Donald Trump vince le presidenziali 2024 e torna alla Casa Bianca, quattro anni dopo averla lasciata. Kamala Harris incassa una sconfitta del tutto onorevole considerata la sua discesa in campo, tardiva e a sorpresa, dopo il forzato ritiro di Joe Biden.
Questo, in estrema sintesi, l'esito di una delle tornate che veniva presentata tra le più incerte ma che poi in realtà ha visto quasi subito Trump prendere il largo. Alla fine tutti gli Stati in bilico (Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, ecc...) sono scivolati dal lato del Tycoon. Un esito che ha consentito a Trump di superare agevolmente i 270 voti necessari per far propria la sfida. Alla festa per la presidenza si è poi aggiunto l'avvento - con 51 seggi su 100 – di una maggioranza repubblicana sia al Senato che alla Camera dei rappresentanti. A completare una svolta nel segno della stabilità politica.
Ci sarà tempo per analizzare il voto nei suoi mille risvolti, provando a comprendere come si è mosso questo o quel segmento sociale o anagrafico. Per ora possiamo solo registrare lo spartiacque esistente tra aree urbane, che arridono alla sinistra, e zone rurali, che si rivolgono alla destra. Una frattura territoriale, ma non solo, ormai consueta a tutte le latitudini su cui le forze riformiste – comprese ovviamente quelle nostrane - dovrebbero fare qualche riflessione.
Possiamo anche dire che Trump ha iniziato a vincere le presidenziali il giorno cui in Pennsylvania venne ferito nell'attentato, rialzandosi immediatamente da terra ed alzando il pugno al cielo per mostrare la propria volontà di non arrendersi. Un'immagine che oltre a rinsaldare il proprio elettorato gli ha probabilmente regalato una fetta di consensi tra gli indecisi.
Per contro Kamala Harris ha forse cominciato a perdere la sfida quando ha creduto che in quanto donna avrebbe potuto incamerare il voto femminile in una banale logica di competizione con l'universo maschile. Un ragionamento per categorie generali – tipico vezzo dei progressisti in qualsiasi parte del mondo – che si è rivelato del tutto fallace.
Ciò detto, è ancora presto per esprimersi sulla presidenza Trump nei prossimi quattro anni. Intanto è necessario vedere come sarà composta la squadra di governo, dove il patron di Tesla, Elon Musk potrebbe ritagliarsi qualche ruolo. Per il resto, è quasi certo che vi siano tagli alle tasse e una frenata sulle regolamentazioni ambientali, immaginando - con queste ricette neoliberiste - di rilanciare un'economia che in verità negli anni di Biden è andata piuttosto bene. I cosiddetti temi di società: aborto, ecc.., cui la Harris e i democratici hanno dato persino troppa importanza in campagna elettorale, saranno al centro del dibattito ma senza eccessi. Il Tycoon non è un ideologo e facilmente scontenterà le frange integraliste che chiedono divieti a livello federale.
In politica estera non dovrebbero esservi soverchi mutamenti di rotta. Trump promette di chiudere tutte le guerra in corso: un'ambizione di non poco conto – in linea con il suo carattere – ma che ci auguriamo possa realizzarsi. Non si pensi però che gli Stati Uniti si inchineranno alla Russia, sebbene verrà cercata qualche via di uscita al conflitto tra Mosca e Kiev. Piuttosto c'è da temere che un Netanyahu, ringalluzzito dalla vittoria trumpiana, proseguirà ancor più testardamente sulla linea dura che sta portando Israele in un vicolo cieco.
Rimane l'Europa. Se ieri sperava troppo dalla Harris, oggi farebbe bene a non disperare troppo con Trump. La Nato non è in discussione in quanto tale ma per le sue modalità di finanziamento. In ogni caso è imprescindibile che l'Unione europea sviluppi nel medio periodo un proprio modello di difesa comune: presupposto per una più incisiva presenza internazionale.
Tante, dunque, le questioni in agenda come sempre quando si osserva il panorama politico statunitense. Tra breve comincerà il periodo di transizione tra l'amministrazione democratica e quella repubblicana, in vista del debutto della nuova presidenza il prossimo 20 gennaio. Da quel momento vedremo all'opera Donald Trump tornato alla Casa Bianca dopo un quadriennio fuori dalle stanze del potere. Esattamente quello che accadde a fine Ottocento al democratico Grover Cleveland, primo presidente ad essere eletto per due mandati non consecutivi.
Questo, in estrema sintesi, l'esito di una delle tornate che veniva presentata tra le più incerte ma che poi in realtà ha visto quasi subito Trump prendere il largo. Alla fine tutti gli Stati in bilico (Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, ecc...) sono scivolati dal lato del Tycoon. Un esito che ha consentito a Trump di superare agevolmente i 270 voti necessari per far propria la sfida. Alla festa per la presidenza si è poi aggiunto l'avvento - con 51 seggi su 100 – di una maggioranza repubblicana sia al Senato che alla Camera dei rappresentanti. A completare una svolta nel segno della stabilità politica.
Ci sarà tempo per analizzare il voto nei suoi mille risvolti, provando a comprendere come si è mosso questo o quel segmento sociale o anagrafico. Per ora possiamo solo registrare lo spartiacque esistente tra aree urbane, che arridono alla sinistra, e zone rurali, che si rivolgono alla destra. Una frattura territoriale, ma non solo, ormai consueta a tutte le latitudini su cui le forze riformiste – comprese ovviamente quelle nostrane - dovrebbero fare qualche riflessione.
Possiamo anche dire che Trump ha iniziato a vincere le presidenziali il giorno cui in Pennsylvania venne ferito nell'attentato, rialzandosi immediatamente da terra ed alzando il pugno al cielo per mostrare la propria volontà di non arrendersi. Un'immagine che oltre a rinsaldare il proprio elettorato gli ha probabilmente regalato una fetta di consensi tra gli indecisi.
Per contro Kamala Harris ha forse cominciato a perdere la sfida quando ha creduto che in quanto donna avrebbe potuto incamerare il voto femminile in una banale logica di competizione con l'universo maschile. Un ragionamento per categorie generali – tipico vezzo dei progressisti in qualsiasi parte del mondo – che si è rivelato del tutto fallace.
Ciò detto, è ancora presto per esprimersi sulla presidenza Trump nei prossimi quattro anni. Intanto è necessario vedere come sarà composta la squadra di governo, dove il patron di Tesla, Elon Musk potrebbe ritagliarsi qualche ruolo. Per il resto, è quasi certo che vi siano tagli alle tasse e una frenata sulle regolamentazioni ambientali, immaginando - con queste ricette neoliberiste - di rilanciare un'economia che in verità negli anni di Biden è andata piuttosto bene. I cosiddetti temi di società: aborto, ecc.., cui la Harris e i democratici hanno dato persino troppa importanza in campagna elettorale, saranno al centro del dibattito ma senza eccessi. Il Tycoon non è un ideologo e facilmente scontenterà le frange integraliste che chiedono divieti a livello federale.
In politica estera non dovrebbero esservi soverchi mutamenti di rotta. Trump promette di chiudere tutte le guerra in corso: un'ambizione di non poco conto – in linea con il suo carattere – ma che ci auguriamo possa realizzarsi. Non si pensi però che gli Stati Uniti si inchineranno alla Russia, sebbene verrà cercata qualche via di uscita al conflitto tra Mosca e Kiev. Piuttosto c'è da temere che un Netanyahu, ringalluzzito dalla vittoria trumpiana, proseguirà ancor più testardamente sulla linea dura che sta portando Israele in un vicolo cieco.
Rimane l'Europa. Se ieri sperava troppo dalla Harris, oggi farebbe bene a non disperare troppo con Trump. La Nato non è in discussione in quanto tale ma per le sue modalità di finanziamento. In ogni caso è imprescindibile che l'Unione europea sviluppi nel medio periodo un proprio modello di difesa comune: presupposto per una più incisiva presenza internazionale.
Tante, dunque, le questioni in agenda come sempre quando si osserva il panorama politico statunitense. Tra breve comincerà il periodo di transizione tra l'amministrazione democratica e quella repubblicana, in vista del debutto della nuova presidenza il prossimo 20 gennaio. Da quel momento vedremo all'opera Donald Trump tornato alla Casa Bianca dopo un quadriennio fuori dalle stanze del potere. Esattamente quello che accadde a fine Ottocento al democratico Grover Cleveland, primo presidente ad essere eletto per due mandati non consecutivi.
Complimenti ad Aldo Novellini per questo perfetto editoriale. Scritto in tempo reale. Io avrei impiegato due settimane! Adesso vedremo se riuscirà a uscire da quella “sovraestensione” geopolitica e militare che per gli USA comincia a rappresentare un peso insostenibile. Non credo che si verificherà il temuto arrocco protezionistico: la globalizzazione certamente sarà mitigata nei suoi effetti più dirompenti ma il commercio internazionale continuerà a seguire il suo corso. Semmai vedremo singole misure protezionistiche utilizzate strategicamente in funzione di obiettivi economici o politici: meglio del sanzionismo arrogante e autolesionistico a cui siamo stati anche noi europei obtorto collo assoggettati e chissà se l’amministrazione Trump troverà la forza e avrà l’intelligenza di superarlo. C’è poco da dire sulla meteora Harris, una professionista di valore nella vita privata ma una politica incostante e una statista impalpabile: mi preoccupava moltissimo vedere fra i suoi seguaci la figlia di Dick Cheney, vicepresidente e uomo forte dell’amministrazione Bush junior, incarnazione del bellicismo unilaterale neocons al tempo dei sogni ricamati sulla trama del New american century. Per fortuna la figlioletta, almeno per ora ci verrà risparmiata
La campagna elettorale trampiana all’insegna di falsità, violenza, e trivialità non lasciava prevedere – inattendibilità dei sondaggi!- un risultato così premiante per il tycoon e una debacle tanto rovinosa per Kamala Harris.
Non c’è ancora la certezza che anche la Camera abbia conseguito la maggioranza repubblicana ma, se dovesse accadere, si raggiungerebbe, in pratica, una concentrazione di potere, nelle mani di un unico soggetto, degna, se non di un tiranno, certamente di un autocrate.
Il concretismo è stato riesumato in Italia in opposizione all’idelogia Woke, che rappresenta emblematicamente la fine di un ciclo nella politica americana e occidentale: quello dell’egemonia del progressismo fondato sulla identity politics, in particolare l’aborto rivendicato come bandiera di libertà ed emancipazione; l’agenda Lgbt/gender, con particolare insi-stenza sull’esaltazione del transgenderismo e delle identità “fluide”; la difesa ad oltranza dell’immigrazione senza limiti; la pretesa di tutela speciale di ogni minoranza etnica “non bianca”. Il primo inventore e oppositore coraggioso di questo fallimentare sistema è stato Matteo SALVINI col suo originale concretismo, molto osteggiato e deriso, ingiustamente dalla Chiesa Cattolica e dalla magistratura. Invece con molto coraggio e con più fortuna e astuzia, questo obiettivo è stato per-seguito da Giorgia MELONI, ponendovi il sigillo. Esso si esprime in un solido anti ideologismo con nuovi equilibri economici, tutto ciò ha molto colpito Donald Trump che ne ha fatto il suo dogma elettorale, fondato sull’idea di una rinascita della nazione portatrice di vantaggi per tutte le sue componenti, e su obiettivi (concreti) realistici di miglioramento della qualità della vita individuale e collettiva, la stessa politica condotta con successo dal Governo italiano. I problemi più sentiti dall’opinione pubblica, mondiale sono: la crisi economica, l’inflazione, l’immigrazione, la sicurezza, le guerre in corso nel mondo, mentre Dem restano arroccati nella posizione di rappresentanti politici di una borghesia benestante e istruita falsamente ambientalista e fallita culturalmente, il pulcinella emblema odierno in Piazza Municipio a Napoli, riassume in parte questo giudizio sul campo largo.
Il conflitto Russo-Ucraino, avversato da Kissinger da me e da tantissimi altri, ha amplificato l’ideologia Woke. Sono molto lieto che nelle ultime elezioni USA, Biden abbia fatto una brutta fine, è prevalso il concretismo, come del resto in Italia e presto sarà così nel resto del mondo. Purtroppo dobbiamo fare i conti in casa nostra con un’opposizione durissima, al limite dell’anarchia, da parte di una Sinistra politicamente diseducativa, si serve dei magistrati e dei sindacati, a suo piacimento. I primi come martelli pneumatici e i secondi come grimaldelli. Pratica la delinquenza ideologica, influenza il disordine surrettiziamente attraverso i media e gli insegnanti, danneggia e distrugge il patrimonio urbano, la segnaletica verticale, incoraggia i graffiti e gl’imbrattamenti dei monumenti. Manipola i sindacati come burattini con scioperi diseducativi senza senso, improduttivi e punitivi per la popolazione, i giudici democratici sono sostanzialmente arbitrari, applicano il diritto soggettivamente, penalizzano il mercato favorendo l’immigrazione irregolare. Si spera che si attenui la delinquenza ideologica con la vittoria dei Repubblicani in USA. I fomentatori di guerre e di discordie vanno individuati e isolati a livello mondiale. La Nato si deve tenere estranea da questa funesta immoralità! Occorre anticipare gli eventi funesti, sarebbe buona cosa che ISPI esprima un autorevole giudizio sul suddetto comportamento che non rispecchia la volontà della maggioranza della popolazione mondiale del buon senso! Quando si esagera bisogna intervenire per raffreddare il clima internazionale molto surriscaldato dalla politica infantile incoraggiata da Biden, con queste premesse il 26 settembre 2022 Giorgia MELONI s’insediò a Palazzo Chigi. La sinistra sbaglia a fare bordello deve agire per una politica ragionata. “Uscire fuori dal coro del liberismo sfrenato è buona cosa. Se dinanzi alle ingiustizie le persone oneste tacciono il male si diffonde. La globalizzazione è la causa della crescita della povertà, la perdita di posti di lavoro, l’ingiustizia sociale e una minore tutela dell’ambiente, della salute e della vita privata. Inoltre, ci sentiamo minacciati della nostra identità, tradizioni e del nostro modo di vivere. Occorre riconoscere e rispondere a queste preoccupazioni. La passata cattiva gestione, ha portando l’Italia verso una tragica esemplificazione di ciò che avvenne in Russia con i deportati diventati coloni di lavoro, costretti ad integrarsi in una società segnata da una penalizzazione generale, in cui nessuno sapeva chi sarebbero stati i prossimi esclusi. E’ ciò che ha subito la classe media italiana, con il conseguente declino economico, paragonabili al regresso sociale che accompagnò l’assalto sferrato dal potere sovietico contro la sua stessa società produttiva degli anni trenta. Al gioco delle tre carte vince sempre chi riesce ad incantare meglio i creduloni. Gli M5s non sono stati politici seri, corretti ed onesti, ma ottimi illusionisti. L’Italia beneficia del Governo Meloni, formato da persone competenti. La Commissione Europea, deve prendere a modello il libro di Stephen Smith “Fuga in Europa: la giovane Africa verso il vecchio continente”. Conosco l’Africa equatoriale, una polveriera pronta ad esplodere, ho realizzato in quei luoghi grandi progetti per diversi anni, servono riferimenti validi in Europa, per generare efficaci deterrenti atti a trattenere in Africa i potenziali emigranti. JF Kennedy parlò del bisogno di tutti gli statunitensi di essere cittadini attivi, pronunciando la famosa frase: “Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese”. Se partisse da noi una simile iniziativa ben strutturata, ma con lo spirito lapiriano costruttivo e pacifico, sarebbe un antidoto coraggioso contro le cause di ricorrenti inettitudini e di pericolose conflittualità. Se non vengono seguite dai fatti, le parole non contano”.