L'articolo che Angelo Panebianco ha scritto sulle riforme elettorali (“Corriere della sera” del 21 settembre scorso) mi induce a ritornare sulla questione e su alcuni nodi politici del dibattito.
Il titolo dell'articolo, La solita memoria corta, ricorda che discutiamo di riforme elettorali dal 1953; in quell'anno la DC, per difendere il centrismo e scongiurare uno scivolamento a destra varò una legge elettorale (proprozionale con premio di maggioranza) che fu definita “legge truffa” dall'opposizione e fu bocciata, per pochi voti, dagli elettori. In quegli anni, per favorire l'autonomia dei socialisti dalla politica frontista, fu varata la proporzionale per le elezioni amministrative, in precedenza maggioritarie. Solo dopo il '94, con l'elezione diretta del sindaco, le elezioni per le amministrazioni comunali sono ritornate maggioritarie.
Questi riferimenti dicono che sempre il dibattito sulle leggi elettorali si intreccia con gli interessi politici delle forze politiche in campo, sempre deve fare riferimento alla concreta situazione cui le riforme si riferiscono. Questa riflessione converge con le osservazioni di Panebianco : l'obiettivo cardine delle leggi elettorali è dare stabilità alla democrazia. Tuttavia Panebianco (qui il link al suo articolo) precisa che nessuna legge elettorale può dare questo risultato se prescinde dal radicamento sociale dei partiti; dalle tendenze sociali in atto (la radicalizzazione della lotta sociale e politica); dall'assetto istituzionale complessivo (di cui la legge elettorale è parte). E io aggiungo: la legge elettorale può influire, a sua volta, sulle tendenze sociali e sulla stessa qualità della democrazia. Tutto si tiene...
È sull'assetto istituzionale e sul sistema maggioritario che Panebianco si sofferma, per notare che nelle fasi storiche in cui, per le più diverse cause, si determina un indebolimento dei partiti e/o la radicalizzazione degli elettorati, la democrazia regge nei Paesi in cui gli assetti istituzionali sono costruiti in modo da favorire la stabilità politica e di governo. Mentre “è escluso che in Italia ciò sia possibile (…) che l'Italia possa essere una vera democrazia governante”. L'esperienza storica lo confermerebbe, anche se guardiamo ai governi democristiani “resi inamovibili dalla guerra fredda”, ma comunque instabili, anche quando la DC era il pilastro del sistema democratico.
La Costituzione è messa sul banco degli imputati, poiché “la costituzione più bella del mondo” ha generato un regime assembleare con governi istituzionalmente deboli. Il realtà il patriottismo costituzionale, il regime assembleare, riconoscono la “centralità del Parlamento”, e a questa centralità si riferiva, in quegli anni, la legge proporzionale.
Dobbiamo allora chiederci: negli anni caratterizzati dalla guerra fredda e dalla radicalizzazione della lotta politica, il maggioritario avrebbe favorito l'affermarsi della democrazia meglio del proporzionale ?
Se questo è l'avvio del discorso, è facile capire perché il sistema elettorale non può rimediare, da solo, alla debolezza del governo. Tuttavia Panebianco porta la sua riflessione alle necessarie conseguenze. Riferendosi al referendum Segni e ad altri tentativi di riforma in senso maggioritario della legge elettorale scrive: “Non pensavamo che la riforma elettorale bastasse per fare dell'Italia una autentica democrazia governante... (Quello era) solo il primo passo: l'obiettivo era cambiare la Costituzione, trasformare il regime assembleare in una democrazia governante”. Per Panebianco il “patriottismo costituzionale” sulla “legge più bella del mondo” in realtà porta al “conservatorismo costituzionale”.
Credo di non forzare questo pensiero se scrivo che l'obiettivo dei maggioritari è il presidenzialismo. E se aggiungo che anche questa ipotesi per essere giudicata avrebbe calarsi nella storia italiana, misurarsi con il clima della guerra fredda, con la radicalizzazione sociale e politica, con la cultura dominante nel '900...
Quale presidenzialismo? I suoi fautori hanno parlato di una riforma che dovrebbe dare vita a un presidenzialismo coniugato con una maggioranza parlamentare, a un presidente leader della maggioranza parlamentare, al “sindaco italiano”. Non a un Presidente eletto con voto distinto dal voto per il Parlamento (come in USA e in Francia). Oggi, per i sovranisti, l'ideale è Putin: i pieni poteri.
Se questo fosse il progetto, una legge elettorale che determina una maggioranza parlamentare in grado, da sola, di garantire la stabilità del governo e l'elezione del Presidente, questa legge comporterebbe una “riforma costituzionale” per l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, per evitare una degenerazione dello stato democratico in stato autoritario. Il Presidente è garante della Costituzione, non leader della maggioranza parlamentare. USA e Francia insegnano quale riforma si dovrebbe fare, e il professor Sartori direbbe perché tra i sistemi maggioritari per il Parlamento sarebbe preferibile il sistema francese del doppio turno; la Gran Bretagna non può dare suggerimenti, perché lì c'è la monarchia, come in Olanda, in Belgio e anche in Spagna.
Nella fase finale della sua riflessione Panebianco critica le diverse riforme sperimentate dopo la fine della Prima Repubblica, qualificate politicamente dal tramonto del centrismo democristiano e dal continuo discutere sul bipolarismo, “di qua o di la.”. Le cose sono andate diversamente..: E ha ragione quando scrive che le diverse riforme sono riferibili a sistemi misti, più che a leggi proporzionali o a leggi maggioritarie, ed è condivisibile anche quando, riferendosi al cosiddetto Rosatellum sperimentato nelle elezioni del 2018, e a un governo costruito su un “contratto” per mettere insieme due partiti alternativi, dice che “nulla può essere peggio”.
Questa riflessione spiega per quale ragione è così difficile un'intesa tra proporzionalisti e maggioritari. E perché nell'esperienza italiana si è trattato di sistemi misti, più che di una proporzionale corretta, per ridurre la dispersione del voto e per favorire la formazione di una maggioranza parlamentare. La riforma in senso proporzionale di cui si parla potrebbe confermare la centralità del Parlamento, con i limiti, ma anche con le virtù della liberaldemocrazia; ed eviterebbe il rischio di ridurre il ruolo del Parlamento a “ciambellano” dell'esecutivo, di scivolare nella democrazia illiberale.
Quale tra le due tendenza è più rispettosa della Costituzione ?
P.S. Se debbo ridurre ad un tweet la mia riflessione, scrivo:
Il proporzionale guarda al pluralismo, al rispetto delle minoranze (sale della democrazia), alla centralità del Parlamento; il suo tallone d'Achille è l'instabilità delle maggioranze, limite che si può correggere (con sbarramenti alla rappresentanza, premi alla maggioranza...). Il maggioritario guarda alla democrazia governante, al bipolarismo, alla democrazia diretta, al presidenzialismo. Il suo tallone è… il bonapartismo. E il limite del bonapartismo è... il diluvio.
Purtroppo, caro Guido, passano gli anni ma la battaglia per difendere la rappresentanza sociale, culturale e territoriale continua. Tu ancora una volta ci aiuti a capire il vero obiettivo di chi vuole il maggioritario, l’uninominale, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica: che tu giustamente definisci un sistema autoritario. Può darsi che da Segni in avanti non si siano ancora esauriti i danni per volere riforme elettorali e istituzionali solo per arrivare all’uomo forte? L’impegno e la battaglia continua per difendere il Parlamentarismo.