Sinistra, la ragione vicina della sconfitta



Alessandro Risso    26 Giugno 2018       11

Il nuovo governo legastellato sta monopolizzando l’attenzione, come è naturale che sia. Anche noi seguiamo i passi di questo strano connubio tra i partiti populisti nella realizzazione del loro “contratto”. Lo facciamo con curiosità e preoccupazione, viste le distanze che ci separano dai 5 Stelle, per non parlare della Lega. Da Popolari, una delle grandi famiglie culturali del riformismo italiano, ci stanno invece a cuore le prospettive del centrosinistra. E per questo motivo dobbiamo ancora ultimare un compito lasciato a metà: fissare le cause del tracollo del Partito Democratico alle ultime elezioni politiche. Tracollo confermato dalle amministrative, che nei ballottaggi hanno appena emesso gli ultimi responsi.

Beppe Ladetto ha scritto tempo fa un articolo da incorniciare, sottolineando come la crisi della sinistra sia diffusa in tutto il mondo occidentale e risalga a cause lontane nel tempo. Tutto giusto, tutto vero. Però il suo scritto contribuisce, involontariamente, a rimuovere il passato prossimo, in una sorta di indulgenza per i suoi protagonisti, visti come incolpevoli vittime di un processo storico ineluttabile. Che i diretti interessati tendano ad autoassolversi, può essere comprensibile. Lo è meno che un partito “democratico”, non solo nel nome, continui a rinviare una ineludibile analisi su limiti e derive delle scelte compiute. Ladetto ci ha aiutati a non essere miopi, cogliendo le ragioni di lungo periodo della crisi delle socialdemocrazie. Ma chi vede bene, lo fa sia da lontano sia da vicino. Per non essere presbiti, occorre fare i conti con le ragioni vicine della crisi del centrosinistra in Italia.

E queste, piaccia o no, le possiamo ricondurre a una persona: Matteo Renzi.

Solo in piccola parte per il suo carattere e la concezione dei rapporti personali e politici. Certo, ha trasformato il PD, partito plurale, in un partito personale, diventandone il leader “esclusivo”, cioè non preoccupato di includere, di farsi carico della complessità – quindi delle diverse sensibilità culturali, che sono una ricchezza in termini di consenso – ma solo di imporre la sua leadership. Ricordate il “Fassina chi?” e i ripetuti richiami alla porta sempre aperta, in uscita, per gli oppositori interni? Un atteggiamento nocivo almeno quanto il cinismo – “#enricostaisereno” – e la mal repressa arroganza.

Ma il giudizio sul segretario PD, e premier per tre anni e mezzo, va espresso sulla base delle scelte di strategia e di governo compiute. Lo scrivevamo già in tempi non sospetti, nel dicembre 2013, al termine di un articolo che chiudeva un serrato dibattito innescato da un editoriale intitolato Nel PD è morto il popolarismo. Mi scuso per l'autocitazione, ma vale la pena di rileggere la parte finale del successivo articolo (I Popolari nel PD di Renzi) in cui tiravo le somme dei tanti interventi sul tema:

«C’è la possibilità concreta che il PD si trasformi in PdR, Partito di Renzi. Non posso dire che questo sia un male in assoluto, vista la necessità di cambiare tante cose che non funzionano in questo disastrato Paese e aprendo un credito verso il nuovo leader del PD come motore del cambiamento. Ma “cambiare verso” dove? Come ha scritto il nostro amico senatore, e convinto renziano, Stefano Lepri sul suo blog, “ora abbiamo la forza per mettere definitivamente da parte il ‘verso’ dell’Italia e del PD che non sopportiamo più: il vizio egemonico, il consociativismo, la melma di sistemi elettorali che non fanno decidere e aumentano il debito pubblico, la protezione delle solite categorie e professioni, lo strapotere della burocrazia, l’influenza indebita della politica nella giustizia e viceversa, gli intrecci perversi tra banche, imprese e cosa pubblica, l’egoismo di chi ha avuto di più e si lamenta pure, la trascuratezza dei beni più preziosi cioè l’educazione, la cultura, il territorio…”

Come sempre conteranno i fatti, non i proclami. Staremo a vedere se, una dopo l’altra, le decisioni prese andranno a favorire riforme all’insegna dell’efficienza e dell’equità – colpendo al cuore ingiustificati privilegi, corruzione, evasione fiscale – oppure se assisteremo principalmente a furbizie di demagogia mediatica, scivolando sempre più verso una inesorabile deriva personalistica e plebiscitaria».

Questo scrivevamo, lo ricordo, nel dicembre 2013.

Nella primavera precedente Renzi era stato il regista della spallata a Bersani: il “non vincitore” delle elezioni viene affossato politicamente dalla doppia bocciatura dei candidati proposti alla Presidenza della Repubblica ad opera dei “franchi tiratori”, quasi annunciati per la votazione su Marini, inattesi per quella su Prodi.

Con l’eccezionale rielezione di Napolitano, un ex PCI, Renzi ottiene lo scopo di lasciare spazio ad un centrista alla guida del governo. Infatti Enrico Letta diventa primo ministro. L’homo novus toscano può dedicarsi alla facile conquista della guida del partito, che ottiene con le primarie di fine 2013.

Forte dell’investitura ottenuta, defenestra Letta e diventa premier, aiutato dalla scelta governista di Alfano. Ha il vento in poppa, e alle Europee del maggio 2014 ottiene il tanto decantato 41% di consensi. Un successo dovuto a un insieme di fattori: la novità rappresentata da Renzi, visto come “speranza di cambiamento”; il crollo di credibilità di Berlusconi e Bossi per scandali e condanne; il pentimento degli elettori di sinistra, che un anno prima avevano votato 5 Stelle“per dare un segnale” facendo mancare i voti necessari al successo pieno, delusi dall’intransigenza dei grillini nel chiudere ogni spiraglio ad un governo con il PD. Così, di fronte ad alternative scadenti – Grillo inconcludente e Berlusconi impresentabile – su Renzi si riversano i voti di centrosinistra e anche una bella fetta di elettorato ex Forza Italia.

Galvanizzato dall’inebriante risultato elettorale, Renzi pensa di essere il dominus della situazione e di potersi permettere ogni cosa. Per carità, niente di paragonabile ai vizi di Berlusconi, con cui però condivide alcuni aspetti: il protagonismo mediatico, la disinvoltura e l’eloquio davanti ai microfoni, la scelta “estetica” delle donne capolista alle Europee, la ricerca del consenso immediato attraverso una gestione pragmatica del potere, con un colpo al cerchio e uno alla botte. Così la sinistra politica viene subito gratificata dall’adesione del PD al partito socialista europeo e poi dalla resurrezione dell’“Unità”, quella sindacale dai celebri 80 euro – il padre di tutti i bonus – ai salariati tutelati, quella salottiera dalla legge sulle unioni civili. Non sono mancate altre scelte, positive, “di sinistra” (reddito di inclusione, “dopo di noi” a tutela dei disabili, un esempio di “pagare tutti per pagare meno” con il canone RAI in bolletta e ridotto) ma tanti sono stati i provvedimenti definibili “di destra”. Dalla marchetta ai petrolieri (che ha originato il referendum sulle trivelle) all’abolizione dell’IMU sulla prima casa, dal Jobs Act (con la cancellazione dell’articolo 18 e il laissez faire sulla precarizzazione del lavoro) al mantenimento della tassazione agevolata per gli straordinari (altro che “lavorare meno, lavorare tutti”...), dall’autoritarismo nella “Buona scuola” (dove neppure la Gelmini aveva osato tanto...) all’aumento dell’uso del contante a 3000 euro (Berlusconi, uno che l’evasione fiscale la pratica e la giustifica, si era fermato a mille...). La sovrapposizione al Cavaliere ha raggiunto l'apice quando Renzi è arrivato a rilanciare la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina.

Aver attuato così tanti cavalli di battaglia berlusconiani gli avrà anche portato l’appoggio parlamentare di Verdini e soci, ma ha creato un comprensibile disorientamento a sinistra. Renzi non se ne è preoccupato, perché perseguiva un altro disegno. Il suo disinvolto pragmatismo era funzionale a creare un indistinto partito della nazione, all’insegna del “nuovo” (Renzi stesso), capace di rottamare un colpo solo i due protagonisti del bipolarismo della Seconda Repubblica: il centrosinistra ulivista e il centrodestra berlusconiano. Il nuovo PdR, depurato dai vecchi arnesi ulivisti e post-comunisti, e l’elettorato berlusconiano si sarebbero dovuti unire in un grande partito moderato di governo che avrebbe tenuto fuori le forze antisistema – Lega e 5 Stelle – oltre ai nostalgici di falce e martello.

Funzionale al disegno una legge elettorale (l’Italicum, una volta messo fuori uso il Porcellum dalla Consulta) fatta per assicurare una maggioranza blindata al più forte. La successiva grande riforma costituzionale sarebbe stata la chiusura necessaria dell’operazione per facilitare l’esercizio del potere da parte del governo. Sappiamo come è andato a finire il referendum sulla riforma Renzi-Boschi. Quel passaggio politico ha evidenziato l’esistenza di una maggioranza del 59% di italiani contraria al leader fiorentino. Il quale si è però convinto di poter cementare il restante 41% (curiosamente la stessa percentuale delle europee) convinto che il fronte opposto non sarebbe mai riuscito a trovare una intesa politica. Ed è partito all’attacco dei populismi con toni da demagogo che sono da sempre nelle sue corde inseguendoli sul loro stesso terreno – come aveva già fatto abolendo le Province appena insediato – facendo a gara a chi promette di più o critica con più forza l’Europa (da ricordare la bandiera UE tolta dal suo studio a Palazzo Chigi). Come è andata a finire questa rincorsa al conquistare il “voto di pancia” degli italiani, lo abbiamo visto il 4 marzo scorso.

Se dovessi però condensare il fallimento di Renzi all’essenziale, evidenzierei due aspetti.

Il primo: si è posto a parole come leader del cambiamento, ma nei fatti ha garantito i poteri forti ed è diventato il paladino dei ministeriali. Chi aveva apprezzato il giovane leader fiorentino quando alle primarie parlava di riequilibrio delle pensioni, di ricambio nelle sfere dirigenziali pubbliche, di una RAI libera dai partiti, ha visto questi buoni propositi cadere nel dimenticatoio. Dove è finito anche Cottarelli con le sue proposte per la razionalizzazione della spesa pubblica, che ha messo in allarme tanti alti papaveri del potere centrale e regionale. Renzi è stato di fatto il garante di un sistema che non ha voluto cambiare; ma, dove è riuscito, ha solo sostituito con suoi fedeli.

Intorno a sé ha costruito un clan di potere (“il Giglio magico”, lo hanno battezzato i media) degenerato dalla Leopolda, con un curioso nepotismo alla rovescia, in cui i figli aprono le porte a padri banchieri e faccendieri. Al di là di responsabilità di rilievo penale, tutte da dimostrare, il “Giglio magico” si rivela comunque l’ennesima storia italica di “familismo amorale”. Altro che cambiamento…

Ma il fallimento principale è ancora un altro: Renzi ha puntato sul recupero di fiducia delle famiglie, perché mettessero mano ai loro risparmi per innescare la crescita. Obiettivo condivisibile, risoltosi però in un fiasco totale. Non basta raccontare che tutto va bene, che la crescita è alle porte, che le riforme stanno facendo mirabilie, se la realtà - vera e percepita - indica il contrario. Forse tanti italiani ricordano ancora lo slogan della Galbani, “la fiducia è una cosa seria, che si dà alle persone serie”. E Renzi non è stato capace ad uscire da una dimensione di abile affabulatore, sveglio, furbo, anche simpatico; ma privo di un progetto che non fosse la sua affermazione personale.

Sbandierando il “cambio di verso” ha ottenuto il solo risultato di rottamare la vecchia classe dirigente del partito (a parte quelli saliti sul suo carro). Ma sullo slancio ha pure rottamato il centrosinistra, il PD originale e infine lo stesso PdR.

La chiusura preconcetta al confronto con i 5 Stelle, costretti al forzato accordo con Salvini, è stato l’ultimo sbaglio del padrone, che ha lasciato il suo derelitto partito su un binario morto. Sarà ricordata come “la strategia del pop-corn”...

Il danno arrecato da Renzi al PD è inconfutabile: in poco più di tre anni un tracollo di consensi dal 41 al 18%, perdente seriale in tutte le regioni italiane, Toscana compresa; con un patrimonio di amministratori locali ormai dilapidato per la scelta scellerata del “partito liquido”; con una classe dirigente di nominati, poveri di qualità e smarriti senza un capo a dettare la linea; isolato politicamente e senza prospettive di rilancio. E invece di fare i conti con la realtà, chiudere un capitolo e cercare di aprire una fase diversa, nel PD c’è persino chi imputa il crollo d’immagine del leader in disgrazia a una congiura ordita da mondi oscuri (i vulcaniani?) per trasformarlo nel Malaussène italiano, il capro espiatorio di tutti i mali...

Tornando alla realtà, una cosa potrebbe ancora fare Renzi: lasciare la logora ridotta del PD per tentare il rilancio mettendosi “in cammino” sulle orme di Macron. Lo facesse, sarebbe almeno un elemento di chiarezza, ma non è detto che il PD – sedotto, abusato e abbandonato – possa ancora sopravvivere.

Al di là delle sigle esistenti o che verranno, il centrosinistra di governo per un’Italia più giusta, virtuosa e solidale rimane ancora una prospettiva per tanti, compresa una fetta grande di chi si è rifugiato nell’astensione.

Ma il centrosinistra non potrà rinascere se non sarà capace di fare i conti con il recente passato. Cioè con la deriva renziana e con l’opportunismo (o l’ignavia) di chi l’ha assecondata. La rigenerazione può passare solo attraverso un impietoso esame di coscienza: i silenzi, le reticenze, i rancori repressi – così come gli opportunismi e le logore convenienze di potere – non sono un terreno su cui è possibile costruire un progetto credibile per il domani.


11 Commenti

  1. Vero. Ma a tutto questo io aggiungerei (cosa di non poco conto) la responsabilità della degenerazione verso una democrazia sguaiata, dove la minoranza viene considerata “vecchiume” da spazzare via e la maggioranza, in quanto tale, rivendica il diritto di fare ciò che vuole: si tratta di una subdemocrazia più vicina a quella dei vari Putin, Erdogan, Orban e via di questo passo. Non si può negare che queste ultime non siano democrazie, in quanto i loro protagonisti vincono con “libere elezioni”: ma quale differenza rispetto alle democrazie più progredite che noi abbiamo sempre conosciuto! Tutto questo ha dato il via libera, a livello nostrano, a quei populismi che rendono i loro condottieri fieri della loro ignoranza e capaci di solleticare sentimenti, paure e rancori inconfessabili portandoli alla ribalta come “emergenze” nazionali. Si è arrivati al capolavoro di convincere i più poveri che la colpa della loro condizione è dovuta a quelli che stanno peggio di loro. In conclusione, “tradimento dei valori della sinistra” a parte, queste sono le maggiori colpe di Renzi. Oggi dobbiamo ripartire da capo, dobbiamo innanzitutto ricostruire quella Democrazia Civile che sembra averci abbandonato per sempre.

  2. Tutto vero, tutto giusto ed anche ben esposto, come d’abitudine negli scritti importanti di Alessandro Risso. Aggiungerei soltanto una cosa: ma gli altri (dirigenti, quadri e amministratori locali di lunga data del PD) dove erano? Beh non si può sempre seguire la corrente, non si può sempre seguire con felicità il grand’uomo, eh no, ogni tanto occorre avere il coraggio di dire no. Eccome! Non voglio sembrare blasfemo ma se si abbandona la critica, se si perde il coraggio di denunciare, alla deriva non c’è fine. Vedete al processo di Norimberga nessuno si dichiarò colpevole, tutti semplicemente dissero: “Ma io ho soltanto eseguito degli ordini”. Qui per fortuna nel non opporsi si sono soltanto perse le elezioni, ma il senso è lo stesso. Cito soltanto due fatti che avrebbero dovuto far riflettere. Tutti gli amministratori locali temevano come la peste la pseudo riforma Delrio sulle Regioni e si auguravano che venisse bocciata … ma cari amici, Delrio è del PD non di un altro partito!
    Abolizione del senato: qui si è raggiunto il massimo, una sfrontatezza degna dei peggioriImperatori Romani (Caligola, Commodo, Nerone), un leader che fa una battaglia campale per abolire, non dico un ente inutile ma una camera dei rappresentanti, perde un referendum e poi si presenta alle elezioni come senatore? Suvvia, il popolo sarà certamente bue e necessita per le menti eccelse ed elitarie globalizzate di essere educato, però ogni tanto può fare anche qualche scherzetto e dire: “Vuoi vedere che io voto per gli altri? ”
    Insomma dall’interno del PD, nessuno, a proprio nessuno che abbia avuto il coraggio di dire che si era superato il limite? Quello che più spiace in tutto questo è che si è buttato a mare il lavoro di tanti amministratori locali svolto in decenni semplicemente perché le assurdità della politica romana oscurano il lavoro svolto in periferia.

  3. Che differenza c’è fra Renzi e Veltroni? o Renzi e d’Alema?
    Ha ragione Tomaso Montanari: sono trent’anni anni che il centro “sinistra” fa le peggio cose della destra….

  4. Il tempo è galantuomo ma non guasta se ogni tanto qualcuno lo ricorda come fa il direttore Risso in modo impeccabile, indicando il motivo principale della caduta di Renzi: la mancata ripresa dei consumi.
    È precisamente da qui che il centrosinistra deve ripartire, proponendosi come la coalizione della domanda interna, con tutto ciò che questo comporta sul piano delle politiche economiche e monetarie e delle relazioni internazionali.

  5. Dice Emanuele Macaluso (in un’intervista su La Stampa del 26 giugno) “Io penso che da anni non ci sia più una forza di sinistra con una forte identità. C’è stato il transito dal Pds ai Ds, dai Ds al Pd… Questa somma di pezzi della sinistra Dc con pezzi di ex appartenenti al Pci non ha un collante politico culturale. Non l’ha mai avuto. Il Pd non è un partito, ma un aggregato politico elettorale. La sinistra non è abituata a questo”.
    Molteplici sono le responsabilità per i tonfi elettorali del Pd e, diciamo pure, dell’intera sinistra (vedi Liberi e Uguali), e dei riformisti (tipo la lista della Bonino). Macaluso in particolare indica una mancanza di visione che viene da lontano. E da lontano vengono le cause che, come più volte ho scritto, hanno portato alla crisi l’intera sinistra in Europa, prima fra tutte quella scelta neoliberale (liberista in economia) fatta ad inizio degli anni Novanta. Ora, anche Renzi avrà delle colpe per le recenti sconfitte del PD, ma farne il solo responsabile lo ritengo eccessivo perché in materia si sottovaluta il peso avuto dal clima di scontri interni, dal protagonismo e dai personalismi perennemente presenti in quel “aggregato politico elettorale” chiamato PD. Come si dice in Piemonte: “esageruma nen”.
    La sinistra, afferma Macaluso, non è abituata a riconoscersi nel percorso che ha condotto all’attuale aggregato politico elettorale. Certamente il “popolo della sinistra” era abituato ad altri percorsi, ad altre certezze, ma perché è stata seguita questa via? Il mondo in cui la sinistra si radicava è scomparso. Quei dirigenti non disposti a scomparire con esso si sono dati da fare per sopravvivere ed hanno cercato altri cammini e altri contenuti, ma ad oggi non sembrano averne trovati di adeguati alla situazione attuale. Non c’è più la fabbrica fordista, non c’è più la classe operaia, la dimensione nazionale in cui opera la politica si è dissolta. C’è la globalizzazione, ci sono le modificazioni climatiche, la disoccupazione strutturale, le nuove povertà, le migrazioni incontrollate, l’insicurezza e la precarietà in ogni ambito; le vecchie parole d’ordine, comunque declinate o riadattate, non servono più a niente. Manca (non solo a sinistra) una visione politico culturale indispensabile per comprendere ed affrontare questa nuova realtà.

  6. Renzi ha fatto errori e quindi si è dimesso. Ma la lettura di Risso, che ringrazio per la citazione storica, è molto parziale. Quelle sfide che avevo scritto erano vere e in parte sono state affrontate. Ad esempio, l’unico provvedimento finora preso dal nuovo Governo è stato cancellare la possibilità di chiamata nominativa nelle scuole. Valgono solo le graduatorie e l’anzianità, merito e competenza specifica non servono. Così i giovani bravi continueranno ad aspettare, prima dobbiamo mandare in pensione l’infornata di docenti del baby boom. Altro esempio: le riforme del mercato del lavoro hanno riportato l’Italia ad essere una nazione attrattiva per gli investimenti esteri (la decima nel mondo) e non hanno fatto aumentare i licenziamenti illegittimi.Perché, ancora, non dire anche qualcosa sul continuo logorio verso un segretario comunque eletto a larga maggioranza da milioni di persone? Dobbiamo fare un’analisi impietosa, ma sapendo anche fermare l’autolesionismo. Se non si dice che la vittoria delle destre ha anche cause esogene (es.immigrazione) o trova anche ragione nelle tante promesse da mercante, allora si è solo ossessionati. Su ogni questione citata da Risso si dovrebbe fare un approfondimento, di merito e politico, sennò è solo semplificazione che piace tanto al cesarismo. Se si vuole un confronto puntuale su ogni questione, ci sono volentieri. Concludo citando il commento di Guido Bodrato su Repubblica di oggi: ho votato no al referendum, ma quello che ci aspetta è molto peggio. Se si pensa che sia tutta colpa di una persona sola …

    • Caro Stefano, concordo con te che quelle sfide erano vere e che in parte sono state affrontate. Il problema è come, e ho espresso la mia opinione sul perché la deriva renziana sia stata deleteria per il centrosinistra, dato inconfutabile viste le ripetute batoste elettorali. E Renzi, pur formalmente dimissionario, in questi mesi ha continuato a dettare la linea in un partito che ha ridotto a sua immagine. Rinviando sine die l’analisi impietosa che andrebbe fatta, ma nel PD (ammesso che ci sia ancora qualche interno in grado di condurla). Al di fuori possiamo benissimo approfondire, come abbiamo già cominciato a fare con articoli e nel pubblico dibattito del 7 giugno scorso, concluso dalle riflessioni di Bodrato. Ribadisco che per affrontare il peggio che ci aspetta bisogna “fare i conti con il recente passato. Cioè con la deriva renziana e con l’opportunismo (o l’ignavia) di chi l’ha assecondata. La rigenerazione può passare solo attraverso un impietoso esame di coscienza: i silenzi, le reticenze, i rancori repressi – così come gli opportunismi e le logore convenienze di potere – non sono un terreno su cui è possibile costruire un progetto credibile per il domani”.

  7. Riflessione politicamente corretta, quella avanzata da Alessandro. Certo, non fa neanche notizia il fatto che dopo la radicale e supina identificazione tra il Pd e il suo “capo”, Renzi per lunghi 4 anni – l’ormai noto e strafamoso “PDR” – adesso migliaia di cortigiani, servitori e adulatori ne prendano le distanze. Sarebbe simpatico, al riguardo, rileggere l’applausometro del Lingotto a Torino di qualche mese fa alla convention renziana del Pd, e le varie dichiarazioni degli adulatori, per arrivare alla conclusione che la politica è sempre quella. Purtroppo. E cioè, quando cadi politicamente in disgrazia manco più ti conoscono…
    Ma, al di là di questa miseria, quello che conta adesso non è la discussione sul futuro personale di Renzi, ormai abbandonato anche dai suoi tifosi ed ultras piemontesi, ma quello ben più impegnativo di recuperare dalle fondamenta quelle identità culturali e politiche che sono state spazzate via in questi anni di ubriacatura renziana e che hanno favorito, incoraggiato e preparato purtroppo l’arrivo delle destre. Questo è, a mio parere, oggi il vero punto politico. Il resto appartiene solo al capitolo dei riposizionamenti e degli organigrammi di chi è momentaneamente senza “capo”.

    • Io non credo invece che Renzi abbia sbagliato tutto. Certo sono stati fatti degli errori. Ha tentato a mio avviso con successo di fare delle riforme che in 20 anni nessun governo aveva fatto. Il paese era statico monolitico. Credo invece che queste riforme non siano state comunicate come dovevano essere comunicate. Purtroppo il PD si porta dientro questa “sciapa” comunicazione e la gente non ha percepito questo tentativo di cambiamento a cominciare con la batosta sul Referendum Costituzionale. Riforma non semplice da capire soprattuto per i non addetti ai lavori. Anche questa non è stata spiegata bene con parole più semplici. Da li è cominciato il tracollo del Parito Democratico. I movimenti populisti hanno fatto dei loro slogans la bandiera da sventolare, sempre in mezzo alla gente… questo purtroppo ha pagato… La realtà è anche che il PD in questi ultimi anni ha fatto troppi salotti e non è uscito in mezzo alla gente, a confrontarsi con le famiglie, con gli operai. Credo che oggi la parte cattolica del PD debba ripensare ad un progetto nuovo che abbia fermamente connotati di tipo cattolico, si può pensare ad una cura della democrazia in tutte le sue forme: una cura da nutrire con i princìpi della Dottrina sociale della Chiesa e con i princìpi costituzionali. È la costruzione di una sorta di griglia di discernimento da cui far filtrare tutte le scelte. Questo è il nucleo su cui costruire l’unità dei cattolici. È urgente formare una presenza prepartitica, che stimoli e proponga ai partiti disegni di leggi e soluzioni di problemi, organizzi forme di controllo, presenti un progetto di società e contribuisca a formare le giovani generazioni.

  8. Certamente Renzi ha sbagliato a voler strafare, ma tutti i partiti a favore dell’ immigrazione senza regole hanno perso voti!

  9. Credo che l’elemento più macroscopico sia stato il non aver compreso (o correttamente analizzato!) la società italiana alla luce della più grande crisi economica degli ultimi ottant’anni, che ha lasciato strascichi ben più profondi di quanto non si creda… Ponendo come base di questo intervento che la democrazia per sua natura non premia le istanze migliori, ma quelle che convincono i più, ritengo che forse si è guardato più al dito (social media, partito liquido, forza del leaderismo, Europeismo, istanze ideologiche su liberismo e immigrazione) anzichè alla luna (il corpo elettorale e ciò che chiedeva). Se – azzardo – da Marx ai capitalisti si è sempre guardato al benessere economico (rispettivamente della comunità o dell’individuo), in parole poveri tutti si è alla fin fine votato con il portafoglio, in nome di quelle istanze. Analizzando gli elettorati classici del centro-sinistra (famiglie, redditi medio-bassi, pubblico impiego) si vede che non hanno ricevuto risposte, o almeno, hanno ricevuto risposte che non volevano, forse date ancora in nome di una pretesa superiorità morale e di una educazione delle masse che – queste sì – negli ultimi decenni non trovano più seguito. Alle famiglie, impoverite dalle crisi industriali e dal blocco dei salari, i cui figli hanno percepito come sempre più ristrette le loro prospettive future a un periodo di breve termine, con una immigrazione crescente che fa temere – a torto o ragione – per il trovare ai figli un posto di lavoro, dopo anni di politiche sulla flessibilità ed infine il Jobs Act, che cosa si è promesso? La revisione delle aliquote Irpef, tema classico della destra? Agli operai e impiegati di industria e servizi (il nostro Paese è ancora un paese con milioni di queste persone, quella della classe operaia che non esiste più è frase fatta e vera solo nell’accezione di comunità monolitica che è – questa sì – scomparsa) cosa è stato promesso, quando le crisi industriali si susseguono, i politici in azienda fanno visita più spesso ai manager per photo-opportunity che ai reparti dove lavora chi li vota, quando le varie riforme delle pensioni procrastinando l’età di quiescenza, stanno trasformando in modo profondo la società italiana, con i nonni delle famiglie di 35-40enni ancora al lavoro e il famoso welfare famigliare che si sta dissolvendo? Al pubblico impiego, 3,5 milioni di persone ma anche di elettori, spesso messo alla berlina sui media per effettivi comportamenti sbagliati di una parte dei dipendenti, che ha vissuto un blocco salariale che ha fatto percepire un impoverimento a chi magari aveva un coniuge nel privato – che gli aumenti li ha visti – con i sindacati che hanno visto un ruolo a dir poco ridimensionato, che riconoscimenti contrattuali sono stati dati? Le riforme fatte, come la buona scuola, come sono state percepite? Secondo me sta qui la debacle elettorale, nella pretesa, forse giusta, di aver ben governato in un periodo difficilissimo. In fondo, anche Churchill vinse la guerra e perse le elezioni. Ma poi tornò la sua ora.

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