Premierato nuova versione. Cambiamenti in vista in quella che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha battezzato “madre di tutte le riforme”. Due i punti sotto esame: premier di riserva e bonus in seggi a favore della coalizione vincente.
Partiamo dal primo. La nuova bozza rafforza gli argini contro i ribaltoni, cioè il rischio - temutissimo dalla destra - che in seguito ad una crisi di governo possa prender forma una maggioranza diversa da quella che ha vinto le elezioni. Adesso se il presidente del Consiglio eletto direttamente dai cittadini viene sfiduciato dalla propria maggioranza, fosse anche su un singolo provvedimento, si torna al voto.
Basterà che il premier ne faccia richiesta al Capo dello Stato – cui viene quindi impedita qualsiasi autonoma valutazione sulla vita della legislatura – e lo scioglimento delle Camere diverrà cosa fatta. Non si prevede più - come era scritto nella versione iniziale – che al premier eletto subentri un secondo premier, di riserva, proveniente dai ranghi della stessa maggioranza che ha vinto le elezioni con l'impegno a proseguirne il programma. Il riservista ora trova spazio soltanto in caso di morte o di impedimento del capo del governo scelto dai cittadini.
Viene quindi eliminato il meccanismo per cui al presidente del Consiglio eletto dal popolo era precluso l'immediato scioglimento delle Camere, poiché in caso di crisi di governo doveva necessariamente subentrare un secondo premier. Quest'ultimo dotato invece del potere di determinare la chiusura anzitempo della legislatura.
Strada facendo ci si è resi conto del paradosso - più volte messo in luce da diversi giuristi - per cui il secondo premier della legislatura avrebbe avuto la facoltà di portare al voto i cittadini senza neanche esser stato scelto da loro. Disponendo addirittura di maggiori poteri rispetto al premier eletto, obbligato invece a passare la mano ad un successore. Un clamoroso controsenso per una riforma il cui dichiarato obiettivo è di fare del presidente del Consiglio eletto dal popolo il centro del sistema.
Il premier scelto dai cittadini disporrà inoltre della facoltà di nomina e di revoca dei ministri: classico potere in quasi tutti i sistemi parlamentari che stupisce non fosse stato preso in considerazione nella bozza iniziale. Nuovi poteri, dunque, ma anche un limite di mandati: saranno due che possono diventare tre, qualora la legislatura termini anticipatamente.
E veniamo al secondo punto in questione. Nella nuova bozza sparisce qualsiasi riferimento alla percentuale di seggi riservata al vincitore delle elezioni. Via dunque l'originaria indicazione, del bonus del 55 per cento di seggi, che dunque non comparirà nel testo costituzionale. Una scelta di buon senso in linea a quanto avviene in altri Paesi europei dove, per evitare di ingessare il sistema elettorale inserendolo nella Costituzione, si preferisce disciplinarlo con legge ordinaria.
Sarà dunque questa a fissare sia l'esatta percentuale di seggi, da assegnarsi al vincitore, sia la soglia percentuale minima di voti da conseguirsi per accedere al premio. Una soglia che secondo la Corte costituzionale non va stabilita ad un livello irragionevolmente troppo basso, perché potrebbe derivarne un'eccessiva distorsione alla rappresentatività del Parlamento. Per i giudici, il premio non dovrebbe eccedere il 15 per cento e in aderenza a questo vincolo per avere diritto al bonus in seggi sarà necessario che la lista arrivata in testa alle elezioni consegua almeno il 40 per cento dei voti.
Emerge poi un'altra considerazione. Alcuni costituzionalisti sostengono che un premier scelto direttamente dai cittadini richiederebbe di essere eletto da almeno il 50 per cento dei votanti. Percentuale quasi impossibile da raggiungere in una votazione a turno unico e che invece - come accade nelle presidenziali francesi - viene facilmente ottenuta prevedendo un ballottaggio tra i due candidati giunti in testa in prima battuta. Si tratta, come ben si comprende, di un tema di decisiva importanza, essendo in discussione l'effettiva rappresentatività del premier eletto dal popolo. Bene sarebbe nel corso dell'iter parlamentare tenere in debito conto questo elemento.
Rimane infine il fatto che salvo sorprese – mai da escludere nella scombinata politica nostrana – ben difficilmente il Parlamento riuscirà a votare la riforma con maggioranza dei due terzi. La sua definitiva approvazione sarà quindi demandata ad un referendum confermativo, nel quale saranno i cittadini a decidere.
E allora l'opposizione farebbe un calcolo errato se puntasse tutto su un eventuale voto contrario degli elettori. Dalle urne potrebbe infatti uscire un risultato favorevole alla riforma perché il messaggio con cui la Meloni sta iniziando a presentare la contesa, chiedendo agli italiani <<volete decidere voi o i partiti?>>, è ben più accattivante di quanto pensi il centro-sinistra.
Meglio quindi delineare sin da subito un organico progetto di riforma alternativo a quello della destra. Ad esempio, per garantire adeguata stabilità al governo, puntare in maniera esplicita su un modello che si richiami a quello tedesco con la sfiducia costruttiva. Un sistema che in settantacinque anni ha visto appena nove primi ministri può davvero essere la credibile alternativa da spendere dinanzi ai cittadini.
Lasciare che la sola proposta sul tappeto sia quella del premierato concepito dalla destra è alquanto azzardato. Più sensato presentare ai cittadini un impianto, pienamente compatibile con l'attuale modello parlamentare, senza imboccare la pericolosa strada dell' "uomo solo al comando".
Partiamo dal primo. La nuova bozza rafforza gli argini contro i ribaltoni, cioè il rischio - temutissimo dalla destra - che in seguito ad una crisi di governo possa prender forma una maggioranza diversa da quella che ha vinto le elezioni. Adesso se il presidente del Consiglio eletto direttamente dai cittadini viene sfiduciato dalla propria maggioranza, fosse anche su un singolo provvedimento, si torna al voto.
Basterà che il premier ne faccia richiesta al Capo dello Stato – cui viene quindi impedita qualsiasi autonoma valutazione sulla vita della legislatura – e lo scioglimento delle Camere diverrà cosa fatta. Non si prevede più - come era scritto nella versione iniziale – che al premier eletto subentri un secondo premier, di riserva, proveniente dai ranghi della stessa maggioranza che ha vinto le elezioni con l'impegno a proseguirne il programma. Il riservista ora trova spazio soltanto in caso di morte o di impedimento del capo del governo scelto dai cittadini.
Viene quindi eliminato il meccanismo per cui al presidente del Consiglio eletto dal popolo era precluso l'immediato scioglimento delle Camere, poiché in caso di crisi di governo doveva necessariamente subentrare un secondo premier. Quest'ultimo dotato invece del potere di determinare la chiusura anzitempo della legislatura.
Strada facendo ci si è resi conto del paradosso - più volte messo in luce da diversi giuristi - per cui il secondo premier della legislatura avrebbe avuto la facoltà di portare al voto i cittadini senza neanche esser stato scelto da loro. Disponendo addirittura di maggiori poteri rispetto al premier eletto, obbligato invece a passare la mano ad un successore. Un clamoroso controsenso per una riforma il cui dichiarato obiettivo è di fare del presidente del Consiglio eletto dal popolo il centro del sistema.
Il premier scelto dai cittadini disporrà inoltre della facoltà di nomina e di revoca dei ministri: classico potere in quasi tutti i sistemi parlamentari che stupisce non fosse stato preso in considerazione nella bozza iniziale. Nuovi poteri, dunque, ma anche un limite di mandati: saranno due che possono diventare tre, qualora la legislatura termini anticipatamente.
E veniamo al secondo punto in questione. Nella nuova bozza sparisce qualsiasi riferimento alla percentuale di seggi riservata al vincitore delle elezioni. Via dunque l'originaria indicazione, del bonus del 55 per cento di seggi, che dunque non comparirà nel testo costituzionale. Una scelta di buon senso in linea a quanto avviene in altri Paesi europei dove, per evitare di ingessare il sistema elettorale inserendolo nella Costituzione, si preferisce disciplinarlo con legge ordinaria.
Sarà dunque questa a fissare sia l'esatta percentuale di seggi, da assegnarsi al vincitore, sia la soglia percentuale minima di voti da conseguirsi per accedere al premio. Una soglia che secondo la Corte costituzionale non va stabilita ad un livello irragionevolmente troppo basso, perché potrebbe derivarne un'eccessiva distorsione alla rappresentatività del Parlamento. Per i giudici, il premio non dovrebbe eccedere il 15 per cento e in aderenza a questo vincolo per avere diritto al bonus in seggi sarà necessario che la lista arrivata in testa alle elezioni consegua almeno il 40 per cento dei voti.
Emerge poi un'altra considerazione. Alcuni costituzionalisti sostengono che un premier scelto direttamente dai cittadini richiederebbe di essere eletto da almeno il 50 per cento dei votanti. Percentuale quasi impossibile da raggiungere in una votazione a turno unico e che invece - come accade nelle presidenziali francesi - viene facilmente ottenuta prevedendo un ballottaggio tra i due candidati giunti in testa in prima battuta. Si tratta, come ben si comprende, di un tema di decisiva importanza, essendo in discussione l'effettiva rappresentatività del premier eletto dal popolo. Bene sarebbe nel corso dell'iter parlamentare tenere in debito conto questo elemento.
Rimane infine il fatto che salvo sorprese – mai da escludere nella scombinata politica nostrana – ben difficilmente il Parlamento riuscirà a votare la riforma con maggioranza dei due terzi. La sua definitiva approvazione sarà quindi demandata ad un referendum confermativo, nel quale saranno i cittadini a decidere.
E allora l'opposizione farebbe un calcolo errato se puntasse tutto su un eventuale voto contrario degli elettori. Dalle urne potrebbe infatti uscire un risultato favorevole alla riforma perché il messaggio con cui la Meloni sta iniziando a presentare la contesa, chiedendo agli italiani <<volete decidere voi o i partiti?>>, è ben più accattivante di quanto pensi il centro-sinistra.
Meglio quindi delineare sin da subito un organico progetto di riforma alternativo a quello della destra. Ad esempio, per garantire adeguata stabilità al governo, puntare in maniera esplicita su un modello che si richiami a quello tedesco con la sfiducia costruttiva. Un sistema che in settantacinque anni ha visto appena nove primi ministri può davvero essere la credibile alternativa da spendere dinanzi ai cittadini.
Lasciare che la sola proposta sul tappeto sia quella del premierato concepito dalla destra è alquanto azzardato. Più sensato presentare ai cittadini un impianto, pienamente compatibile con l'attuale modello parlamentare, senza imboccare la pericolosa strada dell' "uomo solo al comando".
Analisi cristallina dello stato attuale del progetto governativo di modifica costituzionale, con la previsione dei possibili effetti negativi del nuovo ordinamento in itinere e la proposta alternativa di una soluzione in linea con un modello costituzionale, la sfiducia costruttiva tedesca, che ha dato ottima prova in fatto di stabilità e di governabilità.
Inoltre, la proposta governativa di modifica costituzionale, così come si va delineando, turba l’equilibrio garantito finora dalle prerogative del Presidente della Repubblica, e pone un serio interrogativo sulla capacità della nuova figura di premier di garantire un equivalente equilibrio, nel rispetto dell’impianto democratico pensato e voluto dai padri costituenti.