurale, articolato e non riconducibile ad una sola identità politica. Una ricomposizione ed una unità utili oggi in una fase politica ancora attraversata da contraddizioni e da impulsi autoritari e forse utile anche per domani quando il quadro politico potrebbe favorire nuove soluzioni e nuove ricette politiche ed organizzative.
Ma, per tornare al tema iniziale, continuare a parlare oggi di formare nuovi partiti riconducibili all’area cattolica rischia solo di favorire quella impotenza elettorale e quella sterilità politica che abbiamo conosciuto sino ad ora. Una operazione rischiosa oggi e che può ipotecare, purtroppo negativamente, anche le prospettive del futuro.
Ora, sarebbe persin troppo facile infierire su questo versante. Bastano i numeri crudi a spiegare che, probabilmente, l’approccio ripetuto ed insistente di organizzare un nuovo partito identitario non è ancora maturo nel sistema politico italiano. Tuttavia, e al di là delle mille motivazioni politiche, culturali, sociali e anche religiose che si potrebbero accampare, la cosiddetta “questione cattolica” è nuovamente riemersa e sarebbe ingeneroso aggirarla come se nulla fosse. Fermandosi solo e soltanto ai ripetuti fallimenti elettorali, e quindi politici, che li hanno caratterizzati per lunghi 25 anni. E questo non solo perché nelle ultime due settimane sono nati, di fatto, altri due partiti – quello potenziale che scaturisce dal “manifesto” del professor Zamagni e quello della “Federazione di centro” promosso dall’onorevole Gianfranco Rotondi e altre sigle riconducibili all’associazionismo cattolico. Ma perché il tema interessa e interpella le grandi firme dei principali organi di informazione.
Certo, è decisamente curioso che i principali detrattori del centro, della politica di centro, della presenza moderata e della stessa presenza politica ed organizzativa autonoma dei cattolici italiani oggi siano i principali sponsor del ritorno di una simile esperienza. Seppur aggiornata e rivista. Una curiosa e singolare eterogenesi dei fini. Ma, al di là di questo ripensamento o di questa ennesima piroetta della nostra intellighenzia, è indubbio che il tema è sul tappeto e va affrontato. Nei giorni scorsi è stato affrontato con profondità ed intelligenza anche da autorevoli esponenti della Chiesa italiana. Seppur con letture diverse e comprensibili approcci diversi. Dal Cardinale Camillo Ruini a monsignor Domenico Mogavero, dal direttore della Civiltà Cattolica Antonio Spadaro a padre Enzo Bianchi, dal cardinale Gualtiero Bassetti ad alcuni vertici delle associazioni cattoliche. Letture e approcci diversi, com’è giusto e scontato che sia.
Ma accomunati, guarda caso, da un filo rosso: e cioè, l’inopportunità, oggi, di dar vita ad un partito cattolico, dei cattolici, di cattolici, o di ispirazione cristiana. Le diverse sfumature sulla lettura dei fenomeni che caratterizzano e attraversano la società italiana e le possibili risposte che possono arrivare dalla frastagliata e pluralistica area cattolica non portano, comunque sia, alla ricostruzione immediata di un partito.
Ecco perché, forse, pur proseguendo la giusta e sacrosanta riflessione innescata dal ritorno – seppur periodico – della “questione cattolica”, in questa fase storica la presenza politica e la rilevanza pubblica dei cattolici italiani va ancora ricondotta e praticata nei partiti, nei movimenti e nei soggetti che attualmente sono in campo. Certo, con le ovvie e scontate differenze politiche e programmatiche che contraddistinguono i vari schieramenti e i vari partiti. Frutto, questo, del profondo, consolidato ed ormai acquisito pluralismo politico che attraversa il cosiddetto “popolo cattolico” nel nostro paese. Del resto, se non fosse così, non si capirebbe il perché dei ripetuti e quasi scientifici fallimenti politici ed elettorali dei vari tentativi messi in campo da quai 20 anni.
Nello specifico, e per quanto riguarda il campo del centrosinistra, forse è giunto anche il momento per favorire e tentare una ricomposizione dell’area cattolico popolare e cattolico democratica all’intero del Partito Democratico. Sempre che voglia confermare e consolidare l’intuizione iniziale della sua vocazione. Cioè quella di essere un partito plurale, articolato e non riconducibile ad una sola identità politica. Una ricomposizione ed una unità utili oggi in una fase politica ancora attraversata da contraddizioni e da impulsi autoritari e forse utile anche per domani quando il quadro politico potrebbe favorire nuove soluzioni e nuove ricette politiche ed organizzative.
Ma, per tornare al tema iniziale, continuare a parlare oggi di formare nuovi partiti riconducibili all’area cattolica rischia solo di favorire quella impotenza elettorale e quella sterilità politica che abbiamo conosciuto sino ad ora. Una operazione rischiosa oggi e che può ipotecare, purtroppo negativamente, anche le prospettive del futuro.
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