Canalis: salviamo il SSN introdotto da Tina Anselmi



Intervista di Andrea Griseri    21 Maggio 2024       1

La questione della sanità è finalmente oggetto di dibattito politico. Purtroppo la campagna elettorale non appare prodiga di approfondimenti significativi: troppo spesso i temi che richiamano l’attenzione dei cittadini sono affrontati a colpi di slogan tagliati con l’accetta. Per questo motivo abbiamo voluto porre alcune domande a Monica Canalis, consigliera regionale del Piemonte uscente in quota PD, esponente dell’area cattolico-democratica e iscritta all’Associazione Popolari, che si è lungamente occupata del problema.

Grazie per la disponibilità a rispondere alle nostre domande. Qual è il quadro di riferimento giuridico e politico della gestione della sanità in Italia?

Non dobbiamo dimenticare che la sanità è un diritto fondamentale, sancito dall’articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”

Si è data attuazione a quest'articolo della Costituzione nel 1978 con la legge 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), a firma della ministra Tina Anselmi. Sono numerosi i ministri di cultura Popolare che hanno operato nella consapevolezza che le buone pratiche sanitarie tutelano un diritto fondamentale e universale, il diritto alla vita, agendo in profondità sulle disuguaglianze.

Ma come si caratterizza il modello italiano?

Si ispira a un criterio universalistico. I sistemi universalistici non si limitano a curare, ma puntano a “produrre salute”; la “condizione di salute” dei cittadini, intesa come benessere della persona e non solo come mera assenza di malattia, è un valore collettivo: proprio per questo motivo occorrerebbe investire di più sulla prevenzione.

Ma in Italia, almeno fino agli anni ’90 il SSN non era considerato uno dei migliori al mondo?

Sì è così, ma poi la riforma De Lorenzo diede inizio a un rapido declino.

E quali sono le principali criticità che rilevi?

È un cahier de doléances piuttosto lungo purtroppo; in primo luogo il de-finanziamento: nel 2024 lo Stato italiano investe solamente il 6,2% del suo PIL per la sanità, la spesa di Francia e Germania è sensibilmente maggiore. Gli errori nella programmazione della formazione specialistica del personale sanitario hanno condotto all’attuale “imbuto formativo”, per i medici e ancor più per gli infermieri (le cui retribuzioni andrebbero riviste). E poi esiste la questione della medicina territoriale, troppo debole rispetto a quella ospedaliera (fenomeno emerso drammaticamente durante la pandemia).

Dare impulso alla medicina territoriale significherebbe migliorare l’offerta riducendo i costi legati alla degenza: quali gli snodi di un efficace presidio territoriale?

Significa disporre di un numero adeguato di professionisti specializzati in medicina generale e pediatri di libera scelta (per i quali va presa in considerazione un’assunzione diretta nel SSN), RSA, ambulatori territoriali, consultori familiari, Serd per le dipendenze, centri di salute mentale; le cure domiciliari poi dovrebbero rispondere alle attese delle famiglie, soprattutto quelle con un congiunto non autosufficiente.

La centralità dell’assistenza domiciliare presuppone, occorre prenderne consapevolezza, un investimento importante sulla riorganizzazione della medicina territoriale, anche per concentrarsi proprio sulla prevenzione. Più in generale abbiamo assistito a una torsione del SSN da “produttore di salute” a “produttore di prestazioni” ed esiste la questione del rapporto fra il pubblico e il privato profit.

Esistono poi marcate differenze fra i ventuno modelli regionali italiani… Ma tu ha vissuto, all’opposizione, un’esperienza nel Consiglio regionale piemontese e ora sei candidata per un secondo mandato. Come valuti la condizione della sanità in Piemonte?

È sotto gli occhi di tutti il deterioramento dei nostri servizi sanitari, nonostante le buone pratiche avviate in passato come le Case della salute. Dall’insediamento della Giunta Cirio nel 2019, la sanità pubblica piemontese ha perso 772 medici e 743 infermieri (si tratta di un saldo tra le assunzioni da un lato e i pensionamenti e le migrazioni all’estero o nel privato dall’altro), non è stato costruito neanche un nuovo ospedale e le lunghe liste d’attesa per visite ed esami hanno indotto un piemontese su dieci ad abbandonare le cure. Nel 2017 il Piemonte era la prima Regione italiana nella classifica ministeriale di erogazione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza, che misurano i parametri qualitativi degli ospedali, dei distretti territoriali e della prevenzione), mentre nel 2021 era settimo. Un peggioramento drammatico, pagato dai cittadini piemontesi sulla loro pelle.

Un giudizio senza appello! Ma il rapporto fra pubblico e privato? È possibile un’integrazione armoniosa, a vantaggio dei cittadini o si tratta di due polarità destinate inesorabilmente a escludersi vicendevolmente?

Anche in Piemonte si è dato uno spazio crescente al privato profit. Ferma restando la necessità di una positiva interazione tra pubblico e privato, occorre evitare di sbilanciarsi eccessivamente sulla sanità privata, che non è accessibile a tutti, non lavora sulla prevenzione e sulle prestazioni più rare e meno remunerative. La pandemia ha dimostrato che bisogna puntare sulla saturazione della capacità produttiva pubblica sottoutilizzata, per evitare sovrapposizioni col privato a discapito del pubblico.

Le linee guida della politica sanitaria in sostanza devono derivare dall’istanza pubblica e non dal mercato…

La sanità privata deve operare secondo le indicazioni e le richieste del soggetto pubblico: che ha una funzione regolatrice e può decidere quali attività di cura e diagnostica il privato debba svolgere; al privato deve essere senz’altro riconosciuto un ruolo sussidiario qualora la capacità produttiva del SSN sia giunta a saturazione e nell’ambito dei servizi standardizzati meno coperti dall’attività del settore pubblico.

Segnalerei infine l’urgenza dell’aumento di posti in rianimazione e terapia sub intensiva . E l’avvio di un piano per esplorare concretamente le possibilità della telemedicina.

Vorremmo che ci fornissi la tua opinione di cattolica democratica sullo spinoso tema della legge 194 del 1978: anche in Piemonte si è acceso un dibattito a dir poco incandescente.

Va chiarito innanzitutto che nell’ordinamento italiano non esiste un “diritto all’aborto”, ma che al tempo stesso l’aborto non è un reato. Su un tema così delicato e divisivo l’Italia ha fatto negli anni ’70 un lavoro di mediazione decisamente più avanzato rispetto a quello degli USA (dove senza una copertura a livello federale si moltiplicheranno gli aborti clandestini negli Stati privi di un quadro normativo), arrivando a licenziare una legge che contempera l’esigenza di contrastare gli aborti clandestini con il diritto alla vita del nascituro.

La legge 194 depenalizza la pratica dell’interruzione di gravidanza e la consente in alcune situazioni molto specifiche, non criminalizza la donna che abortisce, contrasta gli aborti clandestini, ma nel contempo circoscrive con precisione il diritto all’aborto a una serie di casistiche (articolo 4 della legge): non sancisce un diritto” naturale” all’aborto ma anzi prevede misure per rimuoverne le cause (articolo 2).

In regione Piemonte la giunta Cirio ha varato un fondo denominato “Vita nascente”: non è una scelta positiva?

È inteso a finanziare gli enti del terzo settore materno infantili accreditati con le ASL piemontesi. Nel 2023 è stato raddoppiato fino a 1 milione di euro per il sostegno ai progetti di tutela materno-infantile rivolti alle donne in difficoltà economico-sociali. Ma mentre finanzia gli enti di terzo settore la Regione sta de-finanziando i consultori, ribaltando l’equilibrio tra Pubblica Amministrazione e Terzo Settore. Anche in questo caso i consultori familiari pubblici dovrebbero svolgere una funzione regolatrice.

Sì ma puoi fornirci qualche dato numerico?

La legge 405/1975 prevede 1 consultorio ogni 20.000 abitanti. In Piemonte nel 2019 erano 1 ogni 36.247 abitanti. Troppo pochi. Eppure la Giunta Cirio sta continuando a chiuderli, come è accaduto recentemente nel quartiere Vallette di Torino.

Il fondo Vita Nascente rischia di limitarsi, demagogicamente, a servire a una sparuta minoranza di donne e bambini.

In molti ambiti si prevede la collaborazione con il Terzo settore no profit…

La collaborazione è prevista anche dalla legge 194 (articolo 2) ma in un’ottica integrativa, sussidiaria e non sostitutiva delle politiche istituzionali di welfare.

Quali secondo te le migliori azioni per la tutela della maternità?

Le azioni per la tutela materno infantile e per la prevenzione dell’interruzione di gravidanza dovrebbero essere di tre tipi:

1. Aiuto in denaro: c’è già grazie all’assegno unico, dal settimo mese di gestazione, ma andrebbe esteso alle donne straniere con meno di 2 anni di residenza in Italia.

2. Servizi pubblici: potenziamento dei consultori e degli altri servizi per la famiglia

3. Collaborazione col Terzo settore: sarebbe necessario un regolamento più preciso per definire la collaborazione tra consultori e enti di Terzo settore prevista dall’articolo 2d della legge 194, che selezioni meglio gli enti con cui attivare una convezione (non tutti i Centri aiuto alla vita, ad esempio, sono seri né sono tutti associati a Federvipa, la federazione presieduta da Marina Casini)

Chiarissimo. Ti ringraziamo per questa chiacchierata sintetica ma esaustiva!

Grazie a voi ma permettetemi ancora una considerazione. In Italia abbiamo il DPR 396/2000 sul parto in anonimato, una misura ancora poco conosciuta, ma dal grande valore clinico e giuridico.

“Promozione Vita”, l’associazione torinese presieduta da Valter Boero, opera da molti anni dentro l’ospedale Mauriziano, e ha operato anche durante i mandati regionali di Bresso e Chiamparino. Dubito che la propaganda suscitata dalle dichiarazioni di Marrone della giunta regionale di centrodestra gioverà alla discrezione e alla riservatezza necessari a “Promozione Vita” e agli altri centri di aiuto alla vita in Piemonte.


1 Commento

  1. Quotidiano Avvenire data 19 dic 2019
    Titolo le parrocchie vicine con l’infermiere di comunità.Iniziziativa lanciata dalla pastorale della Salute CEI Roma ideatori Don Massimo Angelelli e dott. Marco L’ora. Furono scelte 5 diocesi per un test iniziale, fra queste la diocesi di Alba l’accordo con l’ASL volto a creare, formare, figure O.S. mons.Marco Brunetti, dal quale sono stato gentilmente ricevuto per maggiori dettagli. L’idea di Sanità di prossimità si cognuga ottimamente. L’idea di creare la filiera clinico organizzativa: 226 diocesi, 26000 parrocchie, 20000 farmacie, 55.000 medici di famiglia (2019) affiancando gli infermieri di comunità con i tecnici di telemedicina e telemetria. Con molti benefici la realizzazione di ospedale diffuso la creazione di circa 50000 professionisti, infermieri tecnici, mettere la persona/paziente al centro della comunità in particolare nelle aree interne nelle piccole comunità, creando relazioni, prevenzione, gestione organizzata dei pazienti fragili e di lunga degenza, alleggerendo i grandi afflussi presso i pronto soccorso, il beneficio che una persona curata a casa propria, nella propria comunità guarisce molto prima, diminuendo il fenomeno dei decessi a causa di ICA infezioni contratte in ospedale grave problema che vede l’Italia capofila di questo triste fenomeno.
    Purtroppo l’avvento di questa meritevole iniziativa si è interrotta a causa della Pandemia. Propongo ovviamente una riflessione attorno al tema salute come bene comune alfine di riunire allo stesso tavolo i vari enti: La CEI, i vari ordini professionali medici, farmacisti, le diocesi, le organizzazioni degli O.S., i decisori politici, le aziende che producono tecnologie avanzate nei campi della telemedicina, telemetria e IIntelligenza artificiale, come la GPI di Trento certificata dalla CONSIP di cui ho incontrato sia l’AD che il direttore generale. A vostra disposizione Marco Bevilacqua

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