L’eredità di Franco Marini



Giorgio Merlo    10 Febbraio 2024       0

Tre anni fa – precisamente il 9 febbraio – ci lasciava Franco Marini, storico leader della Cisl ed esponente di punta della sinistra sociale di ispirazione cristiana. Un ‘magistero’, quello di Franco, politico, sociale, culturale ed istituzionale che ha attraversato il nostro paese dall’inizio degli anni ‘50 e sino alla sua scomparsa. Un’esperienza che è stata caratterizzata da alcuni elementi di fondo che non sono mai venuti meno. Sia nella lunga e ricca militanza sindacale e sia sul versante politico ed istituzionale. Una coerenza, frutto e conseguenza di una solida e definita cultura politica maturata ed acquisita sin dagli anni giovanili, che ha fatto di Marini un interlocutore della intera politica italiana.

Il primo elemento è indubbiamente rappresentato dalla fedeltà creativa alla cultura, alla tradizione e al pensiero del cattolicesimo sociale. Principi e valori che sono stati letti ed interpretati da Marini nella concreta lotta sindacale prima e politica poi. Partendo sempre dalle condizioni reali delle persone, dalle loro sofferenze ed aspettative. Una cultura ed un pensiero, quelli del cattolicesimo sociale, a cui Marini non ha mai rinunciato perchè, e giustamente, conserva tutt’oggi una straordinaria attualità e modernità.

In secondo luogo la difesa e la promozione dei ceti popolari. Marini, come del resto il “suo” maestro politico, Carlo Donat-Cattin, ha sempre individuato nella difesa degli interessi, delle esigenze e delle istanze dei ceti popolari la sua vera “mission” politica, culturale ed umana. Non è mai esistita alternativa, secondo il leader della sinistra sociale cattolica, rispetto alla difesa dei ceti popolari per chi è impegnato concretamente nella vita pubblica in virtù della sua ispirazione cristiana e della adesione alla dottrina sociale della Chiesa. Una posizione politica che nella Dc come nel Ppi, nella Margherita come nel PD, l’ha sempre visto in prima linea con coraggio e coerenza. Fattori, questi, che lo portavano ad essere intransigente sui principi e sui valori, ma duttile nella capacità di costruire soluzioni che puntavano al raggiungimento, nelle diverse fasi politiche, di soluzioni che potevano soddisfare gli interessi generali. Cioè quello che comunemente viene definito, per noi cattolici popolari, il “bene comune”.

In ultimo, ma non per ordine di importanza, la funzione del partito come “strumento democratico capace di trasformare i ceti popolari da classe subalterna a ceto dirigente del nostro paese” e, al contempo, marcare una presenza politica e culturale definita all’interno stesso dei partiti. Nella DC come nei partiti cosiddetti “plurali” della seconda repubblica, Marini non ha mai rinunciato ad esaltare questi due caposaldi costitutivi della sua lunga e proficua esperienza politica. Per questi motivi Marini era un interlocutore politico vero. Perché tutti sapevano che rappresentava un pezzo della società italiana e di quel pezzo di società si faceva carico. Nel sindacato come nella politica, nel partito come nelle istituzioni.

Certo, non esiste una eredità personale di Franco Marini perché, di norma, i leader e gli statisti sono unici ed irripetibili. Come diceva Donat-Cattin, “il carisma in politica o c’è o non c’è. È inutile darselo per decreto”. Ma c’è una eredità politica, sociale, culturale e anche umana che Franco ci trasmette. Una eredità che obbliga ed invita chi continua a riconoscersi nella tradizione e nel pensiero del cattolicesimo sociale a proseguire quel cammino nella società contemporanea. Ad inverare, cioè, quella “sinistra sociale” di ispirazione cristiana nella concreta dialettica politica italiana. Ben sapendo, come diceva sempre Franco, che il “pensiero e l’azione non sono mai slegati”. E cioè, si è credibili ed interlocutori nella politica come nel sindacato se si è portatori di una precisa cultura politica e sempre disponibili al dialogo e al confronto con gli altri – amici ed avversari – per portare a casa risultati per i ceti popolari e le classi lavoratrici. Senza limitarsi a contemplare l’esistente o a descriverlo in modo accademico ed astratto.


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