Da un po’ di anni a questa parte, si è intensificato, soprattutto al Sud, il controcanto al mito risorgimentale della “liberazione” del Mezzogiorno da parte dei Savoia. E questo accade non soltanto sui social, ma anche nella pubblicistica e nella critica storica contemporanea. Sono emersi fatti, verità e documenti che danno un’interpretazione leggermente diversa e un po’ più obiettiva di quel lungo periodo storico che vide il Mezzogiorno governato dai Borboni. Su alcune ricostruzioni storiche, tanto per essere sincero, mi son dovuto ricredere.
Sono tanti i giudizi sommari e ancor più i pregiudizi a prescindere, affibbiati ai Borboni. Una dinastia, quella del ramo italiano, ingiustamente identificata e confusa con l’ultimo e un po’ patetico suo sovrano, il povero e sfortunato Franceschiello. Questo riesame critico, almeno per me, è avvenuto dopo aver letto un libro molto documentato e interessante, Le Utopie del Sud di Mario Schettino. Un architetto napoletano, specializzato in sviluppo sostenibile dei sistemi urbani, che da diversi anni si dedica alla rilettura critica del Mezzogiorno, partendo dall’analisi urbanistica e sociologica delle città meridionali. Ebbene, pagina dopo pagina, emerge una storia del Regno di Napoli molto più aderente alla verità che alla contraffazione ideologica. Al di là di quello che veniva narrato nei libri di storia, è emerso che il Regno delle Due Sicilie, governato dai Borboni, fu, per gran parte del Sud, un periodo di grande interesse economico e industriale. Nonostante alcune sfide, i Borboni adottarono provvedimenti innovativi per sostenere l’industria, l’agricoltura, il commercio e l’artigianato.
Dopo le pagine un po’ tristi della dominazione angioina e aragonese, il Mezzogiorno stava cambiando pelle. Incominciava a considerarsi non solo un’espressione geografica, ma, come tutte le altre monarchie assolute o costituzionali, un solo popolo e, soprattutto, un solo Stato. Infatti, durante il Settecento e fino a metà Ottocento, prima della sua annessione al Regno d’Italia, Il Sud, con i Borboni, conobbe una fase di progresso culturale, economico e politico. Il primo re della dinastia, Carlo di Borbone promosse una politica di riforme amministrative, militari, fiscali e giudiziarie che miravano a rendere il regno più autonomo e moderno. Sotto il suo governo, il Mezzogiorno vide la nascita di importanti istituzioni culturali, come l’Accademia delle Scienze, la Biblioteca Nazionale, il Museo Archeologico e il Teatro San Carlo. Inoltre, Carlo di Borbone favorì lo sviluppo delle arti, dell’architettura e dell’urbanistica, trasformando Napoli in una delle più belle capitali europee del Settecento.
Il Mezzogiorno borbonico fu caratterizzato da una notevole produzione agricola, industriale e commerciale, che lo rese uno dei territori più ricchi e popolosi d’Europa. Tra i settori più fiorenti, si possono citare la siderurgia, la cantieristica navale, la produzione di seta, di porcellana, di tabacco e di zolfo. Fu anche all’avanguardia nel campo delle scienze e delle tecnologie, con la realizzazione di grandi opere pubbliche come strade, ponti, acquedotti, ferrovie, telegrafi.
Ho fatto un salto nel passato per rendere omaggio ad una verità storica. Una verità ampiamente interiorizzata nel comune sentire dei meridionali. E cioè il sentirsi, pur con tutti gli ostacoli di allora, una comunità civile e poi un embrione di Stato, sin da quando regnava Federico II di Svevia. Fatta eccezione per gli Angioini e gli Aragonesi, dai Borboni in su ci fu questo tentativo di creare anche al Sud uno Stato unitario, con un suo territorio, una sua lingua, una sua moneta, un suo ordinamento giuridico e una sua sovranità internazionalmente riconosciuta. I Borboni ci provarono così come il Risorgimento spianò la strada all’Italia unita. E a conclusione di un lungo e travagliato periodo storico, fu la Repubblica a riconoscere solennemente, nella sua costituzione e con le sue prime leggi, che il Sud andava sostenuto in tutti i modi. Che il Mezzogiorno faceva parte, a pieno titolo, della storia e del comune destino del popolo italiano. Questo percorso lineare, anche se un po’ accidentato, è andato avanti fino a pochi anni fa. Fino ai primi anni Novanta quando crollò la Prima Repubblica.
Poi, con la scomparsa dei partiti popolari, con la globalizzazione, le pulsioni secessioniste della Lega Nord e la pandemia, il Mezzogiorno ha incominciato a perdere colpi. Si è fatta sempre più evidente una situazione di arretratezza economica e sociale. Uno stato di crisi caratterizzato da bassi livelli di crescita, occupazione, reddito, istruzione, salute e coesione sociale, e da alti livelli di povertà, disoccupazione, emigrazione, disuguaglianza e criminalità. Il divario tra il Nord e il Sud si è così ampliato, compromettendo la coesione e l’unità nazionale. E infine, il populismo inconcludente e parolaio ha fatto il resto. Ora ci troviamo con un Governo, orgogliosamente patriottico, che rischia di farci ritornare indietro nel tempo, di spaccare in due l’Italia e farci rimpiangere addirittura… i Borboni. Ma, fatte queste considerazioni, cosa pensano davvero i meridionali su questi primi provvedimenti-bandiera del primo governo repubblicano di destra-centro?
Mentre scrivo è stato reso noto un sondaggio dell’Istituto Demos proprio sull’autonomia differenziata. E cosa ne vien fuori? Che il Sud sta con De Luca nella guerra all’autonomia leghista. Secondo questo sondaggio, in soli due mesi, il gradimento degli italiani per la riforma voluta da Calderoli è crollato dal 50 al 44%. Il consenso rimane alto solo nel Nord-Est, nemmeno in tutto il Nord. Al Sud solo il 30% degli interpellati si dice favorevole. Ecco perché, se insistono con questo pasticcio, Vincenzo De Luca avrà di fronte a sé non un’autostrada ma una prateria. Altro che Masaniello. Sarebbe un novello Garibaldi. Questa volta non più eroe dei due mondi, ma difensore della Terronia, mentre combatte fino alla morte per i suoi nobili ideali.
Ecco perché se non si cambia paradigma nella politica meridionalista, il “distacco” fra Nord e Sud potrebbe tradursi in una vera e propria “frattura”. Un’altra ricerca della Treccani fotografa un meridione tutt’altro che soddisfatto del sovranismo e degli slogan sbandierati come panacea per tutti i nostri mali. Secondo questa rilevazione, il Mezzogiorno è l’area del Paese con il più basso livello di fiducia nelle istituzioni, nella politica e nella società. Il 54,6% dei meridionali si dichiara poco o per nulla soddisfatto della propria vita, contro il 38,9% dei settentrionali e il 42,4% dei centrali. Il Sud, poi, risulta essere l’area del Paese con il più alto tasso di emigrazione, soprattutto dei giovani più qualificati e motivati, che cercano altrove opportunità di lavoro e di crescita personale e professionale.
È del tutto evidente che questo fenomeno, a lungo andare, potrebbe determinare una perdita di capitale umano e sociale, non solo per il Sud ma per tutto il Paese. Questo Governo, nato con una vocazione unitaria, per assecondare un leghismo sempre più al crepuscolo, sta smarrendo quella visione inclusiva e solidale in cui la stragrande maggioranza dei suoi elettori si è riconosciuta. Con uno scenario internazionale sempre più complicato e con l’Europa che non si sente più sicura nemmeno sotto l’ombrello atlantico, il nostro Paese dovrà tenere la barra dritta. Per non indebolirsi e non farsi travolgere da quelle tensioni, mai del tutto risolte, tra chi vorrebbe vivere in un’ Italia sempre più ricca e chi, invece, è costretto a barcamenarsi in un’altra Italia, sempre più povera.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Sono tanti i giudizi sommari e ancor più i pregiudizi a prescindere, affibbiati ai Borboni. Una dinastia, quella del ramo italiano, ingiustamente identificata e confusa con l’ultimo e un po’ patetico suo sovrano, il povero e sfortunato Franceschiello. Questo riesame critico, almeno per me, è avvenuto dopo aver letto un libro molto documentato e interessante, Le Utopie del Sud di Mario Schettino. Un architetto napoletano, specializzato in sviluppo sostenibile dei sistemi urbani, che da diversi anni si dedica alla rilettura critica del Mezzogiorno, partendo dall’analisi urbanistica e sociologica delle città meridionali. Ebbene, pagina dopo pagina, emerge una storia del Regno di Napoli molto più aderente alla verità che alla contraffazione ideologica. Al di là di quello che veniva narrato nei libri di storia, è emerso che il Regno delle Due Sicilie, governato dai Borboni, fu, per gran parte del Sud, un periodo di grande interesse economico e industriale. Nonostante alcune sfide, i Borboni adottarono provvedimenti innovativi per sostenere l’industria, l’agricoltura, il commercio e l’artigianato.
Dopo le pagine un po’ tristi della dominazione angioina e aragonese, il Mezzogiorno stava cambiando pelle. Incominciava a considerarsi non solo un’espressione geografica, ma, come tutte le altre monarchie assolute o costituzionali, un solo popolo e, soprattutto, un solo Stato. Infatti, durante il Settecento e fino a metà Ottocento, prima della sua annessione al Regno d’Italia, Il Sud, con i Borboni, conobbe una fase di progresso culturale, economico e politico. Il primo re della dinastia, Carlo di Borbone promosse una politica di riforme amministrative, militari, fiscali e giudiziarie che miravano a rendere il regno più autonomo e moderno. Sotto il suo governo, il Mezzogiorno vide la nascita di importanti istituzioni culturali, come l’Accademia delle Scienze, la Biblioteca Nazionale, il Museo Archeologico e il Teatro San Carlo. Inoltre, Carlo di Borbone favorì lo sviluppo delle arti, dell’architettura e dell’urbanistica, trasformando Napoli in una delle più belle capitali europee del Settecento.
Il Mezzogiorno borbonico fu caratterizzato da una notevole produzione agricola, industriale e commerciale, che lo rese uno dei territori più ricchi e popolosi d’Europa. Tra i settori più fiorenti, si possono citare la siderurgia, la cantieristica navale, la produzione di seta, di porcellana, di tabacco e di zolfo. Fu anche all’avanguardia nel campo delle scienze e delle tecnologie, con la realizzazione di grandi opere pubbliche come strade, ponti, acquedotti, ferrovie, telegrafi.
Ho fatto un salto nel passato per rendere omaggio ad una verità storica. Una verità ampiamente interiorizzata nel comune sentire dei meridionali. E cioè il sentirsi, pur con tutti gli ostacoli di allora, una comunità civile e poi un embrione di Stato, sin da quando regnava Federico II di Svevia. Fatta eccezione per gli Angioini e gli Aragonesi, dai Borboni in su ci fu questo tentativo di creare anche al Sud uno Stato unitario, con un suo territorio, una sua lingua, una sua moneta, un suo ordinamento giuridico e una sua sovranità internazionalmente riconosciuta. I Borboni ci provarono così come il Risorgimento spianò la strada all’Italia unita. E a conclusione di un lungo e travagliato periodo storico, fu la Repubblica a riconoscere solennemente, nella sua costituzione e con le sue prime leggi, che il Sud andava sostenuto in tutti i modi. Che il Mezzogiorno faceva parte, a pieno titolo, della storia e del comune destino del popolo italiano. Questo percorso lineare, anche se un po’ accidentato, è andato avanti fino a pochi anni fa. Fino ai primi anni Novanta quando crollò la Prima Repubblica.
Poi, con la scomparsa dei partiti popolari, con la globalizzazione, le pulsioni secessioniste della Lega Nord e la pandemia, il Mezzogiorno ha incominciato a perdere colpi. Si è fatta sempre più evidente una situazione di arretratezza economica e sociale. Uno stato di crisi caratterizzato da bassi livelli di crescita, occupazione, reddito, istruzione, salute e coesione sociale, e da alti livelli di povertà, disoccupazione, emigrazione, disuguaglianza e criminalità. Il divario tra il Nord e il Sud si è così ampliato, compromettendo la coesione e l’unità nazionale. E infine, il populismo inconcludente e parolaio ha fatto il resto. Ora ci troviamo con un Governo, orgogliosamente patriottico, che rischia di farci ritornare indietro nel tempo, di spaccare in due l’Italia e farci rimpiangere addirittura… i Borboni. Ma, fatte queste considerazioni, cosa pensano davvero i meridionali su questi primi provvedimenti-bandiera del primo governo repubblicano di destra-centro?
Mentre scrivo è stato reso noto un sondaggio dell’Istituto Demos proprio sull’autonomia differenziata. E cosa ne vien fuori? Che il Sud sta con De Luca nella guerra all’autonomia leghista. Secondo questo sondaggio, in soli due mesi, il gradimento degli italiani per la riforma voluta da Calderoli è crollato dal 50 al 44%. Il consenso rimane alto solo nel Nord-Est, nemmeno in tutto il Nord. Al Sud solo il 30% degli interpellati si dice favorevole. Ecco perché, se insistono con questo pasticcio, Vincenzo De Luca avrà di fronte a sé non un’autostrada ma una prateria. Altro che Masaniello. Sarebbe un novello Garibaldi. Questa volta non più eroe dei due mondi, ma difensore della Terronia, mentre combatte fino alla morte per i suoi nobili ideali.
Ecco perché se non si cambia paradigma nella politica meridionalista, il “distacco” fra Nord e Sud potrebbe tradursi in una vera e propria “frattura”. Un’altra ricerca della Treccani fotografa un meridione tutt’altro che soddisfatto del sovranismo e degli slogan sbandierati come panacea per tutti i nostri mali. Secondo questa rilevazione, il Mezzogiorno è l’area del Paese con il più basso livello di fiducia nelle istituzioni, nella politica e nella società. Il 54,6% dei meridionali si dichiara poco o per nulla soddisfatto della propria vita, contro il 38,9% dei settentrionali e il 42,4% dei centrali. Il Sud, poi, risulta essere l’area del Paese con il più alto tasso di emigrazione, soprattutto dei giovani più qualificati e motivati, che cercano altrove opportunità di lavoro e di crescita personale e professionale.
È del tutto evidente che questo fenomeno, a lungo andare, potrebbe determinare una perdita di capitale umano e sociale, non solo per il Sud ma per tutto il Paese. Questo Governo, nato con una vocazione unitaria, per assecondare un leghismo sempre più al crepuscolo, sta smarrendo quella visione inclusiva e solidale in cui la stragrande maggioranza dei suoi elettori si è riconosciuta. Con uno scenario internazionale sempre più complicato e con l’Europa che non si sente più sicura nemmeno sotto l’ombrello atlantico, il nostro Paese dovrà tenere la barra dritta. Per non indebolirsi e non farsi travolgere da quelle tensioni, mai del tutto risolte, tra chi vorrebbe vivere in un’ Italia sempre più ricca e chi, invece, è costretto a barcamenarsi in un’altra Italia, sempre più povera.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
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