Dunque, alcuni organi di informazione hanno annunciato, in termini un po' frettolosi, che sta per nascere un "partito dei cattolici". Come è noto a tutti, e non solo agli addetti ai lavori, il "partito dei cattolici", da Sturzo in poi, in Italia non è mai esistito.
Infatti, il PPI sturziano era un "partito laico, aconfessionale, di programma e aperto a tutti gli uomini liberi e forti". La Democrazia cristiana, anche se per circostanze storiche e politiche raccoglieva il consenso della stragrande maggioranza dei cattolici italiani, non è mai stata un partito confessionale, o integralistico o di diretta provenienza di settori della Chiesa. Era, in effetti, un partito “di” cattolici e non “dei” cattolici". La sua feconda e significativa esperienza cinquantennale ha sempre respinto quelle tentazioni. Per non parlare del Partito popolare italiano di Martinazzoli, nato in un momento drammatico per la storia politica italiana ma, comunque sia, profondamente ancorato alla tradizione del miglior cattolicesimo democratico e popolare. Dopo di che, le alterne vicende del Partito Democratico da un lato, o di Forza Italia e dell'UDC dall'altro, hanno segnato la fine e il tramonto di quella esperienza nella concreta dialettica politica nel nostro Paese.
Ora, il voto del 4 marzo ha segnato, in modo forse definitivo, il tramonto di quei partiti che, nel bene e nel male, avevano intercettato quote crescenti di elettorato riconducibile alla seppur variegata e composita area cattolica italiana. Da un lato la trasformazione del PD in un rinnovato PDS, con tanti saluti alla vocazione maggioritaria e alla natura plurale del partito, e dall'altro l'esaurirsi del ruolo politico di Forza Italia con l'irruzione e il protagonismo politico della Lega di Salvini, hanno chiuso una pagina che per oltre 15 anni ha caratterizzato il confronto politico italiano. Di qui anche la l'archiviazione dei tradizionali campi politici, ovvero l'ex centrodestra e l'ex centrosinistra. L'UDC non merita commenti perché è già scomparsa da tempo.
Ed è proprio in questo contesto che emerge la necessità di ridare voce, sostanza e futuro a una esperienza politica popolare, democratica, riformista, laica e di ispirazione cristiana, riconducibile alla grande tradizione del cattolicesimo democratico, popolare e sociale che nel nostro Paese, nelle diverse fasi storiche, ha sempre giocato un ruolo significativo e decisivo. Un vuoto che è fortemente percepito in tutto il Paese e che invoca una nuova rappresentanza a cui va data una riposta politica, culturale, programmatica e organizzativa.
Certo, è positivo che ci siano molti sforzi in questa direzione. Ed è del tutto comprensibile, nonché giustificato, che ci siano svariati protagonismi. Personali e di gruppo. Ognuno, in buona fede, si sente depositario quasi esclusivo di questa nuova e indispensabile rappresentanza politica futura.
Ma, per evitare di cadere in spiacevoli equivoci, forse è opportuno ricordare almeno tre titoli.
Innanzitutto una nuova, e necessaria, esperienza politica popolare e di ispirazione cristiana non può essere l'emanazione di esigenze o di richieste ecclesiali. Il "partito dei cattolici" non rientra nella tradizione del cattolicesimo democratico italiano. Non è mai esistito, e malgrado ripetute sollecitazioni di alcuni settori del mondo cattolico, difficilmente potrà decollare nel futuro.
In secondo luogo una nuova formazione politica popolare non può essere l'espressione di un solo gruppo, di una sola associazione, di un solo movimento e via discorrendo. La vera sfida è quella, come sempre capita in politica e nelle formazioni democratiche, di saper costruire una sintesi efficace e feconda tra le varie sensibilità presenti nell'arcipelago cattolico italiano. Nessun protagonismo, nessun esclusivismo e nessuna arroganza al riguardo. La fatica della "mediazione" – risorsa etica e culturale tipica della tradizione del miglior cattolicesimo democratico – e la costruzione della sintesi erano e restano gli ingredienti fondamentali per far decollare compiutamente questa nuova avventura politica.
In ultimo, è perfettamente inutile continuare a lanciare reciproche accuse sul chi si è "venduto" a Berlusconi o alla sinistra. Se si continua a ragionare con gli schemi, ormai superati, della Seconda Repubblica inesorabilmente si compromette il disegno politico di un rinnovato protagonismo politico dei cattolici popolari e sociali. Schemi superati perché Forza Italia e il PD sono irreversibilmente cambiati. Il PD è destinato a diventare, e già lo è, il nuovo PDS. Ovvero, il partito della sinistra italiana dopo aver archiviato definitivamente, questo sì, il partito delle origini guidato da Veltroni. Forza Italia, sul versante opposto – per modo di dire – è diventata un semplice gregario della Lega di Salvini.
Semmai, e al contrario, la nuova e futura formazione politica popolare e cristianamente ispirata non potrà che essere autonoma con un proprio profilo politico definito e una identità altrettanto chiara e netta. E, soprattutto, dovrà essere un movimento collettivo e di massa, mettendo al bando i personalismi, i ridicoli protagonismi dei singoli e le benedizioni troppo interessate.
Infatti, il PPI sturziano era un "partito laico, aconfessionale, di programma e aperto a tutti gli uomini liberi e forti". La Democrazia cristiana, anche se per circostanze storiche e politiche raccoglieva il consenso della stragrande maggioranza dei cattolici italiani, non è mai stata un partito confessionale, o integralistico o di diretta provenienza di settori della Chiesa. Era, in effetti, un partito “di” cattolici e non “dei” cattolici". La sua feconda e significativa esperienza cinquantennale ha sempre respinto quelle tentazioni. Per non parlare del Partito popolare italiano di Martinazzoli, nato in un momento drammatico per la storia politica italiana ma, comunque sia, profondamente ancorato alla tradizione del miglior cattolicesimo democratico e popolare. Dopo di che, le alterne vicende del Partito Democratico da un lato, o di Forza Italia e dell'UDC dall'altro, hanno segnato la fine e il tramonto di quella esperienza nella concreta dialettica politica nel nostro Paese.
Ora, il voto del 4 marzo ha segnato, in modo forse definitivo, il tramonto di quei partiti che, nel bene e nel male, avevano intercettato quote crescenti di elettorato riconducibile alla seppur variegata e composita area cattolica italiana. Da un lato la trasformazione del PD in un rinnovato PDS, con tanti saluti alla vocazione maggioritaria e alla natura plurale del partito, e dall'altro l'esaurirsi del ruolo politico di Forza Italia con l'irruzione e il protagonismo politico della Lega di Salvini, hanno chiuso una pagina che per oltre 15 anni ha caratterizzato il confronto politico italiano. Di qui anche la l'archiviazione dei tradizionali campi politici, ovvero l'ex centrodestra e l'ex centrosinistra. L'UDC non merita commenti perché è già scomparsa da tempo.
Ed è proprio in questo contesto che emerge la necessità di ridare voce, sostanza e futuro a una esperienza politica popolare, democratica, riformista, laica e di ispirazione cristiana, riconducibile alla grande tradizione del cattolicesimo democratico, popolare e sociale che nel nostro Paese, nelle diverse fasi storiche, ha sempre giocato un ruolo significativo e decisivo. Un vuoto che è fortemente percepito in tutto il Paese e che invoca una nuova rappresentanza a cui va data una riposta politica, culturale, programmatica e organizzativa.
Certo, è positivo che ci siano molti sforzi in questa direzione. Ed è del tutto comprensibile, nonché giustificato, che ci siano svariati protagonismi. Personali e di gruppo. Ognuno, in buona fede, si sente depositario quasi esclusivo di questa nuova e indispensabile rappresentanza politica futura.
Ma, per evitare di cadere in spiacevoli equivoci, forse è opportuno ricordare almeno tre titoli.
Innanzitutto una nuova, e necessaria, esperienza politica popolare e di ispirazione cristiana non può essere l'emanazione di esigenze o di richieste ecclesiali. Il "partito dei cattolici" non rientra nella tradizione del cattolicesimo democratico italiano. Non è mai esistito, e malgrado ripetute sollecitazioni di alcuni settori del mondo cattolico, difficilmente potrà decollare nel futuro.
In secondo luogo una nuova formazione politica popolare non può essere l'espressione di un solo gruppo, di una sola associazione, di un solo movimento e via discorrendo. La vera sfida è quella, come sempre capita in politica e nelle formazioni democratiche, di saper costruire una sintesi efficace e feconda tra le varie sensibilità presenti nell'arcipelago cattolico italiano. Nessun protagonismo, nessun esclusivismo e nessuna arroganza al riguardo. La fatica della "mediazione" – risorsa etica e culturale tipica della tradizione del miglior cattolicesimo democratico – e la costruzione della sintesi erano e restano gli ingredienti fondamentali per far decollare compiutamente questa nuova avventura politica.
In ultimo, è perfettamente inutile continuare a lanciare reciproche accuse sul chi si è "venduto" a Berlusconi o alla sinistra. Se si continua a ragionare con gli schemi, ormai superati, della Seconda Repubblica inesorabilmente si compromette il disegno politico di un rinnovato protagonismo politico dei cattolici popolari e sociali. Schemi superati perché Forza Italia e il PD sono irreversibilmente cambiati. Il PD è destinato a diventare, e già lo è, il nuovo PDS. Ovvero, il partito della sinistra italiana dopo aver archiviato definitivamente, questo sì, il partito delle origini guidato da Veltroni. Forza Italia, sul versante opposto – per modo di dire – è diventata un semplice gregario della Lega di Salvini.
Semmai, e al contrario, la nuova e futura formazione politica popolare e cristianamente ispirata non potrà che essere autonoma con un proprio profilo politico definito e una identità altrettanto chiara e netta. E, soprattutto, dovrà essere un movimento collettivo e di massa, mettendo al bando i personalismi, i ridicoli protagonismi dei singoli e le benedizioni troppo interessate.
Non si può semplicemente dire che il “partito cattolico” (meglio: “partito cristiano”) non è il partito della gerarchia della Chiesa cattolica né di laici sedicenti cristiani, ma di persone che s’impegnano nell’agone politico per far sì che il Bene Comune sia costruito alla luce dei valori crisiani? Di laici cristiani che si compattano in un’unitaria entità politica perché la diaspora fra diverse formazioni politiche non paga ai fini dell’affermazione del Bene Comune definito secondo i valori cristiani?
Molto bravo Giorgio Merlo a sintetizzare una tematica che non ha più un grande significato dal punto di vista quantitativo, ma sicuramente valida per la qualità delle problematiche e delle argomentazioni. E’proprio in relazione a detta positività che mi permetto sommessamente aggiungere una piccola raccomandazione: sarebbe forse opportuno osservare, nel dibattito, la ricerca di una maggiore precisione di linguaggio. Cristiani e cattolici non sono termini sinonimi (occorre ricordare il significato di “cattolico”) come ben precisò Maritain nel dicembre 1965 a commento della chiusura del Concilio Vaticano II e del discorso di Paolo VI in punto. Come non hanno lo stesso significato uguaglianza, equità, giustizia sociale, e cosi via. E non è solo una mera questione di metodo, anche se – ad esempio – nel dibattito attuale sulle scelte che dovrebbe realizzare il “nuovo” partito democratico tutto è metodo e nulla si avvicina, anche alla lontana, ai contenuti.