Non c’è più la sinistra? In attesa che i partiti (o meglio ancora il Capo dello Stato) trovino una soluzione per dare un Governo al Paese, mi permetto qualche riflessione a voce alta, sperando che possa essere condivisa da qualche lettore.
Parto da cose ovvie e ormai attestate da tutti. Dopo le elezioni abbiamo un polo forte: il centrodestra. Diversamente dal passato non è Forza Italia il partito più numericamente e politicamente rilevante: l’asse si è spostato verso la Lega di Salvini. La cosa, al di là dei rapporti di forza interni, non modifica il peso della destra che è sempre stata un polo di “peso”; semmai da posizioni apparentemente più moderate si è passati ad un maggior radicalismo, togliendo gli equivoci che in cui i moderati sono continuamente caduti, pensando che fosse un polo “liberale”.
L’altra forza che si è imposta è il Movimento 5 Stelle, formazione politica eterogenea che sfugge alle classificazioni classiche. È di destra, di centro, o di sinistra, oppure le tre cose insieme e in quale misura l’una, l’altra e l’altra cosa ancora? Da che parte pende il cuore di un elettore (e di un dirigente/militante) pentastellato? È populismo puro, giacobinismo contro i costi della politica, giustizialismo contro i riciclati, gli inquisiti ripescati, i condannati ripuliti solo perché sostenuti da molte preferenze? È la nuova sinistra?
La sinistra tradizionale sembra scomparsa, sia quella riformista, ridotta ad uno scarso 19%, sia quella più radicale che mettendo insieme tutte le sigle ha difficoltà a raggiungere livelli “dignitosi”.
Non c’è più la sinistra? Non c’è più l’elettorato di sinistra? Oppure lo rappresentano meglio altri? I poveri, gli emarginati, gli sfruttati, le fasce popolari si sentono più vicine e meglio tutelate dalle politiche di movimenti non appartenenti alla sinistra classica?
La mia risposta è che, in parte, il “popolo della sinistra” è stato convinto che la globalizzazione, l’immigrazione, la crisi economica sia colpa principale dei riformatori che in questi anni, di fatto, hanno accettato e condiviso decisioni sia a livello europeo sia della liberalizzazione mondiale con tutto ciò che ne è derivato. E d’altra parte si è sentito abbandonato, non tutelato e sostenuto come avrebbe desiderato dai partiti progressisti e di centrosinistra.
Credo che tutte e due le cose, abbiano un fondamento. Perciò, a sinistra, esiste secondo me una prateria; ma per conquistarla bisogna dimostrare che i riformisti compiono correzioni programmatiche e politiche profonde. Che ripartono dalla base, dai territori, dai diritti sociali, dall’impegno per il lavoro e per la casa e per i servizi efficienti. Addirittura che siano essi stessi “la base” “la periferia” “gli esclusi” “i ceti impoveriti” “i giovani in cerca di occupazione, diritti, e futuro”. Nello stesso tempo, è necessario riformulare un pensiero politico che tenga conto che abbiamo a che fare con un lavoro, una produzione, un commercio che non sono più quelli del Novecento; che non si possono riproporre le soluzioni del passato. Tutele e diritti vanno ripensati e rivisti con soluzioni da XXI secolo. Ma ci devono essere, per tutti!
Bisogna cambiare le persone, i volti? Rinnovare le dirigenze? È questa un’azione indispensabile per rendersi credibili. La nostra generazione over 65 si dimostri generosa, faccia un passo indietro, lanci persone giovani (non capetti o arrampicatori sociali) che facciano gioco di squadra e ricordino le “radici” le “origini” pur innovando termini e strumenti.
Bisogna operare per rendere trasparente la politica, tagliarne i costi, diminuire i posti di sottogoverno, eliminare Enti inutili? Si faccia, senza giacobinismi e radicalismi, ciò che serve. Non sono fra coloro che amano rincorrere i voleri della gente; credo che la politica abbia dei costi; che chi si impegna possa farlo anche con la possibilità di tempo, di permessi; che gli istituti di partecipazione, a tutti i livelli, e il decentramento politico-amministrativo (e di molti servizi/Uffici Pubblici) sia indispensabile; ma tutto si compia senza sprechi, senza gravare più del necessario sul Bilancio. È giusto contenere il prelievo fiscale, ma tutti devono pagare, e pagare il giusto!
Per ultimo credo serva un disegno, un “sogno” se si vuole, un obiettivo da indicare. Perché con il solo pragmatismo, con i soli tagli delle imposte, o con l’assistenzialismo non si va da nessuna parte. E la sinistra (in senso lato, perché come diceva De Gasperi “se sinistra vuol dire – e io contesto che questa parola abbia sempre questo significato – apertura verso il progresso sociale, verso la giustizia per il lavoratori, allora [...] siamo per principio di sinistra, in questo senso”) deve rivendicare il traguardo del lavoro dignitoso, del ruolo delle autonomie – economiche, sociali, istituzionali –, della solidarietà e fraternità politica, della giustizia sociale ed equità, dell’Europa federale comunitaria e solidale, dell’internazionalismo e della pace, di un aumento di cultura e di conoscenze.
Tutte cose che devono portare “benefici” alle persone, sicurezza, voglia di impegnarsi ed essere operativi. Una battaglia che deve cambiare le politiche portate avanti in questi lustri, che hanno lasciato mano libera alla finanza, alla concorrenza più sfrenata, ai poteri del mercato. Non basta solo opporsi o lamentarsi, si deve passare all’azione con iniziative concrete che invertano le cose. E far capire alle persone che qualche atteggiamento è veramente mutato; che se bisogna fronteggiare i “populismi” questo lo si fa non diventando establishment e difendendo ciò che azzoppa popoli e persone.
Interessante l’articolo di Sofia Ventura Al Paese serve una sinistra pragmatica del 28 marzo scorso su “La Stampa”: “Per tornare protagonista della vita politica, come le altre sinistre europee il PD sarebbe, piuttosto, chiamato a osservare in profondità quella società che non ha più saputo comprendere. In quella società ci sono i nuovi poveri, una classe media che vede i figli stare peggio dei padri, nuove forme di lavoro spesso sviluppatesi in una sorta di far west” e se una sinistra moderna – dice – non può attardarsi a forme di protezione che avevano una ragion d’essere nel passato “non può nemmeno accontentarsi di interpretare la fluidità contemporanea [...] proponendo il mercato, il merito, l’eccellenza come le chiavi di volta di una sinistra riformista”; anche perché “mercato, merito ed eccellenza possono trasformarsi in ideologia”, mentre si dovrebbe “guardare a un mercato non asfissiato da una burocrazia e un fisco vessatori, ma anche comprendere la necessità di tutelare i più svantaggiati, ad esempio con la promozione di nuove forme di regolazione di un lavoro in profonda trasformazione. [...] non (bisogna) dimenticare che la democrazia liberale non può sopravvivere laddove le diseguaglianze sono eccessive”. Si tratta quindi di “guardare laicamente al tema della ridistribuzione della ricchezza”.
Perciò libero mercato e merito, ma anche equità, giustizia e solidarietà, sono valori sui quali si fonda la società democratica. Altrimenti è logico che se certe cose le sostengono e le attuano (magari con una visione autarchica, o localistica o pressappochista) altre forze, saranno queste ad essere premiate. Ma alla lunga ci rimetterà il Paese intero, anche se il consenso a queste sarà consistente.
Parto da cose ovvie e ormai attestate da tutti. Dopo le elezioni abbiamo un polo forte: il centrodestra. Diversamente dal passato non è Forza Italia il partito più numericamente e politicamente rilevante: l’asse si è spostato verso la Lega di Salvini. La cosa, al di là dei rapporti di forza interni, non modifica il peso della destra che è sempre stata un polo di “peso”; semmai da posizioni apparentemente più moderate si è passati ad un maggior radicalismo, togliendo gli equivoci che in cui i moderati sono continuamente caduti, pensando che fosse un polo “liberale”.
L’altra forza che si è imposta è il Movimento 5 Stelle, formazione politica eterogenea che sfugge alle classificazioni classiche. È di destra, di centro, o di sinistra, oppure le tre cose insieme e in quale misura l’una, l’altra e l’altra cosa ancora? Da che parte pende il cuore di un elettore (e di un dirigente/militante) pentastellato? È populismo puro, giacobinismo contro i costi della politica, giustizialismo contro i riciclati, gli inquisiti ripescati, i condannati ripuliti solo perché sostenuti da molte preferenze? È la nuova sinistra?
La sinistra tradizionale sembra scomparsa, sia quella riformista, ridotta ad uno scarso 19%, sia quella più radicale che mettendo insieme tutte le sigle ha difficoltà a raggiungere livelli “dignitosi”.
Non c’è più la sinistra? Non c’è più l’elettorato di sinistra? Oppure lo rappresentano meglio altri? I poveri, gli emarginati, gli sfruttati, le fasce popolari si sentono più vicine e meglio tutelate dalle politiche di movimenti non appartenenti alla sinistra classica?
La mia risposta è che, in parte, il “popolo della sinistra” è stato convinto che la globalizzazione, l’immigrazione, la crisi economica sia colpa principale dei riformatori che in questi anni, di fatto, hanno accettato e condiviso decisioni sia a livello europeo sia della liberalizzazione mondiale con tutto ciò che ne è derivato. E d’altra parte si è sentito abbandonato, non tutelato e sostenuto come avrebbe desiderato dai partiti progressisti e di centrosinistra.
Credo che tutte e due le cose, abbiano un fondamento. Perciò, a sinistra, esiste secondo me una prateria; ma per conquistarla bisogna dimostrare che i riformisti compiono correzioni programmatiche e politiche profonde. Che ripartono dalla base, dai territori, dai diritti sociali, dall’impegno per il lavoro e per la casa e per i servizi efficienti. Addirittura che siano essi stessi “la base” “la periferia” “gli esclusi” “i ceti impoveriti” “i giovani in cerca di occupazione, diritti, e futuro”. Nello stesso tempo, è necessario riformulare un pensiero politico che tenga conto che abbiamo a che fare con un lavoro, una produzione, un commercio che non sono più quelli del Novecento; che non si possono riproporre le soluzioni del passato. Tutele e diritti vanno ripensati e rivisti con soluzioni da XXI secolo. Ma ci devono essere, per tutti!
Bisogna cambiare le persone, i volti? Rinnovare le dirigenze? È questa un’azione indispensabile per rendersi credibili. La nostra generazione over 65 si dimostri generosa, faccia un passo indietro, lanci persone giovani (non capetti o arrampicatori sociali) che facciano gioco di squadra e ricordino le “radici” le “origini” pur innovando termini e strumenti.
Bisogna operare per rendere trasparente la politica, tagliarne i costi, diminuire i posti di sottogoverno, eliminare Enti inutili? Si faccia, senza giacobinismi e radicalismi, ciò che serve. Non sono fra coloro che amano rincorrere i voleri della gente; credo che la politica abbia dei costi; che chi si impegna possa farlo anche con la possibilità di tempo, di permessi; che gli istituti di partecipazione, a tutti i livelli, e il decentramento politico-amministrativo (e di molti servizi/Uffici Pubblici) sia indispensabile; ma tutto si compia senza sprechi, senza gravare più del necessario sul Bilancio. È giusto contenere il prelievo fiscale, ma tutti devono pagare, e pagare il giusto!
Per ultimo credo serva un disegno, un “sogno” se si vuole, un obiettivo da indicare. Perché con il solo pragmatismo, con i soli tagli delle imposte, o con l’assistenzialismo non si va da nessuna parte. E la sinistra (in senso lato, perché come diceva De Gasperi “se sinistra vuol dire – e io contesto che questa parola abbia sempre questo significato – apertura verso il progresso sociale, verso la giustizia per il lavoratori, allora [...] siamo per principio di sinistra, in questo senso”) deve rivendicare il traguardo del lavoro dignitoso, del ruolo delle autonomie – economiche, sociali, istituzionali –, della solidarietà e fraternità politica, della giustizia sociale ed equità, dell’Europa federale comunitaria e solidale, dell’internazionalismo e della pace, di un aumento di cultura e di conoscenze.
Tutte cose che devono portare “benefici” alle persone, sicurezza, voglia di impegnarsi ed essere operativi. Una battaglia che deve cambiare le politiche portate avanti in questi lustri, che hanno lasciato mano libera alla finanza, alla concorrenza più sfrenata, ai poteri del mercato. Non basta solo opporsi o lamentarsi, si deve passare all’azione con iniziative concrete che invertano le cose. E far capire alle persone che qualche atteggiamento è veramente mutato; che se bisogna fronteggiare i “populismi” questo lo si fa non diventando establishment e difendendo ciò che azzoppa popoli e persone.
Interessante l’articolo di Sofia Ventura Al Paese serve una sinistra pragmatica del 28 marzo scorso su “La Stampa”: “Per tornare protagonista della vita politica, come le altre sinistre europee il PD sarebbe, piuttosto, chiamato a osservare in profondità quella società che non ha più saputo comprendere. In quella società ci sono i nuovi poveri, una classe media che vede i figli stare peggio dei padri, nuove forme di lavoro spesso sviluppatesi in una sorta di far west” e se una sinistra moderna – dice – non può attardarsi a forme di protezione che avevano una ragion d’essere nel passato “non può nemmeno accontentarsi di interpretare la fluidità contemporanea [...] proponendo il mercato, il merito, l’eccellenza come le chiavi di volta di una sinistra riformista”; anche perché “mercato, merito ed eccellenza possono trasformarsi in ideologia”, mentre si dovrebbe “guardare a un mercato non asfissiato da una burocrazia e un fisco vessatori, ma anche comprendere la necessità di tutelare i più svantaggiati, ad esempio con la promozione di nuove forme di regolazione di un lavoro in profonda trasformazione. [...] non (bisogna) dimenticare che la democrazia liberale non può sopravvivere laddove le diseguaglianze sono eccessive”. Si tratta quindi di “guardare laicamente al tema della ridistribuzione della ricchezza”.
Perciò libero mercato e merito, ma anche equità, giustizia e solidarietà, sono valori sui quali si fonda la società democratica. Altrimenti è logico che se certe cose le sostengono e le attuano (magari con una visione autarchica, o localistica o pressappochista) altre forze, saranno queste ad essere premiate. Ma alla lunga ci rimetterà il Paese intero, anche se il consenso a queste sarà consistente.
Il problema è che gli ex comunisti hanno sposato acriticamente l’ideologia mercatista; hanno sostituito alla dogmatica marx-leninista una serie di icone prodotte dal nuovo immaginario neoliberista. Credendoci con intransigenza tipicamente bolscevica, illudendosi che da lì potesse scaturire la città futura; il neoliberismo non poteva ricevere favore più grande: è stato praticato non da liberali un poco scettici e relativisti, non da cattolici relativisti a modo loro animati come sono (siamo) dalla convinzione che il paradiso è nel Regno dei Cieli e non quaggiù sulla terra, ma dai lontani eredi del manicheismo bolscevico che al dogma mercatista hanno creduto con il medesimo ingenuo fanatismo che avevano riservato alla città futura o al ruolo guida del partito unico.
Triste e patetico indignarsi oggi di fronte al declino della cosiddetta economia reale e alla perdita di valore e dignità del lavoro. L’alleanza , l’abbraccio mortale , forse inconsapevole fra post-comunisti e neo-con ha prodotto nel mondo questi effetti: i paesi con un’infrastruttura politica debole come l’Italia ne hanno maggiormente patito le conseguenze.
Le misure invocate da Baviera sono giustissime , un programma essenziale per restituire al lavoro il rango che gli spetta ma insieme per salvaguardare la democrazia e la tenuta degli Stati ché la democrazia può esercitarsi, (ma sarebbe un lungo discorso, ne parlò Ladetto su questo stesso forum) in un contesto istituzionale e geografico definito, con buona pace dei mondialisti ( che alla democrazia sono piuttosto allergici). Ma la prima cosa da fare è la demolizione di alcune colonne portanti del finanz-capitalismo ( la felice espressione coniata da Luciano Gallino) introducendo, prima fra tutte la regola secondo cui non si può speculare sui titoli di Stato e in secondo luogo ridando piena sovranità sul debito pubblico a BCE e banche centrali e in terzo luogo sottraendo ai privati il controllo delle summenzionate banche. Senza queste misure tutti le nostre sacrosante proposte rischiano di cadere in un velleitario, “bersaniano” ottimismo della volontà.
Un’analisi, quella di Carlo, corretta e suggestiva. Io continuo a credere, come ormai sostengono anche molti commentatori ed opinionisti che non provengono dalla nostra area, che la tradizione del cattolicesimo politico italiano adesso non può continuare a restare in letargo. Serve uno scossone politico, culturale e forse anche organizzativo per ridare qualità alla nostra democrazia. Oltrechè portare un contributo serio e concreto alla ridefinizione di una “sinistra contemporanea”.
Mi pare che davvero la discussione su Rinascita stia toccando i punti chiave da cui ripartire per rilanciare un progetto politico riformista adeguato ai nostri tempi, al XXI secolo, a questi anni che non sono senza analogie con quelli che hanno preceduto i due conflitti mondiali.
Senza riconoscere, come scrive Carlo Baviera, che la deriva neoliberista dei riformisti è una delle cause delle attuali disuguaglianze, difficilmente si riuscirà a recuperare quella prateria di consensi che esiste a sinistra.
Interessante pure la proposta di Giorgio Merlo di un rilancio anche organizzativo del cattolicesimo democratico.
Mi sembra però che realisticamente non vi siano più le condizioni per cambiare il Partito Democratico, come ad esempio Corbyn è riuscito a cambiare i Laburisti di Blair. Il resto del centrosinistra è poca cosa, Leu e cespugli radical-centristi. Questa ormai è tutta sinistra che va a rimorchio dei grandi interessi finanziari e non è più capace di pensare un progetto diverso in autonomia, rappresentando gli interessi della classe media e a servizio del bene comune.
Quindi, a mio avviso, a chi vuole rinnovare l’area riformatrice non rimane altro da fare che intraprendere la via della creazione di un nuovo movimento politico, alternativo al centrodestra, ma trasversale a tutte le aree politiche che compongono lo schieramento riformatore, per intercettare tutti gli scontenti, dai settori più moderati a quelli più a sinistra. Stando però attenti a non rintanarsi in una ridotta caratterizzata da pugni chiusi o da biancofiori. Le identità politiche sono una cosa nobile e indispensabile ma non possono costituire il front office di questo nuovo movimento politico. Il suo elemento caratterizzante di fronte agli elettori deve essere il programma, con temi comprensibili a tutti quali: la fine delle politiche austeritarie, il disinnesco della legge Fornero, un piano straordinario per il lavoro, il superamento della separazione tra Tesoro e Banca d’Italia per monetizzare il debito pubblico, facendolo ritornare a essere una leva dello sviluppo anziché un totem a cui sacrificare il nostro futuro, la dignità del lavoro, il welfare.
Ciò che occorre dire, se si ha la convinzione e il coraggio di dirlo, è dove collocare questa nuova forza politica. Infatti, proprio per le ragioni che ci ricorda Baviera, non risulta più sufficiente affermare di stare nel centrosinistra. Nel centrosinistra sì, ma dalla parte dell’asse della conservazione (che il Pd forma insieme a Forza Italia e Casaleggio e Associati), o dalla parte dell’asse del cambiamento? Questa è la prima cosa che considera l’elettorato, la discriminante nella scelta degli schieramenti e delle liste. Stare dalla parte del cambiamento significa fondamentalmente due cose in questa fase storica: ridiscutere l’intero impianto neoliberista dei trattati europei post – Maastricht, perché l’Europa come è fatta oggi farebbe vergognare i suoi padri fondatori, poiché rende impossibile, vieta e sanziona l’adozione da parte degli Stati di politiche espansive volte allo sviluppo e alla riduzione delle disuguaglianze, mentre tutela oltre ogni ragionevole limite i profitti della speculazione finanziaria. L’altra cosa è una chiara opzione per la pace, in uno scenario di “terza guerra mondiale a pezzi”, con tutta la grande stampa ormai da anni impegnata in una violenta campagna di demonizzazione della Russia con ogni sorta di menzogne (ultime quelle sul caso Skripal) per far accettare al popolo la prossima grande guerra. Occorre dire con chiarezza che l’Italia si tirerà fuori. Occorre decidere la revoca unilaterale delle sanzioni alla Russia, stipulare al più presto un patto di non aggressione con Mosca, e portare l’Italia a condividere con le vicine Svizzera e Austria una collocazione internazionale di neutralità.
Sono convinto che se si inizia a lavorare sin d’ora, con metodo democratico, partendo dai territori e dai luoghi dove i cittadini vivono e lavorano, ad un nuovo movimento politico di centrosinistra, non austeritario e neutralista, in vista delle prossime elezioni europee l’attenzione che potrà suscitare presso un elettorato disilluso di sinistra e popolare, potrà essere molto ampia.
Pur essendo sempre stato contrario ai taglia ed incolla. in questo caso non posso non rimarcare il finale del commento di Giuseppe Davicino, a mio avviso una vera e propria sintesi ben spiegata del dramma che ognuno di noi vive dal punto di vista economico e sociale. Eccola:
“Ciò che occorre dire, se si ha la convinzione e il coraggio di dirlo, è dove collocare questa nuova forza politica. Infatti, proprio per le ragioni che ci ricorda Baviera, non risulta più sufficiente affermare di stare nel centrosinistra. Nel centrosinistra sì, ma dalla parte dell’asse della conservazione (che il Pd forma insieme a Forza Italia e Casaleggio e Associati), o dalla parte dell’asse del cambiamento? Questa è la prima cosa che considera l’elettorato, la discriminante nella scelta degli schieramenti e delle liste. Stare dalla parte del cambiamento significa fondamentalmente due cose in questa fase storica: ridiscutere l’intero impianto neoliberista dei trattati europei post-Maastricht, perché l’Europa come è fatta oggi farebbe vergognare i suoi padri fondatori, poiché rende impossibile, vieta e sanziona l’adozione da parte degli Stati di politiche espansive volte allo sviluppo e alla riduzione delle disuguaglianze, mentre tutela oltre ogni ragionevole limite i profitti della speculazione finanziaria. L’altra cosa è una chiara opzione per la pace, in uno scenario di ‘terza guerra mondiale a pezzi’, con tutta la grande stampa ormai da anni impegnata in una violenta campagna di demonizzazione della Russia con ogni sorta di menzogne (ultime quelle sul caso Skripal) per far accettare al popolo la prossima grande guerra. Occorre dire con chiarezza che l’Italia si tirerà fuori. Occorre decidere la revoca unilaterale delle sanzioni alla Russia, stipulare al più presto un patto di non aggressione con Mosca, e portare l’Italia a condividere con le vicine Svizzera e Austria una collocazione internazionale di neutralità.”
Segnalo un ottimo articolo del sociologo Magatti sulla questione, centrale per la cultura politica dei Popolari, di dare ascolto e risposta politica a quello che Beppe Mila, nel suo commento, definisce il “dramma che ognuno di noi vive dal punto di vista economico e sociale” e che ormai riguarda i due terzi della popolazione e che sta sconvolgendo gli equilibri politici e sociali delle nostre democrazie occidentali.
Lo si può leggere al seguente indirizzo:
https://www.corriere.it/opinioni/18_aprile_23/problema-insicurezza-ruolo-politica-fe0251ea-4651-11e8-9661-d18d4bfcda1f_amp.html