I motivi che giustificano la nostra presa di distanza dalla destra, perché di questo oggi voglio parlare, sono di natura ideale, storicamente consolidata nell’esperienza sturziana, degasperiana e morotea. Al tempo stesso, sono frutto di un’analisi delle conseguenze, negli anni recenti, dell’evoluzione sociale, economica e politica del Paese e delle responsabilità di quanti hanno sostenuto e sostengono un liberismo sfrenato, cui manca l’assunzione di una responsabilità sociale.
Registriamo l’allargamento delle disparità, della perdurante crisi della cosiddetta economia reale, di un generale processo di decadenza del mondo del lavoro, in cui sono coinvolte impresa e lavoratori. Il sistema delle Pmi, degli artigiani, dei commercianti, degli agricoltori è costretto a subire un vero e proprio attacco da parte della grande produzione e della grande distribuzione cui interessa, in realtà, la partecipazione ai processi di finanziarizzazione sopra ogni altra cosa.
Anche la destra ha contribuito alla distruzione dell’apparato istituzionale centrale e di quello delle autonomie locali. Dello Stato è stata evocata una presenza solo in termini retorici. Mentre si è agitato il problema della sicurezza, sorvolando sul fatto che si sono di fatto depotenziate le nostre forze dell’ordine, altro che il “ poliziotto di quartiere”, e lasciata la Giustizia nel caos, si sono ridotte qualità e la sostanza dell’erogazione dei servizi essenziali, a partire da quelli del Servizio sanitario nazionale e della scuola pubblica e paritaria, oltre che menomata la capacità d’intervento e di prossimità delle autonomie locali.
Anche a livello teorico e culturale ci troviamo di fronte a una destra incapace a formulare una proposta coerente e conseguente sulle istituzioni e sul loro ruolo, finendo per prefigurare una visione che oscilla tra, o che fa coincidere, loro intervento e loro assenza.
Abbiamo a lungo parlato e denunciato le contraddizioni di pensiero e di operatività da parte del centrosinistra. In maniera speculare e complementare, lo stesso discorso riguarda anche il centrodestra, anch’esso incapace ad offrire una credibile visione del futuro del Paese.
La crisi delle ideologie, in realtà, ne ha apparentemente lasciato in campo solo una: quella liberista. Anch’essa, però, ha finito per perdere peso in campo culturale, sociale e politico – istituzionale. Né più né meno com’è accaduto al pensiero socialista e a quello dei popolari e cattolici democratici. Questo spiega perché non hanno trovato valide alternative le forti pulsioni populiste e contraddittoriamente nazionaliste.
Anche a causa di gravi errori commessi da un centrosinistra sempre più autoreferenziale, prima vittima delle proprie dinamiche interne, sono cresciuti enormemente la Lega e i Fratelli d’Italia. Questi ultimi prossimi a raggiungere i livelli di consenso elettorale del Movimento Sociale Italiano. A conferma che le spinte neofasciste seguono un filo rosso, anzi nero, passato indenne attraverso circa 50 anni d’Italia democratica e antifascista.
Salvini presenta una destra dal volto nuovo anche se, preso com’è dalla ricerca del più alto numero di consensi possibili, non esita a rispolverare vecchi armamentari della retorica del passato. Questo spiega la necessità di alternare presenze al Papeete con il bacio del rosario.
La nostra posizione verso questa destra è chiara: siamo agli antipodi. Siamo stati e restiamo convinti che la società italiana abbia bisogno di un’autentica trasformazione. Essa può venire solamente da una scelta netta per la solidarietà, tra gli esseri umani e i gruppi sociali, e tra i territori. Crediamo nella sussidiarietà e, quindi, non in quel confuso miscuglio di centralismo e separatismo propugnato da Salvini nel tentativo di conciliare la creazione di un partito nuovo di destra a livello nazionale e, contemporaneamente, salvaguardare lo “ zoccolo duro” del leghismo. Questa oggettiva contraddizione è uno degli elementi che stanno alla base della sua recente estromissione dal Governo.
Un altro motivo di ferma e decisa avversità si ritrova nella nostra visione europea e internazionale. Che si giunga con la Russia a forme sempre più strette di pacifiche e costruttive relazioni è ovviamente condivisibile, ma che questo si trasformi in una forma di alleanza, come di fatto è sotteso nel rapporto di Salvini con Putin, diretta a minare dall’interno l’Europa, dev’essere assolutamente contrastato.
Anche sui rapporti con gli USA c’è molto da dire. Noi crediamo nel valore storico e strategico delle relazioni con gli Stati Uniti d’America. Parliamo di una relazione tra popoli e tra entità nazionali. Questo non significa, così, il farsi strumento di una sola parte, ben precisa, di quel popolo per partecipare ad un preciso disegno geopolitico, ideologicamente organizzato, che appare delinearsi con chiarezza. Questa parte di americani, fatta da gruppi e ambienti politico finanziari, alcuni degli esponenti dei quali sono stati allontanati persino dalla Casa Bianca da Donald Trump, finisce per riproporre una visione del mondo e delle relazioni internazionali contraddittoria rispetto a quelle storicamente consolidate e proprie di un Paese democratico dal cui interno sono partite importanti battaglie globali per il multilateralismo, contro le dittature, a favore dell’accoglienza e dell’inclusione, dirette allo sviluppo di parti sempre più vaste della popolazione mondiale, per la lotta alla fame, per l’attenzione e il rispetto dell’ambiente, la condivisione di scienza e tecnologia, ecc ecc.
Matteo Salvini crede nel concetto del “ first”: America first, Italia first. Sottovaluta, però, come tutti questi “ first” finiscano fatalmente per cozzare l’uno contro l’altro, come la battaglia sui dazi scatenati da Trump dimostra.
Nel centrodestra c’è quel che rimane di Forza Italia. Che il suo fronte abbia ceduto è cosa di cui oramai al suo interno tutti parlano liberamente. Non è tanto una Caporetto, bensì un lento consumarsi, fino al definitivo appassimento. Un fatto biologico, scritto nel Dna che pure ogni organismo collettivo ha radicato nella propria essenza.
In Forza Italia è rimasto un gruppo che non intende “ morire” leghista e che, comunque, resta lealmente al fianco del capo supremo: Silvio Berlusconi. Quel gruppo sa che non ci sarà alcuna battaglia finale in un bunker, ma sa bene che, a un certo punto, quello che è stato un grande fiume si perderà in mille rivoli.
A questi guarda, è evidente, Matteo Renzi. Egli pensa al “Centro” senza che questo mitico luogo, o concetto politico riesca a concretizzarsi attorno ad una proposta di autentica trasformazione necessaria per tutte le questioni sopra menzionate.
In realtà, gli italiani attendono ben altro. A partire da una politica che la smetta di essere fatua, verbosa e sterilmente contrapposta e riesca, invece, a ritrovare un’anima fatta di umanità, ragionevolezza e progetti sostenibili.
Registriamo l’allargamento delle disparità, della perdurante crisi della cosiddetta economia reale, di un generale processo di decadenza del mondo del lavoro, in cui sono coinvolte impresa e lavoratori. Il sistema delle Pmi, degli artigiani, dei commercianti, degli agricoltori è costretto a subire un vero e proprio attacco da parte della grande produzione e della grande distribuzione cui interessa, in realtà, la partecipazione ai processi di finanziarizzazione sopra ogni altra cosa.
Anche la destra ha contribuito alla distruzione dell’apparato istituzionale centrale e di quello delle autonomie locali. Dello Stato è stata evocata una presenza solo in termini retorici. Mentre si è agitato il problema della sicurezza, sorvolando sul fatto che si sono di fatto depotenziate le nostre forze dell’ordine, altro che il “ poliziotto di quartiere”, e lasciata la Giustizia nel caos, si sono ridotte qualità e la sostanza dell’erogazione dei servizi essenziali, a partire da quelli del Servizio sanitario nazionale e della scuola pubblica e paritaria, oltre che menomata la capacità d’intervento e di prossimità delle autonomie locali.
Anche a livello teorico e culturale ci troviamo di fronte a una destra incapace a formulare una proposta coerente e conseguente sulle istituzioni e sul loro ruolo, finendo per prefigurare una visione che oscilla tra, o che fa coincidere, loro intervento e loro assenza.
Abbiamo a lungo parlato e denunciato le contraddizioni di pensiero e di operatività da parte del centrosinistra. In maniera speculare e complementare, lo stesso discorso riguarda anche il centrodestra, anch’esso incapace ad offrire una credibile visione del futuro del Paese.
La crisi delle ideologie, in realtà, ne ha apparentemente lasciato in campo solo una: quella liberista. Anch’essa, però, ha finito per perdere peso in campo culturale, sociale e politico – istituzionale. Né più né meno com’è accaduto al pensiero socialista e a quello dei popolari e cattolici democratici. Questo spiega perché non hanno trovato valide alternative le forti pulsioni populiste e contraddittoriamente nazionaliste.
Anche a causa di gravi errori commessi da un centrosinistra sempre più autoreferenziale, prima vittima delle proprie dinamiche interne, sono cresciuti enormemente la Lega e i Fratelli d’Italia. Questi ultimi prossimi a raggiungere i livelli di consenso elettorale del Movimento Sociale Italiano. A conferma che le spinte neofasciste seguono un filo rosso, anzi nero, passato indenne attraverso circa 50 anni d’Italia democratica e antifascista.
Salvini presenta una destra dal volto nuovo anche se, preso com’è dalla ricerca del più alto numero di consensi possibili, non esita a rispolverare vecchi armamentari della retorica del passato. Questo spiega la necessità di alternare presenze al Papeete con il bacio del rosario.
La nostra posizione verso questa destra è chiara: siamo agli antipodi. Siamo stati e restiamo convinti che la società italiana abbia bisogno di un’autentica trasformazione. Essa può venire solamente da una scelta netta per la solidarietà, tra gli esseri umani e i gruppi sociali, e tra i territori. Crediamo nella sussidiarietà e, quindi, non in quel confuso miscuglio di centralismo e separatismo propugnato da Salvini nel tentativo di conciliare la creazione di un partito nuovo di destra a livello nazionale e, contemporaneamente, salvaguardare lo “ zoccolo duro” del leghismo. Questa oggettiva contraddizione è uno degli elementi che stanno alla base della sua recente estromissione dal Governo.
Un altro motivo di ferma e decisa avversità si ritrova nella nostra visione europea e internazionale. Che si giunga con la Russia a forme sempre più strette di pacifiche e costruttive relazioni è ovviamente condivisibile, ma che questo si trasformi in una forma di alleanza, come di fatto è sotteso nel rapporto di Salvini con Putin, diretta a minare dall’interno l’Europa, dev’essere assolutamente contrastato.
Anche sui rapporti con gli USA c’è molto da dire. Noi crediamo nel valore storico e strategico delle relazioni con gli Stati Uniti d’America. Parliamo di una relazione tra popoli e tra entità nazionali. Questo non significa, così, il farsi strumento di una sola parte, ben precisa, di quel popolo per partecipare ad un preciso disegno geopolitico, ideologicamente organizzato, che appare delinearsi con chiarezza. Questa parte di americani, fatta da gruppi e ambienti politico finanziari, alcuni degli esponenti dei quali sono stati allontanati persino dalla Casa Bianca da Donald Trump, finisce per riproporre una visione del mondo e delle relazioni internazionali contraddittoria rispetto a quelle storicamente consolidate e proprie di un Paese democratico dal cui interno sono partite importanti battaglie globali per il multilateralismo, contro le dittature, a favore dell’accoglienza e dell’inclusione, dirette allo sviluppo di parti sempre più vaste della popolazione mondiale, per la lotta alla fame, per l’attenzione e il rispetto dell’ambiente, la condivisione di scienza e tecnologia, ecc ecc.
Matteo Salvini crede nel concetto del “ first”: America first, Italia first. Sottovaluta, però, come tutti questi “ first” finiscano fatalmente per cozzare l’uno contro l’altro, come la battaglia sui dazi scatenati da Trump dimostra.
Nel centrodestra c’è quel che rimane di Forza Italia. Che il suo fronte abbia ceduto è cosa di cui oramai al suo interno tutti parlano liberamente. Non è tanto una Caporetto, bensì un lento consumarsi, fino al definitivo appassimento. Un fatto biologico, scritto nel Dna che pure ogni organismo collettivo ha radicato nella propria essenza.
In Forza Italia è rimasto un gruppo che non intende “ morire” leghista e che, comunque, resta lealmente al fianco del capo supremo: Silvio Berlusconi. Quel gruppo sa che non ci sarà alcuna battaglia finale in un bunker, ma sa bene che, a un certo punto, quello che è stato un grande fiume si perderà in mille rivoli.
A questi guarda, è evidente, Matteo Renzi. Egli pensa al “Centro” senza che questo mitico luogo, o concetto politico riesca a concretizzarsi attorno ad una proposta di autentica trasformazione necessaria per tutte le questioni sopra menzionate.
In realtà, gli italiani attendono ben altro. A partire da una politica che la smetta di essere fatua, verbosa e sterilmente contrapposta e riesca, invece, a ritrovare un’anima fatta di umanità, ragionevolezza e progetti sostenibili.
Sono consenziente. Mi pare una analisi equilibrata.