Trump ed Harris, mai come ora una sfida all’ultimo voto



Aldo Novellini    23 Settembre 2024       0

Il dibattito per le presidenziali 2024: il primo, e forse l'ultimo, visto che per ora in programma non ce ne sono altri, a detta di svariati commentatori è sembrato favorevole a Kamala Harris. Un po' in disarmo invece Donald Trump, forse prigioniero delle sue solite trite argomentazioni col risultato di lasciar spazio a qualche ficcante attacco della sua avversaria.

Primo round, dunque, per Harris. Elezioni quindi già decise? Per nulla, siamo solo all'inizio della corsa. Nel mese e mezzo che intercorre da qui al 5 novembre tutto può ancora accadere e il Tycoon è pienamente in grado di recuperare. Sempre ammesso - cosa tutta da dimostrare - che abbia realmente perso terreno. Molto probabile, piuttosto, che già nei prossimi giorni la forchetta dei sondaggi che si è allargata a vantaggio della Harris, per effetto del faccia a faccia, torni a restringersi.

Del resto pochissimi nella storia delle presidenziali sono i casi in cui si sia registrato un ampio e decisivo divario tra i due candidati già in questa fase. E' successo al democratico Lyndon Johnson nel 1964 che in novembre surclassò il repubblicano Barry Goldwater, troppo schiacciato su posizioni di ultradestra per essere seriamente competitivo. E otto anni dopo, nel 1972, fu Richard Nixon, presidente repubblicano in carica a staccare già in campagna elettorale l'iper progressista George Mc Govern. Due eccezioni che confermano una regola ben consolidata: la gara per la Casa Bianca si gioca sempre sul filo di lana.

D'altronde il sistema elettorale americano dove – come ben sappiamo – contano i delegati ottenuti nei singoli Stati rende difficile qualsiasi previsione. Si può perdere la presidenza pur avendo ricevuto più voti popolari dell'altro contendente, come è capitato ad Hillary Clinton nel 2016 proprio contro Trump, poiché il conteggio avviene a livello di ogni Stato per la cui conquista è sufficiente disporre di un voto in più dell'avversario.

Per capire come sta andando la campagna, gli analisti si concentrano - e sarà così anche questa volta – sugli Stati in bilico. Quelli, tanto per capirci, che ad ogni tornata, ondeggiano per poche manciate di voti tra repubblicani e democratici. Alla fine la partita si giocherà lì, tra Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e, forse, Ohio. Nel 2016 Trump, risultò vincente contro la Clinton, facendo propri questi territori: realtà operaie che si sentivano – non a torto – tradite dai democratici e che puntò sul protezionismo trumpiano. Adesso potrebbe essere diverso. Trump, che intanto è stato sconfitto nel 2020, durante la sua presidenza è stato il campione dei tagli delle tasse per i ceti più abbienti. Altro che il paladino delle classi lavoratrici. E del resto era inevitabile che fosse così.

Harris ha pertanto l'occasione di proporsi come la candidata più prossima al mondo del lavoro e nel suo programma, in effetti, figurano molte misure volte a tutelare quegli interessi. La presidenza Biden molto ha fatto per le fasce subalterne, a cominciare dall'aumento del salario minimo. Sui temi economici le differenze tra i due candidati sono decisamente marcate con Trump pronto a cancellare tutti i programmi ambientali messi in campo dal suo predecessore.

Più difficile scrutare la politica estera dei due concorrenti. Di Trump conosciamo il suo procedere per estreme semplificazioni, come quando immagina di chiudere in quattro e quattr'otto la guerra in Ucraina o essere il depositario della chiave risolutiva per gestire i rapporti con la Cina. Negli anni della Casa Bianca il Tycoon si è invero mostrato un leader assai più cauto di quanto non avesse manifestato in campagna elettorale. La Harris è invece una vera incognita. Verosimile che segua il solco tracciato da Biden: sostegno all'Ucraina, status quo a Taiwan, appoggio ad Israele pur dissentendo dal governo di Tel Aviv. Ma potrebbero anche esservi delle novità di non facile valutazione. Per ora di affari esteri entrambi i candidati parlano poco anche considerando che le presidenziali si vincono sulle questioni interne: sicurezza, economia, ecc... In ogni caso è immaginabile che la politica estera statunitense non cambi troppo: le diverse amministrazioni susseguitesi nel corso dei decenni si sono grosso modo mosse lungo gli stessi binari.

Sullo sfondo restano le tematiche sociali, in primis l'aborto: argomento spinoso a tutte le latitudini ma che in America assume impropri toni da crociata, sia da un lato che dall'altro, senza che si sia capaci – come nei Paesi europei – di trovare un punto di equilibrio. Vedremo come inciderà questo fattore in una campagna elettorale dove non mancheranno occasioni di scontro tra i due candidati e dove mai come questa volta la contesa pare giocarsi davvero all'ultimo voto.


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