Per favorire la ripresa della natalità serve una cura da elefante, ma soprattutto una rivoluzione culturale in grado di mettere al centro delle politiche il ruolo delle famiglie. Il Family Report annuale 2023 redatto dal CISF (Centro internazionale studi famiglia) guidato dal sociologo Francesco Belletti, disponibile in libreria dal 10 novembre, analizza le criticità delle politiche italiane per il sostegno delle famiglie e della natalità con l’ausilio di un gruppo di esperti della materia. Una parte del Rapporto viene dedicata a una lettura comparata con le politiche adottate in altri Paesi e di alcune buone pratiche che potrebbero essere adottate per invertire la sequenza dei record storici negativi delle nuove nascite in Italia (393mila nel 2022 rispetto a 1,064 milioni del 1964).
Il declino demografico italiano, coincidente con la crescita dei livelli di longevità della popolazione residente, tra i più elevati a livello mondiale, sta mettendo in discussione non solo la capacità generativa della nostra comunità, ma l’insieme degli equilibri che possono assicurare la crescita economica e la sostenibilità degli equilibri sociali. I riflessi negativi sono già operativi: la riduzione della popolazione in età di lavoro; la crescita delle persone a carico che risultano superiori a quelle che lavorano; la contrazione del numero medio delle persone appartenenti ai nuclei familiari. Un’evoluzione che compromette la solidità delle reti di solidarietà familiari che sono state, e in parte continuano a essere, una caratteristica peculiare della nostra comunità nazionale.
La decrescita della natalità al di sotto del tasso di mantenimento della popolazione (che viene stimato in 2,1 figli per ogni donna fertile) è un tratto comune delle società sviluppate. Coincide con la crescita dei redditi e dei consumi nell’epoca dello sviluppo industriale e alla parallela affermazione dei diritti individuali e sociali che hanno ridimensionato il ruolo dei tradizionali legami familiari e la propensione a fare figli. Ma l’impatto sulle singole comunità nazionali risulta differenziato in relazione alla qualità delle politiche di sostegno alle famiglie per la cura e per l’educazione dei figli e per armonizzare i carichi di lavoro con quelli familiari.
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso i tassi di fecondità tendono a stabilizzarsi, e in diversi ambiti nazionali persino ad aumentare in relazione alla crescita del tasso di occupazione delle donne. Nei Paesi della vecchia Europa queste politiche sono state orientate da due filoni culturali per certi aspetti contrapposti. Il primo, che si è affermato nei Paesi del nord Europa, privilegia gli interventi rivolti a rafforzare l’autonomia degli individui e la loro libertà nel definire gli ambiti e i ruoli nelle relazioni familiari. Il secondo, che trova la massima espressione nel quoziente fiscale familiare francese, mette al centro la valutazione dei fabbisogni dei nuclei familiari nel loro insieme. Modelli che riscontrano diverse convergenze nelle modalità di valorizzare le responsabilità genitoriali, nei sostegni monetari e fiscali per i figli minorenni, nelle normative rivolte a favorire la conciliazione dei carichi familiari e quelli lavorativi con l’accesso ai servizi per l’infanzia e per le persone.
Classificare le politiche italiane per la natalità e per le famiglie in questi ambiti risulta molto difficile per l’assenza sostanziale di prestazioni di livello analogo. Non solo per l’importo della spesa pubblica dedicata in rapporto al PIL, che nel corso degli anni 2000 risulta dimezzata rispetto alla media europea (1,3% rispetto al 2,5%), ma anche per la scarsa qualità delle prestazioni di sostegno al reddito (gli assegni familiari e le detrazioni fiscali di importo esiguo collegate alle caratteristiche professionali dei capi famiglia, i baby bonus di durata limitata) e la ridotta disponibilità di servizi per l’infanzia e per la cura delle persone. Le politiche per la famiglia, insieme alla sanità, sono state sacrificate per assecondare la crescita della spesa pensionistica e finanziare gli oneri relativi agli interessi sul debito pubblico.
A subire le conseguenze è la ridotta dimensione dei servizi sanitari, di quelli socio assistenziali e per l’istruzione (circa 1,5 milioni di occupati in meno rispetto la media UE a parità di popolazione) e la qualità dei posti di lavoro offerti in particolare per i giovani e per le donne. Nella seconda decade degli anni Duemila si è registrata un’impressionante crescita dei redditi da lavoro poveri e delle persone in condizioni di povertà assoluta. Tra le quali risultano più esposte (circa tre volte superiore alla media) le famiglie con due o più minori a carico.
È la riprova della stretta relazione che intercorre tra le politiche di sostegno alle famiglie, la crescita economica e le ricadute positive in termini di vantaggi collettivi. Su questo punto gli autori del Rapporto dedicano un ampio spazio di approfondimento ai benefici generati dal ruolo delle famiglie, dalla qualità delle relazioni interne ai nuclei, per il grado di soddisfazione delle persone e per il contributo alla crescita degli investimenti di natura educativa, economica e sociale delle nuove generazioni con una visione di lungo periodo. Tale importanza viene confermata da un’indagine campione Eumetra (CISF) su oltre 2.000 famiglie con figli minori fino a 11 anni che conferma il vasto consenso di opinione per il ruolo svolto dalle famiglie, per il ruolo delle forme di aiuto parentali per la crescita dei figli, per rimediare le lacune del welfare pubblico e la carenza di rapporti di lavoro stabili e adeguatamente remunerati per i giovani e per le donne. La conferma del paradosso italiano, dell’importanza attribuita alla famiglia, soprattutto quella di origine, come supporto fondamentale per mantenere stili di vita non proporzionati alla crescita dei redditi delle giovani generazioni. Ma che comportano in parallelo la rinuncia a formare nuove famiglie e a generare figli.
È possibile invertire la rotta?
Lecito dubitare. Il potenziale della ripresa della natalità trova un limite nella riduzione del numero delle donne fertili e nell’oggettiva impossibilità di aumentare in modo significativo il tasso di fecondità nel breve e nel medio periodo. L’eventuale contributo per la crescita della popolazione in età di lavoro risulterebbe comunque diluito sul lungo periodo. Nel contempo è prevedibile un aumento della spesa familiare per far fronte alla crescita del numero delle persone anziane non autosufficienti.
Per gli autori del Rapporto una prima risposta possibile può provenire da un approccio olistico al problema che metta la famiglia al centro delle politiche e delle scelte fondamentali delle Istituzioni e delle imprese. La seconda condizione dipende dall’intensità degli interventi pubblici a sostegno delle famiglie e dalla durata temporale degli stessi in modo da offrire certezze alle scelte delle famiglie.
Nei tempi recenti è stato introdotto l’Assegno unico universale (AUU) per il sostegno dei figli a carico che ha contribuito ad aumentare dello 0,6% la spesa pubblica per le famiglie, a ridurre il numero dei nuclei a rischio di impoverimento (3,4% secondo l’Istat) con un incremento degli importi degli assegni disposto con la Legge di bilancio 2023 e con la Riforma del reddito di cittadinanza. Il Rapporto suggerisce di potenziare queste nuove misure con una riforma fiscale che riduca le aliquote di prelievo, ovvero aumenti le detrazioni fiscali sulla base dei figli a carico. Propone di rafforzare le politiche relative ai congedi parentali, anche per gli uomini, e di incrementare la disponibilità di asili nido con il pieno utilizzo delle risorse del PNRR. Di modificare il calcolo dell’ISEE per favorire l’accesso agevolato delle famiglie con figli ai servizi e alle prestazioni sociali.
Provvedimenti tecnicamente ed economicamente possibili, ma che richiedono un cambio di paradigma nel leggere le criticità delle famiglie che hanno riscontri economici ma che sono originate dal cambiamento degli approcci valoriali. Con tutta probabilità è il salto di qualità più difficile da realizzare.
(Tratto da www.ilsussidiario.net)
Il declino demografico italiano, coincidente con la crescita dei livelli di longevità della popolazione residente, tra i più elevati a livello mondiale, sta mettendo in discussione non solo la capacità generativa della nostra comunità, ma l’insieme degli equilibri che possono assicurare la crescita economica e la sostenibilità degli equilibri sociali. I riflessi negativi sono già operativi: la riduzione della popolazione in età di lavoro; la crescita delle persone a carico che risultano superiori a quelle che lavorano; la contrazione del numero medio delle persone appartenenti ai nuclei familiari. Un’evoluzione che compromette la solidità delle reti di solidarietà familiari che sono state, e in parte continuano a essere, una caratteristica peculiare della nostra comunità nazionale.
La decrescita della natalità al di sotto del tasso di mantenimento della popolazione (che viene stimato in 2,1 figli per ogni donna fertile) è un tratto comune delle società sviluppate. Coincide con la crescita dei redditi e dei consumi nell’epoca dello sviluppo industriale e alla parallela affermazione dei diritti individuali e sociali che hanno ridimensionato il ruolo dei tradizionali legami familiari e la propensione a fare figli. Ma l’impatto sulle singole comunità nazionali risulta differenziato in relazione alla qualità delle politiche di sostegno alle famiglie per la cura e per l’educazione dei figli e per armonizzare i carichi di lavoro con quelli familiari.
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso i tassi di fecondità tendono a stabilizzarsi, e in diversi ambiti nazionali persino ad aumentare in relazione alla crescita del tasso di occupazione delle donne. Nei Paesi della vecchia Europa queste politiche sono state orientate da due filoni culturali per certi aspetti contrapposti. Il primo, che si è affermato nei Paesi del nord Europa, privilegia gli interventi rivolti a rafforzare l’autonomia degli individui e la loro libertà nel definire gli ambiti e i ruoli nelle relazioni familiari. Il secondo, che trova la massima espressione nel quoziente fiscale familiare francese, mette al centro la valutazione dei fabbisogni dei nuclei familiari nel loro insieme. Modelli che riscontrano diverse convergenze nelle modalità di valorizzare le responsabilità genitoriali, nei sostegni monetari e fiscali per i figli minorenni, nelle normative rivolte a favorire la conciliazione dei carichi familiari e quelli lavorativi con l’accesso ai servizi per l’infanzia e per le persone.
Classificare le politiche italiane per la natalità e per le famiglie in questi ambiti risulta molto difficile per l’assenza sostanziale di prestazioni di livello analogo. Non solo per l’importo della spesa pubblica dedicata in rapporto al PIL, che nel corso degli anni 2000 risulta dimezzata rispetto alla media europea (1,3% rispetto al 2,5%), ma anche per la scarsa qualità delle prestazioni di sostegno al reddito (gli assegni familiari e le detrazioni fiscali di importo esiguo collegate alle caratteristiche professionali dei capi famiglia, i baby bonus di durata limitata) e la ridotta disponibilità di servizi per l’infanzia e per la cura delle persone. Le politiche per la famiglia, insieme alla sanità, sono state sacrificate per assecondare la crescita della spesa pensionistica e finanziare gli oneri relativi agli interessi sul debito pubblico.
A subire le conseguenze è la ridotta dimensione dei servizi sanitari, di quelli socio assistenziali e per l’istruzione (circa 1,5 milioni di occupati in meno rispetto la media UE a parità di popolazione) e la qualità dei posti di lavoro offerti in particolare per i giovani e per le donne. Nella seconda decade degli anni Duemila si è registrata un’impressionante crescita dei redditi da lavoro poveri e delle persone in condizioni di povertà assoluta. Tra le quali risultano più esposte (circa tre volte superiore alla media) le famiglie con due o più minori a carico.
È la riprova della stretta relazione che intercorre tra le politiche di sostegno alle famiglie, la crescita economica e le ricadute positive in termini di vantaggi collettivi. Su questo punto gli autori del Rapporto dedicano un ampio spazio di approfondimento ai benefici generati dal ruolo delle famiglie, dalla qualità delle relazioni interne ai nuclei, per il grado di soddisfazione delle persone e per il contributo alla crescita degli investimenti di natura educativa, economica e sociale delle nuove generazioni con una visione di lungo periodo. Tale importanza viene confermata da un’indagine campione Eumetra (CISF) su oltre 2.000 famiglie con figli minori fino a 11 anni che conferma il vasto consenso di opinione per il ruolo svolto dalle famiglie, per il ruolo delle forme di aiuto parentali per la crescita dei figli, per rimediare le lacune del welfare pubblico e la carenza di rapporti di lavoro stabili e adeguatamente remunerati per i giovani e per le donne. La conferma del paradosso italiano, dell’importanza attribuita alla famiglia, soprattutto quella di origine, come supporto fondamentale per mantenere stili di vita non proporzionati alla crescita dei redditi delle giovani generazioni. Ma che comportano in parallelo la rinuncia a formare nuove famiglie e a generare figli.
È possibile invertire la rotta?
Lecito dubitare. Il potenziale della ripresa della natalità trova un limite nella riduzione del numero delle donne fertili e nell’oggettiva impossibilità di aumentare in modo significativo il tasso di fecondità nel breve e nel medio periodo. L’eventuale contributo per la crescita della popolazione in età di lavoro risulterebbe comunque diluito sul lungo periodo. Nel contempo è prevedibile un aumento della spesa familiare per far fronte alla crescita del numero delle persone anziane non autosufficienti.
Per gli autori del Rapporto una prima risposta possibile può provenire da un approccio olistico al problema che metta la famiglia al centro delle politiche e delle scelte fondamentali delle Istituzioni e delle imprese. La seconda condizione dipende dall’intensità degli interventi pubblici a sostegno delle famiglie e dalla durata temporale degli stessi in modo da offrire certezze alle scelte delle famiglie.
Nei tempi recenti è stato introdotto l’Assegno unico universale (AUU) per il sostegno dei figli a carico che ha contribuito ad aumentare dello 0,6% la spesa pubblica per le famiglie, a ridurre il numero dei nuclei a rischio di impoverimento (3,4% secondo l’Istat) con un incremento degli importi degli assegni disposto con la Legge di bilancio 2023 e con la Riforma del reddito di cittadinanza. Il Rapporto suggerisce di potenziare queste nuove misure con una riforma fiscale che riduca le aliquote di prelievo, ovvero aumenti le detrazioni fiscali sulla base dei figli a carico. Propone di rafforzare le politiche relative ai congedi parentali, anche per gli uomini, e di incrementare la disponibilità di asili nido con il pieno utilizzo delle risorse del PNRR. Di modificare il calcolo dell’ISEE per favorire l’accesso agevolato delle famiglie con figli ai servizi e alle prestazioni sociali.
Provvedimenti tecnicamente ed economicamente possibili, ma che richiedono un cambio di paradigma nel leggere le criticità delle famiglie che hanno riscontri economici ma che sono originate dal cambiamento degli approcci valoriali. Con tutta probabilità è il salto di qualità più difficile da realizzare.
(Tratto da www.ilsussidiario.net)
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