Israele: serve una mossa spiazzante



Aldo Novellini    1 Novembre 2024       1

Dopo l'attacco israeliano ad alcuni siti industriali iraniani c'è da sperare la roulette impazzita mediorientale possa finalmente fermarsi. Che Israele, come è trapelato, abbia preavvisato l'Iran tramite alcuni canali arabi dell'imminente azione potrebbe deporre a favore di un allentamento della tensione. Occorre capire come reagirà Teheran che per ora, intemerata dell'ayatollah Khamenei a parte, sembra intenzionata a mantenere un profilo basso.

Lo scenario resta certamente foriero degli esiti più imprevedibili. E' giunto il momento di trovare una via di uscita: in caso contrario, con questa sequela di reazioni a catena, tutto rischia di sfuggire di mano. Ad un anno dal tremendo attacco di Hamas contro i kibbutz che ha provocato la morte di oltre mille israeliani la situazione sul campo è drammatica. Più di tutto a pagarne le spese sono i palestinesi di Gaza, martoriati da mesi di bombardamenti che hanno ridotto la Striscia ad un lager a cielo aperto. Immediatamente a ruota seguono gli ostaggi israeliani, la cui liberazione non è mai parsa il primo obiettivo di Tel Aviv.

In questa tragica vicenda emerge un dato di fatto. Il disprezzo verso la popolazione palestinese accomuna tanto Israele, con l'occupazione della Cisgiordania in spregio a tutte le leggi internazionali, quanto Hamas che, con il suo “tanto peggio, tanto meglio”, messo in pratica nella strage del 7 ottobre, ha gettato la popolazione di Gaza in pasto alla forsennata, e prevedibile, vendetta di Tel Aviv. La responsabilità dei 40mila morti della Striscia, ora ridotta ad un lager a cielo aperto, grava sulla coscienza sia degli estremisti al potere in Israele sia di quelli che capeggiano Hamas. Terroristi che hanno giocato, e giocano tutt'ora, sulla pelle dei propri connazionali.

Forse un giorno scopriremo inconfessabili legami tra Hamas e le frange più estreme della destra israeliana. A pensar male si fa peccato, diceva Giulio Andreotti, ma talvolta la si azzecca e, in ogni caso, è comunque provato che la destra – tranne brevi parentesi da quasi trent'anni alla guida del Paese - ha sempre cercato di indebolire la legittima Autorità palestinese e il nazionalismo laico, impersonato a suo tempo da Yasser Arafat.

E così oggi siamo dinanzi ad un governo israeliano che prosegue imperterrito la sistematica distruzione di Gaza. Poi vi è il fronte libanese per sgominare Hezbollah. E qui si possono comprendere le ragioni di Israele: non è infatti pensabile che questi terroristi installati in Libano continuino a lanciare razzi contro il nord della Galilea. Regione - ironia della sorte - abitata in prevalenza da arabi israeliani. Ovvia la necessità di Tel Aviv di far cessare questo stillicidio. Infine vi è la contesa con l'Iran, ritenuto il mandante dei gruppi terroristici che operano nella regione, rappresenta il terzo fronte di guerra.

Il vero problema è soprattutto l'evidente assenza, da parte di tutti, di qualsiasi prospettiva per stabilizzare l'area. Eppure Israele che, dopo l'eliminazione dei capi di Hamas e di Hezbollah, può considerarsi più forte di un anno fa, dovrebbe saper cogliere questo momento per fare un passo coraggioso e lungimirante. Quello di affermare a chiare lettere l'intenzione di avviare in prospettiva un concreto percorso per approdare al riconoscimento di uno Stato palestinese. Una decisione unilaterale, quasi a sfidare i dirigenti palestinesi a munirsi di una leadership all'altezza della prova. Una mossa spiazzante che avrebbe come esito di togliere qualsiasi alibi a chi di Israele vuole solo la distruzione.

Ci rendiamo conto che questo scenario rasenta la pura fantascienza. Servirebbe un leader della statura di Yitzhak Rabin e un governo di marca progressista, in grado di coniugare le indiscutibili esigenze di una difesa nazionale con le altrettanto indiscutibili ragioni del popolo palestinese. Purtroppo l'attuale leadership di estrema destra è avvitata su se stesso. Capace di reagire colpo su colpo a breve termine, incapace di concepire una strategia per garantire una vera sicurezza nel lungo periodo.


1 Commento

  1. In queste ore di vigilia delle elezioni presidenziali statunitensi si fanno sempre più insistenti le minacce di ritorsione di Teheran contro Israele, tanto da indurre l’Amministrazione Biden a dispiegare un’imponente forza di deterrenza aero-navale nella regione mediorientale.
    Non si scorge il benché minimo spiraglio di attività diplomatica volta ad un cessate il fuoco alneno temporaneo.
    L’eventuale vittoria di Donald Trump potrebbe aggravare ulteriormente la situazione, se fosse confermata l’intenzione neoisolazionista del presidente rieletto perché in tal caso, cadrebbero quei residui deboli freni inibitori della politica e avrebbe libero campo solo la potenza delle armi con l’immaginabile catastrofe finale.

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*