Provo a mettere in ordine alcune considerazioni che il successo ottenuto dalla raccolta di firme per il referendum sulla cittadinanza degli stranieri ha suscitato.
L’Italia è un paese che invecchia, le culle sono vuote, ha bisogno di forze fresche e giovani per alimentare il mercato del lavoro, allargare la platea dei consumatori, sostenere il gettito fiscale e il sistema pensionistico. È innegabile. La pressione migratoria massiccia e impetuosa che spinge da sud e da est potrà, si dice, offrire al Paese le risorse umane di cui ha bisogno. Per questo motivo l’accoglienza nei confronti degli stranieri che sbarcano sulle nostre coste non è soltanto un dovere morale ma anche un ottimo affare.
Ma possiamo risolvere in prospettiva i problemi nostri e degli stranieri limitandoci a organizzare con la massima efficienza e la massima umanità la mera fase dell’accoglienza? Si tratta del primissimo miglio dell’intera questione migratoria. Le persone che entrano nel territorio italiano per rimanervi (non dimentichiamo comunque che per molti migranti l’Italia è un luogo di transito desiderando essi raggiungere i Paesi del Nord Europa dove è più radicata la presenza di comunità affini per provenienza e cultura) superata la fase della prima accoglienza dovranno integrarsi nel tessuto sociale della loro nuova realtà. Soltanto attraverso un'effettiva integrazione gli immigrati potranno fornire il contributo atteso alla prosperità e allo sviluppo del nostro Paese. È l’aspetto cruciale della questione migratoria e non si accontenta di soluzioni facili e sbrigative.
Premessa di una buona integrazione è innanzitutto il rispetto di precisi paradigmi quantitativi e qualitativi. Esiste un limite fisiologico al numero di immigrati che è realisticamente possibile includere nei meccanismi di assimilazione; inoltre gli immigrati devono possedere caratteristiche personali tali da renderli aperti e disponibili a entrare in tali meccanismi. A cominciare dalla propensione a rispettare quei superiori principi di legalità che tutti tutelano, la comunità nazionale tradizionalmente radicata sul territorio e le comunità delle persone che hanno ricevuto accoglienza, stranieri e autoctoni. Estremisti religiosi e soggetti devianti non potranno mai seguire un proficuo percorso di integrazione e difficilmente diverranno, per usare un termine abusato, “risorse”.
Lo sbarco disordinato, estraneo alle più embrionali forme di programmazione, certamente non aiuta la preselezione dei migranti; i meccanismi in larga misura inesplorati che inducono tante persone ad abbandonare il proprio Paese di origine (il negletto “diritto a non emigrare”) sembrano un’estrema declinazione del neoliberismo selvaggio che ha attraversato gli spazi globali negli ultimi decenni, quella dinamica (s)regolatrice di scambi commerciali e finanziari che oggi insiste e incide sulla carne viva delle persone. Attori di questo commercio sono non a caso congreghe di trafficanti mossi dagli spiriti animali tipici di un capitalismo aurorale. Il mancato rispetto di un ragionevole coefficiente quanti-qualitativo rischia di generare sacche di emarginazione, degrado dei territori e conseguenti reazioni di rifiuto e persino di razzismo: il terreno di coltura ideale per il populismo delle destre radicali.
Poco fa ho utilizzato – maliziosamente? – un termine inappropriato, assimilazione: l’integrazione non si deve confondere con l’assimilazione, le culture originarie degli stranieri non sono vuoti a perdere ma interloquiscono dialetticamente con quelle "autoctone"; da questo scambio fecondo nasce la ricchezza del multiculturalismo, che tuttavia deve essere costruito con pazienza e attenzione, altrimenti rinascono le incomprensioni e le tensioni razziali. Non dobbiamo farci illusioni sulla natura umana: la politica deve realisticamente essere consapevole di quanto sia difficile comporre in un mosaico armonico tante diverse identità. Il processo di integrazione ci appare dunque come l’impegno più esigente, sfidante (come si direbbe nell’idioma manageriale) e indispensabile per giungere a una società ricca nella diversità, più giovane e più prospera: il migliore investimento possibile.
La principale condizione per aprire la strada all’integrazione è il lavoro. Che fare per creare opportunità di lavoro a tutti, italiani e stranieri? Non conoscendo a priori il bagaglio di competenze che lo straniero reca con sé (dovremmo almeno saperlo degli italiani) occorre oltretutto calibrare percorsi formativi che abilitino le persone a trovare spazio in un ambiente tecnologico e organizzativo in rapida trasformazione. La grande incompiuta italiana nel corso degli ultimi decenni è, purtroppo, una politica industriale seria, organica, lungimirante. Il boom economico che aveva creato così tanti posti di lavoro era stato il frutto – pur certamente in un contesto internazionale favorevole (la ricostruzione post bellica, gli effetti del piano Marshall) – della stabilità politica e di una classe dirigente all’altezza, che aveva saputo fare una robusta politica industriale: ingredienti drammaticamente assenti oggi (ieri avevamo Fanfani, Moro, Mattei, Olivetti, Di Vittorio, Pastore), e la prospettiva di percorsi di integrazione virtuosi ne è inficiata. Naturalmente i meccanismi di incontro fra domanda e offerta dovranno essere costantemente verificati e migliorati (rinvio all’articolo di Natale Forlani - CLICCA QUI).
Finalmente si sente citare una seconda condizione essenziale per includere in modo effettivo gli stranieri nella società: la cultura e la scuola (che ne è il presupposto). Ma in quali condizioni si trova la nostra scuola, eterna cenerentola buona per fare cassa a ogni tiratina d’orecchie da parte europea in fatto di bilancio? Siamo proprio sicuri che 5 anni di scuola elementare siano sufficienti (qualche buontempone ha proposto addirittura di computare gli anni della scuola materna!) per fornire agli stranieri quel corredo di conoscenze e valori indispensabili per essere cittadini italiani?
Lasciamo andare le oziose diatribe sul requisito costituito dal numero degli anni di schola richiesti: quale la “qualità” di questi anni di apprendimento? La scuola, nonostante l’impegno lodevole profuso da tantissimi docenti, spesso non è in grado neppure di costruire la piena cittadinanza di italiani che sono tali per ius sanguinis.
Ecco quindi un’altra precondizione per offrire agli stranieri un percorso rispettoso sia del bene loro promesso, quella cittadinanza che è il tesoro più prezioso che uno Stato possa donare a chicchessia, sia della loro stessa dignità. Lavoro e scuola sono due snodi cruciali nelle dinamiche di una moderna democrazia e devono essere, ripeto, oggetto di investimenti, in senso non solo economico ma morale e civile, seri e credibili: questo si deve fare per dissodare il terreno su cui potranno fruttuosamente germogliare le nuove cittadinanze.
Che dire quindi della proposta di concedere la cittadinanza dopo 5 anni soltanto di permanenza sul territorio nazionale? A un esame superficiale pare animata da un trasporto umanitario encomiabile. Ma sorge qualche lecito dubbio.
Non sarà che certa politica s'illude di risolvere la questione migratoria con una semplice sforbiciatina, eludendo l’impegno gravoso di costruire le condizioni per le quali i nuovi cittadini possono davvero dirsi tali? Una manifestazione di faciloneria, di mancanza di responsabilità, di fiducia illimitata nel potere della burocrazia? La cittadinanza, quel bene prezioso ed esclusivo, che dovrebbe essere il punto di arrivo di un percorso faticoso e condiviso, assegnata d’ufficio, quasi per automatismo? Non è un modo deprecabile di sottovalutare l’aspirazione e il diritto dei migranti a essere accompagnati nel percorso che li condurrà a divenire componenti attive della società e dell’economia? Più il percorso di integrazione è serio ed esigente, meno lo straniero si sentirà abbandonato dalle istituzioni. Un iter che a mio modo di vedere potrebbe concludersi con una vera valutazione di idoneità non con un arido adempimento burocratico. Cinque anni paiono pochi ma potrebbero addirittura essere ridotti qualora si constati che i requisiti sono stati raggiunti in un tempo inferiore: ma ordinariamente un percorso serio dovrebbe verosimilmente svilupparsi su un arco temporale più ampio.
Lo so, chi semina scomodi interrogativi non risulta troppo simpatico: ma meglio la pratica del dubbio metodico che gli entusiasmi vagamente demagogici spuntati come funghi nelle esternazioni di persone solitamente problematiche e inclini all’approfondimento. Che questioni epocali come la questione migratoria siano pretesto della polemica spicciola fra maggioranza e opposizione conferma la qualità, bassa, del teatrino della politica nostrano. Una cosa mi pare di poter dire: se perderà il referendum (qualora si faccia ovviamente) il centrosinistra avrà fatto del male a se stesso, se lo vincesse avrà fatto del male al Paese. E, paradossalmente, ai migranti.
P.S. Oltre a lavoro e cultura sarebbe bello da parte nostra offrire ai nuovi cittadini una democrazia compiuta, con un Parlamento composto da eletti e non da nominati. Purtroppo i media main stream tanto hanno dato risalto a codesto referendum sulla cittadinanza quanto hanno oscurato quello sul sistema elettorale.
L’Italia è un paese che invecchia, le culle sono vuote, ha bisogno di forze fresche e giovani per alimentare il mercato del lavoro, allargare la platea dei consumatori, sostenere il gettito fiscale e il sistema pensionistico. È innegabile. La pressione migratoria massiccia e impetuosa che spinge da sud e da est potrà, si dice, offrire al Paese le risorse umane di cui ha bisogno. Per questo motivo l’accoglienza nei confronti degli stranieri che sbarcano sulle nostre coste non è soltanto un dovere morale ma anche un ottimo affare.
Ma possiamo risolvere in prospettiva i problemi nostri e degli stranieri limitandoci a organizzare con la massima efficienza e la massima umanità la mera fase dell’accoglienza? Si tratta del primissimo miglio dell’intera questione migratoria. Le persone che entrano nel territorio italiano per rimanervi (non dimentichiamo comunque che per molti migranti l’Italia è un luogo di transito desiderando essi raggiungere i Paesi del Nord Europa dove è più radicata la presenza di comunità affini per provenienza e cultura) superata la fase della prima accoglienza dovranno integrarsi nel tessuto sociale della loro nuova realtà. Soltanto attraverso un'effettiva integrazione gli immigrati potranno fornire il contributo atteso alla prosperità e allo sviluppo del nostro Paese. È l’aspetto cruciale della questione migratoria e non si accontenta di soluzioni facili e sbrigative.
Premessa di una buona integrazione è innanzitutto il rispetto di precisi paradigmi quantitativi e qualitativi. Esiste un limite fisiologico al numero di immigrati che è realisticamente possibile includere nei meccanismi di assimilazione; inoltre gli immigrati devono possedere caratteristiche personali tali da renderli aperti e disponibili a entrare in tali meccanismi. A cominciare dalla propensione a rispettare quei superiori principi di legalità che tutti tutelano, la comunità nazionale tradizionalmente radicata sul territorio e le comunità delle persone che hanno ricevuto accoglienza, stranieri e autoctoni. Estremisti religiosi e soggetti devianti non potranno mai seguire un proficuo percorso di integrazione e difficilmente diverranno, per usare un termine abusato, “risorse”.
Lo sbarco disordinato, estraneo alle più embrionali forme di programmazione, certamente non aiuta la preselezione dei migranti; i meccanismi in larga misura inesplorati che inducono tante persone ad abbandonare il proprio Paese di origine (il negletto “diritto a non emigrare”) sembrano un’estrema declinazione del neoliberismo selvaggio che ha attraversato gli spazi globali negli ultimi decenni, quella dinamica (s)regolatrice di scambi commerciali e finanziari che oggi insiste e incide sulla carne viva delle persone. Attori di questo commercio sono non a caso congreghe di trafficanti mossi dagli spiriti animali tipici di un capitalismo aurorale. Il mancato rispetto di un ragionevole coefficiente quanti-qualitativo rischia di generare sacche di emarginazione, degrado dei territori e conseguenti reazioni di rifiuto e persino di razzismo: il terreno di coltura ideale per il populismo delle destre radicali.
Poco fa ho utilizzato – maliziosamente? – un termine inappropriato, assimilazione: l’integrazione non si deve confondere con l’assimilazione, le culture originarie degli stranieri non sono vuoti a perdere ma interloquiscono dialetticamente con quelle "autoctone"; da questo scambio fecondo nasce la ricchezza del multiculturalismo, che tuttavia deve essere costruito con pazienza e attenzione, altrimenti rinascono le incomprensioni e le tensioni razziali. Non dobbiamo farci illusioni sulla natura umana: la politica deve realisticamente essere consapevole di quanto sia difficile comporre in un mosaico armonico tante diverse identità. Il processo di integrazione ci appare dunque come l’impegno più esigente, sfidante (come si direbbe nell’idioma manageriale) e indispensabile per giungere a una società ricca nella diversità, più giovane e più prospera: il migliore investimento possibile.
La principale condizione per aprire la strada all’integrazione è il lavoro. Che fare per creare opportunità di lavoro a tutti, italiani e stranieri? Non conoscendo a priori il bagaglio di competenze che lo straniero reca con sé (dovremmo almeno saperlo degli italiani) occorre oltretutto calibrare percorsi formativi che abilitino le persone a trovare spazio in un ambiente tecnologico e organizzativo in rapida trasformazione. La grande incompiuta italiana nel corso degli ultimi decenni è, purtroppo, una politica industriale seria, organica, lungimirante. Il boom economico che aveva creato così tanti posti di lavoro era stato il frutto – pur certamente in un contesto internazionale favorevole (la ricostruzione post bellica, gli effetti del piano Marshall) – della stabilità politica e di una classe dirigente all’altezza, che aveva saputo fare una robusta politica industriale: ingredienti drammaticamente assenti oggi (ieri avevamo Fanfani, Moro, Mattei, Olivetti, Di Vittorio, Pastore), e la prospettiva di percorsi di integrazione virtuosi ne è inficiata. Naturalmente i meccanismi di incontro fra domanda e offerta dovranno essere costantemente verificati e migliorati (rinvio all’articolo di Natale Forlani - CLICCA QUI).
Finalmente si sente citare una seconda condizione essenziale per includere in modo effettivo gli stranieri nella società: la cultura e la scuola (che ne è il presupposto). Ma in quali condizioni si trova la nostra scuola, eterna cenerentola buona per fare cassa a ogni tiratina d’orecchie da parte europea in fatto di bilancio? Siamo proprio sicuri che 5 anni di scuola elementare siano sufficienti (qualche buontempone ha proposto addirittura di computare gli anni della scuola materna!) per fornire agli stranieri quel corredo di conoscenze e valori indispensabili per essere cittadini italiani?
Lasciamo andare le oziose diatribe sul requisito costituito dal numero degli anni di schola richiesti: quale la “qualità” di questi anni di apprendimento? La scuola, nonostante l’impegno lodevole profuso da tantissimi docenti, spesso non è in grado neppure di costruire la piena cittadinanza di italiani che sono tali per ius sanguinis.
Ecco quindi un’altra precondizione per offrire agli stranieri un percorso rispettoso sia del bene loro promesso, quella cittadinanza che è il tesoro più prezioso che uno Stato possa donare a chicchessia, sia della loro stessa dignità. Lavoro e scuola sono due snodi cruciali nelle dinamiche di una moderna democrazia e devono essere, ripeto, oggetto di investimenti, in senso non solo economico ma morale e civile, seri e credibili: questo si deve fare per dissodare il terreno su cui potranno fruttuosamente germogliare le nuove cittadinanze.
Che dire quindi della proposta di concedere la cittadinanza dopo 5 anni soltanto di permanenza sul territorio nazionale? A un esame superficiale pare animata da un trasporto umanitario encomiabile. Ma sorge qualche lecito dubbio.
Non sarà che certa politica s'illude di risolvere la questione migratoria con una semplice sforbiciatina, eludendo l’impegno gravoso di costruire le condizioni per le quali i nuovi cittadini possono davvero dirsi tali? Una manifestazione di faciloneria, di mancanza di responsabilità, di fiducia illimitata nel potere della burocrazia? La cittadinanza, quel bene prezioso ed esclusivo, che dovrebbe essere il punto di arrivo di un percorso faticoso e condiviso, assegnata d’ufficio, quasi per automatismo? Non è un modo deprecabile di sottovalutare l’aspirazione e il diritto dei migranti a essere accompagnati nel percorso che li condurrà a divenire componenti attive della società e dell’economia? Più il percorso di integrazione è serio ed esigente, meno lo straniero si sentirà abbandonato dalle istituzioni. Un iter che a mio modo di vedere potrebbe concludersi con una vera valutazione di idoneità non con un arido adempimento burocratico. Cinque anni paiono pochi ma potrebbero addirittura essere ridotti qualora si constati che i requisiti sono stati raggiunti in un tempo inferiore: ma ordinariamente un percorso serio dovrebbe verosimilmente svilupparsi su un arco temporale più ampio.
Lo so, chi semina scomodi interrogativi non risulta troppo simpatico: ma meglio la pratica del dubbio metodico che gli entusiasmi vagamente demagogici spuntati come funghi nelle esternazioni di persone solitamente problematiche e inclini all’approfondimento. Che questioni epocali come la questione migratoria siano pretesto della polemica spicciola fra maggioranza e opposizione conferma la qualità, bassa, del teatrino della politica nostrano. Una cosa mi pare di poter dire: se perderà il referendum (qualora si faccia ovviamente) il centrosinistra avrà fatto del male a se stesso, se lo vincesse avrà fatto del male al Paese. E, paradossalmente, ai migranti.
P.S. Oltre a lavoro e cultura sarebbe bello da parte nostra offrire ai nuovi cittadini una democrazia compiuta, con un Parlamento composto da eletti e non da nominati. Purtroppo i media main stream tanto hanno dato risalto a codesto referendum sulla cittadinanza quanto hanno oscurato quello sul sistema elettorale.
Solita illusione di integrazione tra popoli di religione e cultura diverse, inconciliabili e comunque in contrapposizione alla nostra. In compenso i nostri giovani che eccellono in capacità e cultura intanto emigrano in tutto il mondo arricchendo le altre nazioni, impoverendo l’Italia. Insomma noi investiamo su di loro e rendiamo ricchi gli altri! Quelli che accogliamo diventano sostanzialmente schiavi sfruttati, malpagati e non tutelati. Naturalmente essi ci ripagano con un odio non dissimulato e alimentato da religioni in netta contrapposizione con la nostra cattolica. Così alimentiamo una bomba ad orologeria che prima o poi scoppierà come già avviene in Francia. I buonisti intanto con i loro partiti soffiano per eccellerare il loro processo di italianizzazione. Io “speriamo che me la cavo!”
La demografia di Papa Francesco non tiene alla prova della realtà, un discorso fuorviante e pericoloso. Fuorviante perché fa di ogni migrazione un fascio, non distingue tra flussi regolari e sbarchi illegali, vuol far credere che il nostro Paese sarebbe chiuso all’immigrazione tout court. Non è vero: in Italia, ad esempio, il decreto flussi del 27 settembre 2023 ha fissato le quote di stranieri che saranno accolti in Italia per motivi di lavoro nel triennio 2023-2025: 136mila il primo anno, 151mila il secondo e 165mila il terzo; in tutto 452mila cittadini stranieri. Quindi c’è una distinzione da tenere ben presente tra immigrazione regolare e irregolare. Viene sempre viene in mente la tragedia di Zaventem: i figli di migranti non integrati, che provocò 32 morti (più tre attentatori suicidi) e 350 feriti. L’attentato, uno dei più gravi commessi in Europa in questo secolo, fu rivendicato prontamente dall’Isis (lo Stato Islamico) e i responsabili appartenevano a una numerosa cellula franco-belga, responsabile anche degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. “Con tutto il rispetto, con tutta la battaglia durissima contro qualunque discriminazione di genere, di sesso, di razza ma ci mancherebbe, però non dovete imporci un modello, oggi non c’è una pubblicità, un film in cui non ci sia un gay, un nero, è una invasione e provocherà magari anche delle reazioni non belle anche violente, non lo capiscono”, così si esprime Marco Rizzo. A mio avviso ha ragione, si sta esagerando non vedendo l’evidenza, il popolo virtuoso apra gli occhi: un vento satanico spira contro l’occidente, “preghiamo Maria SS”, liberaci e proteggici! Gli stranieri meritevoli con lavoro stabile e a tempo indeterminato, potrebbero richiedere la cittadinanza italiana dopo dieci anni di residenza legale. Chi è il finanziatore del movimento antisemita islamista e delle ONG che raccolgono immigrati irregolari e li portano in Italia? E’ un aspetto inquietante sapere che all’origine delle rivoluzioni c’è sempre un mandante. Chi sono stati i mandanti dell’11 settembre, del 7 ottobre e delle guerra tra ucraini e russi, che per riflesso hanno innescato la guerra tra israeliani e palestinesi costata un milione di morti e costi per 200 miliardi di USD ? I retroscena sono quasi sempre economici e in minima parte ideologici, essi vanno denunciati con coraggio, il resto è roba fritta che non porta pace! Non ha senso contare i missili, invece ha senso produrre ragionamenti e proposte che portano l’armonia tra i popoli, denunciando spioni e malfattori. Matteo SALVINI, ha capito che per arginare questi massacri è necessario fermare gli sbarchi irregolari, ma è stato preso in ostaggio da Massoneria e Magistratura, un binomio che accende il dibattito da alcuni decenni a questa parte. E’ inaccettabile che il “campo largo” lo denigri e taccia su questi disumani e spietati crimini, animati da un’insanabile odio verso i cristiani occidentali benevoli ed accoglienti! In accordo alle seguenti premesse: ll defunto presidente Giorgio NAPOLITANO rivolgendosi al presidente tedesco Wolf, così si espresse: “C’è un’immigrazione comoda e ben accolta, quella dei “cervelli”, delle alte qualificazioni, e c’è anche una immigrazione scomoda, quella illegale, riluttante a integrarsi; sarebbe una stupidità dire che in Italia l’immigrazione non crea problemi. Li crea di fronte a una accelerazione degli afflussi. E quella illegale va combattuta con regole severe!!!”. Il presidente della Repubblica, Sergio MATTARELLA, a margine della sua visita a Parigi del 5 luglio 2021, commentò: “Alla pandemia abbiamo saputo dare una risposta europea, alla crisi economica altrettanto. Alle migrazioni, ovvero al tema che in grande misura oggi interpella i nostri valori, al tema che più di altri mette in gioco la nostra capacità geopolitica e la nostra visione del futuro, non siamo ancora riusciti a dare una risposta adeguata, efficace e comune”. URGENTEMENTE L’UE DEVE ATTUARE PROVVEDIMENTI D’INTELLIGENCE AD HOC PER FERMARE L’ESODO EPOCALE VERSO L’ITALIA E L’EUROPA. Siamo uno strano Paese. L’immigrazione è il fenomeno sociale più travolgente di questo secolo, ma il dibattito non decolla, “VANNACCI docet”, rimane prigioniero di slogan di parte, di affermazioni apodittiche, privo di approfondimenti, se non nelle chiuse stanze degli studiosi o nei ristretti circoli degli operatori. Il cittadino si domanda: chi sono gli immigrati? Con quali criteri vengono ammessi? Chi è il nuovo vicino di casa, il nuovo compagno di lavoro, il nuovo abitante del quartiere? Quali le garanzie che l’immigrazione non determini il degrado della comunità, dei diritti sociali, dei servizi pubblici? La risposta della magistratura, delle parti politiche e sociali più sensibili al tema appare insufficiente. Si argomenta: “senza immigrazione l’economia soffre e con essa, alla lunga, anche la comunità, i servizi pubblici, il sistema di welfare”. Matteo e Giorgia hanno salvato l’Italia che stava affondando, per i soldi facili elargiti dalla sinistra relativi al reddito di cittadinanza e al bonus 110 per cento, destinato alle ristrutturazioni. L’arrivo di africani si è quadruplicato durante questo periodo, esempi deleteri sono rappresentati da Sumaoro e Bellanova. Lo spirito dell’africano è fare poco o niente e guadagnare molto, inoltre cerca di acquisire molti diritti e pochi doveri. Quando Elly SCHELEIN, parla di immigrati e di razzismo, ma non vi racconta tutta la verità. L’Africa di oggi potrebbe esser diversa, sostiene Marco RIZZO: “potrebbe esser rigogliosa ed indipendente se l’imperialismo non l’avesse depredata e non avesse ucciso i suoi capi rivoluzionari, le avanguardie popolari, come l’eroe congolese Patrice Lumumba che nasceva il 2 luglio di 99 anni fa, fu vittima della CIA. Emblema della lotta contro il colonialismo e per l’emancipazione del suo popolo, primo capo del governo della Repubblica democratica del Congo (Kinshasa), dopo l’indipendenza, arrestato e ucciso nel 1961 dalle forze golpiste del colonnello Mobutu, con la regia dei servizi segreti britannici e l’intervento diretto del Belgio. Tutta l’africa è piena di questi esempi nefasti”. Oggi Matteo SALVINI è un eroe nazionale che si oppone come patriota che cerca di fermare le ONG-UE, è odiato essendo un personaggio molto importante nella politica, cerca di proteggere l’Italia con regole certe contro l’islamismo imperante, merita di essere considerato alla pari dell’Inglese William WILBELFORCE, nell’Inghilterra del XVIII secolo, che fece approvare una legge che desse agli inglesi il potere di sequestrasse le navi negriere degli USA. D’altro canto il primo ministro laburista inglese Keir STARMER, ha incontrato Giorgia MELONI, per trovare una soluzione all’immigrazione irregolare, sempre più pressante che strangola l’Europa e tutto l’occidente: le elezioni presidenziali previste negli USA a novembre, porranno a seconda del loro esito, il Vecchio Continente davanti a due scenari imprevisti. Per capire quale futuro attende le relazioni tra i due continenti, lo sapremo tra non molto. Il relativismo denunciato da Papa Benedetto XVI, ci si sta allontanando da questo comandamento: “I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Sinistra impazzita “Aborto senza freni in Spagna, il tragico bilancio del 2023. Oltre 100mila innocenti uccisi nel grembo materno, un aumento del 4,8% dopo la legge voluta dalla sinistra spagnola che ha liberalizzato e banalizzato una strage.
Queste sono le proposte migliorative che gli italiani suggeriscono :
a) limitare l’acquisto di armi
b) salvaguardare il territorio, affidare la cura di argini e canali ai contadini e accumulare acqua piovana , utilizzabile per siccità e incendi boschivi
c) favorire la nascita di bambini (culle vuote)
d) costruire case popolari con specifiche di solidità, idonee per abitanti indisciplinati,
e) espellere chi non ha diritto d’asilo, limitando il pericoloso islamismo, bandire le ONG
g) bene Giancarlo GIORGETTI e Raffaele FITTO.
h) la Lega riporta in Europa il buonsenso, nonostante le insidie sovversive di Soros. ll processo “open arms” è una forzatura della Massoneria.
i) far cancellare i segni anarchici (graffiti) dai prospetti delle scuole e dai palazzi istituzionali (per il decoro nazionale)
Condivido pienamente quanto scrive Andrea Griseri con parole dettate dal buon senso e da un sano realismo.
Egr. A.Griseri,
anche dai commenti aggiunti, oltre che dal suo scritto, risulta chiaro che sull’immigrazione irregolare sono molto diffuse le contrarietà e i timori più che giustificati. Personalmente sono per mantenere la legge attuale, ma penso che sarebbe giusto e proficuo che l’UE battesse un colpo con una legge per tutti che uniformasse l’accoglienza, l’inclusione da parte dei riceventi e il rispetto delle leggi e delle usanze locali da parte degli accolti. Cosa che non avviene ovunque in UE. Del resto la tanto auspicata accoglienza di Papa Francesco, per quel che mi risulta e da cattolico, non è mai sfociata nella sistemazione domiciliare, lavorativa e di cittadinanza di qualche immigrato nello Stato di Città del Vaticano, che pure è in Europa. Quanto alle ong. avranno anche buone intenzioni, ma finiscono per essere collaboratrici del nuovo traffico di schiavi. E come ognuno sa di buone intenzioni è lastricato l’inferno.