La democrazia senza popolo



Alessandro Risso    24 Giugno 2024       7

A due settimane dal voto per eleggere il Parlamento europeo non abbiamo ancora i risultati ufficiali, neppure fossimo la Repubblica Centrafricana (spero che il suo ambasciatore non legga e non si offenda, nel qual caso mi scuso preventivamente). Mancano ancora all’appello 78 sezioni di Roma per poter chiudere i conti. Non ci facciamo una bella figura, dato che siamo l’unico Paese dell’Unione europea a non aver ufficializzato l’esito delle urne. Ma tant’è.

Aspettavo i dati ufficiali per poter commentare le elezioni con i numeri certi, dato che secondo il malcostume della politica spettacolo si sono ascoltate uscite di ogni sorta, tutte tese a rivendicare un qualche successo dalla prova elettorale. Persino Salvini è riuscito a dirsi soddisfatto dopo essere passato dal 34 a meno del 9% dei voti, perdendone oltre 7 milioni rispetto alle Europee del 2019. E anche se facesse riferimento alle Politiche del 2022, con percentuali simili, dovrebbe conteggiare la perdita secca di 400mila voti. Considerato che più o meno altrettanti li ha mantenuti grazie al “fenomeno Vannacci” – di cui il leader leghista dovrebbe ringraziare “Repubblica” e i salotti televisivi della sinistra radical-chic –, Salvini non dovrebbe cantare vittoria in nessun modo, almeno per decenza. Ma anche della decenza si è persa traccia sul teatrino mediatico.

Potremmo fare i conti in tasca precisi a tutti quanti, da chi ha perso malamente (Renzi e Bonino, Calenda, Conte con i Cinquestelle), a chi ha tenuto le posizioni (Forza Italia, PD e i Fratelli d’Italia della Meloni, brava a primeggiare ancora a quasi due anni dalla vittoria alle Politiche, considerato che dopo solo un anno l’elettorato aveva già voltato le spalle a M5S e Lega), alla coalizione Verdi/Sinistra, unica vincente su tutti i raffronti numerici ma comunque a un 6,78% che non giustifica trionfalismi.

Ci sembra però poca cosa soffermarci sui risultati dei partiti, quando l’attenzione va invece posta sul tema centrale di queste (e delle precedenti) elezioni: l’astensionismo.

Chi legge saprà già che non è andato a votare più di un italiano su due. Qualcuno avrà letto di una affluenza al 49,69%. Si tratta però di un dato inesatto, riferito solamente a chi risiede in Italia, mentre gli aventi diritto comprendono anche gli italiani all’estero: ed è curioso che per le percentuali non si consideri l’intero corpo elettorale, come è giusto che sia. Così facendo, la percentuale di votanti scende al 48,31%. Nel 2019 aveva votato il 54,5%, quindi l’astensionismo è aumentato del 6,19%. Ma non basta. Per avere il quadro reale del non voto bisogna considerare anche le schede bianche e le nulle.

Nel 2019 erano state quasi un milione (997.123) e pesavano il 3,6%. Ora mancano i numeri esatti (senza le 78 sezioni romane) ma si possono ricavare dagli altri: 51 milioni 214mila 348 aventi diritto, affluenza al 48,31%, quindi 24.741.652 votanti. I voti validi sono 23.385.447: dalla sottrazione ricaviamo bianche e nulle, 1.356.205, pari al 5,8%.

Possiamo quindi sottolineare che tutti i partiti in lizza hanno raccolto il consenso – più o meno convinto – del 42,51% degli italiani, con un aumento del non voto dell’8,39% a 5 anni di distanza. Ne deriva che le vere percentuali di consenso che i partiti hanno nel Paese sono le seguenti: Fratelli d’Italia 12.22, PD 10.25, M5S 4.24, Forza Italia 4.07, Lega 3.81, Verdi/Sinistra 2.88, Renzi/Bonino 1.6, Calenda 1.42 e gli altri allo zero virgola.

Da questi numeri reali partono considerazioni diverse. Quando la Meloni sentenzia che “i cittadini ci hanno detto da che parte stanno, e stanno dalla nostra parte”, dicendosi “orgogliosa del risultato di Fdi, di Forza Italia e della Lega”, dovrebbe pensare che la maggioranza di governo viene votata da appena 20 italiani su 100. Quando la Schlein esulta per il “risultato straordinario” del PD, “il partito che cresce di più dalle politiche”, farebbe bene a considerare tutt’altro che trionfale il consenso di 10 elettori su 100, e a sorvolare sul fatto che “la somma delle forze di opposizione supera quella della maggioranza”: infatti il “campo largo” a sinistra (PD, M5S, VeS) arriva al 17,37%, e solo aggiungendo Renzi, Bonino e Calenda si mette il naso davanti alla destra (20,39 contro 20,10). Come possa però una simile armata Brancaleone, ancora più disomogenea dell’Unione prodiana nel 2006, trovare una minima intesa di governo e un po’ di credibilità presso l’elettorato rimane un mistero.

Di tutta evidenza invece è il fatto che a destra come a sinistra rilanciano con forza il bipolarismo. Meloni e Schlein si legittimano così a vicenda: la premier sa che grazie alla compattezza del centrodestra (il potere e gli affari sono un potentissimo collante da quelle parti) governerà ancora molti anni, specialmente se riuscisse a cambiare in senso plebiscitario la Costituzione; la segretaria Dem sa (meglio, spera) che, ridimensionato il competitor Conte nella guida della coalizione, prima o poi toccherà a lei la guida del Paese. Nel frattempo gli italiani dimostrano con il non voto il loro distacco da una politica ormai governata dall’oligarchia protagonista sul palcoscenico mediatico, preoccupata del consenso immediato, di gratificare i clientes, di elargire bonus e proclamare diritti, dimentica dei doveri, del debito pubblico, delle virtù civiche.

Le ragioni dell’astensionismo sono varie e complesse, e ne scrive il bravo Francesco Provinciali (CLICCA QUI). I numeri certificano che il corpo elettorale non è coinvolto al 57.5% nel sistema politico, e la percentuale sale almeno ai due terzi se aggiungiamo i molti – soprattutto nel centrosinistra – che votano il meno peggio. Ma i leader del teatrino non se ne preoccupano, limitandosi ad osservare che gli assenti hanno sempre torto, beandosi della vittoria al ribasso o del protagonismo garantito dal ruolo di oppositore nel gioco delle parti.

Da un lato potremmo anche vedere del positivo in questa realtà: chi è preoccupato della svolta a destra dopo le ultime Politiche si può rasserenare pensando che il partito post o para fascista, pur maggioranza relativa, resta una netta minoranza nel Paese; e chi critica il PD per essersi ridotto a un “partito radicale di massa” ne vede rassicurato una massa comunque esigua. Tutto vero, ma non ne siamo rinfrancati.
Chi ha a cuore la tenuta democratica del nostro Paese dovrebbe invece preoccuparsi: “una democrazia senza popolo è destinata a tramontare”, insegnava il nostro maestro Guido Bodrato. Il distacco dei cittadini dalla partecipazione democratica va considerato una ferita grave da curare. Abbiamo sentito in tv Italo Bocchino, opinionista di destra onnipresente nei salotti televisivi da quando la Meloni guida il Governo, dire che chi non va a votare lo fa perché sa che è ininfluente dato che la democrazia è solida (e, sottinteso, in buone mani), facendo infuriare Massimo Cacciari che ha abbandonato la trasmissione. Negli anni abbiamo ascoltato tanti di questi ragionamenti, tanti soloni di destra e sinistra che ci raccontavano come le democrazie mature e solide – il particolare quella statunitense – avessero un alto astensionismo fisiologico. Una delle fandonie con cui ci hanno confezionato “l’inganno del bipolarismo” (copyright sempre di Bodrato).

Resisterà l’equilibrata democrazia rappresentativa disegnata dalla Costituzione alla deriva populista e plebiscitaria di questi anni? Molti danni sono stati fatti dai suoi nemici, e il Parlamento si è indebolito: pensiamo solo ai “nominati” che lo hanno riempito, non per rappresentare la Nazione ma gli interessi del proprio Capo Partito.

Ecco perché la svolta deve partire dallo smantellamento della vergognosa legge elettorale maggioritaria a tutela dell’oligarchia: si sta avviando la raccolta firme per l’abrogazione del Rosatellum, primo passo in difesa della democrazia e della Costituzione. Ne parleremo diffusamente, per dare appoggio incondizionato a una buona causa da sostenere in concreto. Il secondo passo sarà il NO al Premierato voluto dalla Meloni, “matrigna di tutte le riforme” (CLICCA QUI) e “deriva più pericolosa” (CLICCA QUI). Senza dimenticare i danni che potrebbe portare l’Autonomia differenziata d’ispirazione leghista, sommatoria di centralismi ed egoismi regionali, e non animata dalla necessaria solidarietà e coesione nazionale.

Non mancano i fronti di impegno per chi si sente ancora “libero e forte”.


7 Commenti

  1. Esame perfetto della stato politico-sociale italiano. Quale la cura ? Il pezzo di Francesco Provinciali è di aiuto. Credo che in INSIEME dobbiamo parlarne approfonditamente anche x proporre un referendum abrogativo del Rosatellum. Necessita la riforma della legge elettorale in senso proporzionale con preferenze. Condivido pienamente la tua analisi e il tuo pensiero.

  2. Coraggiosa e lucida analisi politica. Ora urge abbandonare, dimenticare la seconda fase della vita repubblicana originata dalla bicamerale De Mita-Iotti che produsse il “Mattarellum”, a seguito dei nefasti referendum sulle “preferenze” e sul “maggioritario” propagandati da Mariotto Segni (a proposito, con la guida illuminata di Guido Bodrato votammo no ad entrambi), e terminata con il “Rosatellum”. Come? Riattivando le “Ragioni del Popolarismo” nel seguente percorso:
    A) Rileggere continuamente Sturzo per consolidare il Pensiero politico di riferimento;
    B) Leggere l’ultimo pregevole lavoro editoriale che riassume il Bodrato-pensiero ripetutamente espresso anche da Direttore de Il Popolo (poi sollevato dall’incarico da un certo Marini e sostituito da una certa Bindi! Non dimentichiamole queste tristi vicende), sintesi tra il Pensiero di riferimento e il tempo attuale;
    C) Riappropriarsi del Partito Popolare Italiano usurpato da Castagnetti e i suoi “58”;
    Liberarando finalmente le energie sane degli autenticamente “Liberi e Forti” per riprendere un cammino interrotto in forma politica autonoma ed organizzata sul territorio, come ci ha magistralmente insegnato Sturzo cambiando il corso della storia politica di questo Paese, “sospendendo la sospensione delle attività”. Il pericolo della deriva autoritaria lo esige!

  3. Condivido il commento di Antenucci : convogliare l’astensionismo ed i votanti del neno peggio verso “referendum abrogativi”. Non solo del rosatellum ma di ogni altro provvedimento con cui le baronie romane di tutti i partiti hanno, più o meno subdolamente, mutilata e stravolta la democrazia popolare disegnata dalla Costituzione.
    Non altrettanto apprezzo Trinchitella semplicemente perché mosso soltanto da astio e rabbia e non dalla voglia di ricostruire .

  4. Ottimo lavoro Alessandro! Peraltro, la qualità dei tuoi interventi è ormai scontata per noi. Nulla da eccepire.
    Se non ti costasse troppa ulteriore fatica, perché non pubblicare una versione 2.0 del tuo articolo con le cifre esatte dopo lo spoglio delle 78 sezioni romane? I guitti dei salotti politici televisivi potrebbero dichiarare che i tuoi sono “dati falsi” se potessero contestare uno scarto dello 0,01% fra le tue cifre e quelle finali. Altrettanto potrebbero fare le non poche persone alle quali intendo far conoscere il tuo lavoro: pur di non ammettere l’evidenza….

  5. Il paese è spaccato a metà (conservatori Vs progressisti, molto più attuali di destra e sinistra, ormai contaminate). Il maggioritario alla francese dovrebbe dare stabilità. Posto che le condizioni europee non siano comunque più forti della singola nazione. La globalizzazione ruggisce d’altronde. È l’occidente è chiamato a non fare la fine di Costantinopoli del XV secolo.

  6. L’Italia è spaccata in 2 (chi non va a votare non è disilluso, anzi gli va bene così perché spesso è in vacanza): conservatori e progressisti. Destra e sinistra han fatto il loro tempo.
    La globalizzazione ruggisce, un maggioritario alla francese garantisce governabilitá.
    Per non fare la fine di Costantinopoli nel XV sec direi che camminare dritti è fondamentale.

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