All’indomani delle elezioni politiche del marzo 2018 con un gruppo di amici cattolici democratici e popolari sparsi nelle varie regioni italiane, abbiamo dato vita a Rete Bianca. Un movimento politico e culturale che aveva, ed ha, come unico obiettivo quello di favorire e agevolare una potenziale ricomposizione di un’area culturale che da troppo tempo vive nell’incertezza, nel disorientamento e nella cronica frammentazione. Non c’era, e non c’è come ovvio, alcuna volontà di dar vita ad un partito organizzato ma l’ambizione – quella sì – di accelerare un rinnovato impegno politico di quest’area culturale.
Ora, ad oltre un anno dalla nascita di questo movimento, il bilancio non può che essere schiettamente positivo e anche incoraggiante. E questo per tre motivi di fondo.
Innanzitutto, e anche grazie al nostro stimolo intellettuale, culturale e politico, abbiamo contribuito a richiamare l’attenzione per una nuova stagione di impegno pubblico organizzato dei cattolici italiani. Con un metodo che ci ha sempre accompagnati e caratterizzati. E cioè, nessuna deriva clericale, nessuna regressione confessionale e, soprattutto, nessuna tendenza a rappresentare in modo esclusivo la rappresentanza politica di quest’area. Un metodo che ci ha resi immuni sin dall’inizio dalla cronica tentazione di molti gruppi e realtà associative cattoliche che si dichiarano disponibili al confronto e al dialogo con tutti ma poi, concretamente, coltivano il retro pensiero di essere i depositari esclusivi della esperienza storica dei cattolici italiani. Rete Bianca, al riguardo, ha sempre sostenuto che è sicuramente positivo ricomporre – per quel che è possibile – i vari spezzoni dell’area cattolico democratico e cattolico popolare nel nostro Paese ma, al contempo, si è sempre resa disponibile a costruire un percorso politico per la definizione di uno strumento politico laico, plurale, sinceramente riformista e autenticamente democratico.
In secondo luogo Rete Bianca ha sostenuto, sin dall’inizio, la necessità di riproporre nella dialettica politica italiana il tema del “centro”. Ma, per fugare ogni equivoco o regressione nostalgica, un centro mobile, plurale, innovativo e moderno. Ovvero, l’esatto contrario di un centro che coltiva solo un posizionamento geometrico e funzionale alla sola logica del potere. Un centro, invece, espressione di un progetto politico, di una cultura politica accompagnato da una classe dirigente qualificata, espressiva e fortemente radicata nel territorio. Un centro che, tra l’altro, è ritornato a far breccia nel dibattito politico, culturale e accademico del nostro Paese e che viene riproposto, paradossalmente, proprio da coloro che l’hanno delegittimato e rimosso del tutto per oltre vent’anni. Per ironia della sorte, oggi sono proprio costoro i principali sostenitori della cultura, del progetto e del partito di centro nella dialettica democratica del nostro Paese.
In ultimo, e forse questo è l’elemento più rilevante, Rete Bianca ha sostenuto sin dall’inizio della sua esperienza che in politica si è credibili, e si resta protagonisti ed interlocutori, solo se si è anche portatori di una cultura politica. E quindi di un progetto politico. Per dirla con il presidente Ciriaco De Mita, di un “pensiero”. Ed è proprio su questo versante che entra in gioco la categoria politica che ha caratterizzato la miglior stagione del cattolicesimo politico, sociale e popolare nella storia democratica del nostro Paese: e cioè, la capacità di saper declinare un progetto politico frutto di una cultura politica e non di una improvvisazione superficiale e dettata dalla sola ricerca di spazi e ruoli. Cioè di potere.
Ecco perché l’esperienza di Rete Bianca merita di continuare. Dialogando con tutti e sempre disponibile, com’è nella sua ragione sociale, a mettersi in gioco per ricercare la strada dell’unità e della “contaminazione” culturale e ideale con altri filoni ideali ed esperienze sociali. Senza arroganza, senza esclusivismi e, soprattutto, senza presunzione. Del resto, la presunta, e ridicola, superiorità etica e moralistica appartiene di diritto alla sinistra italiana che l’attuale partito di Zingaretti interpreta alla perfezione. Un vizio che non appartiene alla nostra storia, alla nostra cultura e al nostro modo d’essere nella politica e nella società.
Ora, ad oltre un anno dalla nascita di questo movimento, il bilancio non può che essere schiettamente positivo e anche incoraggiante. E questo per tre motivi di fondo.
Innanzitutto, e anche grazie al nostro stimolo intellettuale, culturale e politico, abbiamo contribuito a richiamare l’attenzione per una nuova stagione di impegno pubblico organizzato dei cattolici italiani. Con un metodo che ci ha sempre accompagnati e caratterizzati. E cioè, nessuna deriva clericale, nessuna regressione confessionale e, soprattutto, nessuna tendenza a rappresentare in modo esclusivo la rappresentanza politica di quest’area. Un metodo che ci ha resi immuni sin dall’inizio dalla cronica tentazione di molti gruppi e realtà associative cattoliche che si dichiarano disponibili al confronto e al dialogo con tutti ma poi, concretamente, coltivano il retro pensiero di essere i depositari esclusivi della esperienza storica dei cattolici italiani. Rete Bianca, al riguardo, ha sempre sostenuto che è sicuramente positivo ricomporre – per quel che è possibile – i vari spezzoni dell’area cattolico democratico e cattolico popolare nel nostro Paese ma, al contempo, si è sempre resa disponibile a costruire un percorso politico per la definizione di uno strumento politico laico, plurale, sinceramente riformista e autenticamente democratico.
In secondo luogo Rete Bianca ha sostenuto, sin dall’inizio, la necessità di riproporre nella dialettica politica italiana il tema del “centro”. Ma, per fugare ogni equivoco o regressione nostalgica, un centro mobile, plurale, innovativo e moderno. Ovvero, l’esatto contrario di un centro che coltiva solo un posizionamento geometrico e funzionale alla sola logica del potere. Un centro, invece, espressione di un progetto politico, di una cultura politica accompagnato da una classe dirigente qualificata, espressiva e fortemente radicata nel territorio. Un centro che, tra l’altro, è ritornato a far breccia nel dibattito politico, culturale e accademico del nostro Paese e che viene riproposto, paradossalmente, proprio da coloro che l’hanno delegittimato e rimosso del tutto per oltre vent’anni. Per ironia della sorte, oggi sono proprio costoro i principali sostenitori della cultura, del progetto e del partito di centro nella dialettica democratica del nostro Paese.
In ultimo, e forse questo è l’elemento più rilevante, Rete Bianca ha sostenuto sin dall’inizio della sua esperienza che in politica si è credibili, e si resta protagonisti ed interlocutori, solo se si è anche portatori di una cultura politica. E quindi di un progetto politico. Per dirla con il presidente Ciriaco De Mita, di un “pensiero”. Ed è proprio su questo versante che entra in gioco la categoria politica che ha caratterizzato la miglior stagione del cattolicesimo politico, sociale e popolare nella storia democratica del nostro Paese: e cioè, la capacità di saper declinare un progetto politico frutto di una cultura politica e non di una improvvisazione superficiale e dettata dalla sola ricerca di spazi e ruoli. Cioè di potere.
Ecco perché l’esperienza di Rete Bianca merita di continuare. Dialogando con tutti e sempre disponibile, com’è nella sua ragione sociale, a mettersi in gioco per ricercare la strada dell’unità e della “contaminazione” culturale e ideale con altri filoni ideali ed esperienze sociali. Senza arroganza, senza esclusivismi e, soprattutto, senza presunzione. Del resto, la presunta, e ridicola, superiorità etica e moralistica appartiene di diritto alla sinistra italiana che l’attuale partito di Zingaretti interpreta alla perfezione. Un vizio che non appartiene alla nostra storia, alla nostra cultura e al nostro modo d’essere nella politica e nella società.
Lascia un commento