Di fronte ad un'offesa, anche grave, non è difficile passare dalla ragione al torto se la reazione risulta sproporzionata. E' un po' quello che sta accadendo ad Israele con il bombardamento su Gaza che da venti giorni sta facendo terra bruciata con migliaia di morti palestinesi. Se ne contano ormai 8mila e la cifra è destinata a salire. Non basta avere come obiettivo quello di scovare gli esponenti di Hamas – che certo sono dei criminali – se poi, alla fine, chi ci rimette è soltanto la popolazione della Striscia.
Dispiace dover dire queste cose, in quanto il barbaro e crudele assalto di Hamas del 7 ottobre scorso ha veramente superato ogni limite. La ferocia mostrata su dei bambini inermi è qualcosa che va oltre l'immaginabile. Chiaro che dinanzi ad un tale scempio Israele doveva reagire. Il problema è che oggi questa reazione sta assumendo il carattere di una punizione collettiva del popolo palestinese. Sarà infatti difficile snidare i pochi capi di Hamas rimasti nella Striscia, molti suoi leader sono comodamente ospitati in Qatar, ma per contro vengono inflitte enormi sofferenze alla gente di Gaza.
Nessuna fredda ed assurda equidistanza tra Hamas ed Israele. La prima è soltanto una banda di terroristi dove chi tira veramente le fila è talmente codardo da nascondersi all'estero. Il secondo è un Paese democratico, il solo davvero tale in tutto il Medio Oriente. Però c'è un limite e questo limite è proprio quello di non colpevolizzare e punire oltre misura tutta la popolazione della Striscia.
Certamente va ad onore di Israele aver preventivamente avvisato gli abitanti di Gaza di spostarsi a sud del loro territorio, essendo la fascia nord presa di mira dalle bombe e oggetto dell'invasione via terra. Ma, attenzione, stiamo parlando di un rettangolo lungo quaranta chilometri e al massimo nove di larghezza dove vivono due milioni di persone. Gente costretta ad abbandonare tutto e a cui, dopo il taglio delle forniture imposto dagli israeliani, mancano acqua, viveri ed energia elettrica.
C'è da dubitare che tutto questo possa realmente servire a salvare i 239 ostaggi ancora in mano ad Hamas. Questo dovrebbe essere il solo obiettivo: riportare a casa donne, bambini ed anziani prigionieri dei terroristi. Vite che rischiano di essere messe a repentaglio proprio dai bombardamenti dal cielo.
Ad ogni costo bisogna uscire da questo vicolo cieco. La proposta più sensata è uno scambio tra tutti gli ostaggi israeliani e un certo numero di prigionieri palestinesi incarcerati in Israele. E' necessaria però una tregua. A quel punto se l'operazione salvezza andasse in porto si potrebbe avviare una nuova fase che coinvolga più soggetti a livello internazionale: Stati Uniti, Unione europea e Lega araba. Un'iniziativa la cui prima finalità deve essere quella di alleviare le condizioni di vita della popolazione di Gaza con un flusso consistente ed adeguato di aiuti umanitari e il ripristino della rete idrica ed elettrica.
E qui ci fermiamo. Impossibile, nell'odierno contesto, immaginare le tappe successive di un faticoso ritorno alla normalità, ammesso che nella regione una normalità ci sia mai stata. Più facile – è un paradosso ma neanche tanto - indicare l'unica meta possibile di un Medio Oriente pacificato. Essa coincide con la nascita di uno Stato palestinese indipendente, a pieno titolo membro dell'Onu, che comprenda Gaza, tutta la Cisgiordania e Gerusalemme est. Ovvero i territori che Israele occupa illegalmente da oltre mezzo secolo, dopo aver vinto la guerra dei Sei giorni.
Solo questo può rappresentare il vero punto di svolta per garantire un accettabile livello di convivenza in quella terra tanto martoriata. Un'autentica e duratura sicurezza per Israele parte da lì: non averlo mai voluto capire è la causa profonda dell'immane tragedia di oggi.
Dispiace dover dire queste cose, in quanto il barbaro e crudele assalto di Hamas del 7 ottobre scorso ha veramente superato ogni limite. La ferocia mostrata su dei bambini inermi è qualcosa che va oltre l'immaginabile. Chiaro che dinanzi ad un tale scempio Israele doveva reagire. Il problema è che oggi questa reazione sta assumendo il carattere di una punizione collettiva del popolo palestinese. Sarà infatti difficile snidare i pochi capi di Hamas rimasti nella Striscia, molti suoi leader sono comodamente ospitati in Qatar, ma per contro vengono inflitte enormi sofferenze alla gente di Gaza.
Nessuna fredda ed assurda equidistanza tra Hamas ed Israele. La prima è soltanto una banda di terroristi dove chi tira veramente le fila è talmente codardo da nascondersi all'estero. Il secondo è un Paese democratico, il solo davvero tale in tutto il Medio Oriente. Però c'è un limite e questo limite è proprio quello di non colpevolizzare e punire oltre misura tutta la popolazione della Striscia.
Certamente va ad onore di Israele aver preventivamente avvisato gli abitanti di Gaza di spostarsi a sud del loro territorio, essendo la fascia nord presa di mira dalle bombe e oggetto dell'invasione via terra. Ma, attenzione, stiamo parlando di un rettangolo lungo quaranta chilometri e al massimo nove di larghezza dove vivono due milioni di persone. Gente costretta ad abbandonare tutto e a cui, dopo il taglio delle forniture imposto dagli israeliani, mancano acqua, viveri ed energia elettrica.
C'è da dubitare che tutto questo possa realmente servire a salvare i 239 ostaggi ancora in mano ad Hamas. Questo dovrebbe essere il solo obiettivo: riportare a casa donne, bambini ed anziani prigionieri dei terroristi. Vite che rischiano di essere messe a repentaglio proprio dai bombardamenti dal cielo.
Ad ogni costo bisogna uscire da questo vicolo cieco. La proposta più sensata è uno scambio tra tutti gli ostaggi israeliani e un certo numero di prigionieri palestinesi incarcerati in Israele. E' necessaria però una tregua. A quel punto se l'operazione salvezza andasse in porto si potrebbe avviare una nuova fase che coinvolga più soggetti a livello internazionale: Stati Uniti, Unione europea e Lega araba. Un'iniziativa la cui prima finalità deve essere quella di alleviare le condizioni di vita della popolazione di Gaza con un flusso consistente ed adeguato di aiuti umanitari e il ripristino della rete idrica ed elettrica.
E qui ci fermiamo. Impossibile, nell'odierno contesto, immaginare le tappe successive di un faticoso ritorno alla normalità, ammesso che nella regione una normalità ci sia mai stata. Più facile – è un paradosso ma neanche tanto - indicare l'unica meta possibile di un Medio Oriente pacificato. Essa coincide con la nascita di uno Stato palestinese indipendente, a pieno titolo membro dell'Onu, che comprenda Gaza, tutta la Cisgiordania e Gerusalemme est. Ovvero i territori che Israele occupa illegalmente da oltre mezzo secolo, dopo aver vinto la guerra dei Sei giorni.
Solo questo può rappresentare il vero punto di svolta per garantire un accettabile livello di convivenza in quella terra tanto martoriata. Un'autentica e duratura sicurezza per Israele parte da lì: non averlo mai voluto capire è la causa profonda dell'immane tragedia di oggi.
La politica è l’arte di rendere possibile il necessario, ma ahimè troppi hanno avuto e continuano ad avere interesse a perpetuare l’ instabilità in Medio Oriente. Si aggiunga il fatto che il rispetto della vita umana è conquista recente di una fetta minoritaria tra i governanti del mondo e quindi non illudiamoci che gli appelli alla pace, al cessate il fuoco, ecc. sortiscano effetti concreti. Questi appelli sono doverosi per ricordare al mondo dove starebbe di casa il vero, il buono ed il giusto, ma non convertono automaticamente gli animi. Piuttosto bisognerebbe essere capaci di dimostrare che la pace è conveniente, dato che il fatto che sia cosa buona e giusta importa davvero a pochi. Non solo, ma constatiamo il dilagare del “pre-giudizio” in quasi tutte le manifestazioni a favore dei Palestinesi: dicono che Israele eccede nella reazione, vero, ma cosa ha fatto Hamas è fatto trascurabile e di fatto dimenticato? Qualcuno sa dire come si dovrebbe fare a punire Hamas senza colpire i Palestinesi di Gaza? Qualcuno osa dire ad Israele che se avesse rispettato i Palestinesi della Cisgiordania forse ci sarebbero meno “odiatori” degli Ebrei in giro per il mondo?
Mi ha colpito la proposta, un po’ utopistica nelle modalità di applicazione, formulata da alcuni scienziati Israeliani, che in pratica propongono di proteggere i Palestinesi non terroristi entro i confini di Israele, a mano a mano che si incontrano nella avanzata, con coinvolgimento ONU e controllo israeliano. A prescindere dalla fattibilità, finalmente si vede il desiderio di distinguere tra i terroristi Hamas e le vittime Palestinesi/Israeliani.
Ad un mese circa dal barbaro eccidio di Hamas continua, senza sosta, la rappresaglia di Israele con tutta la grande potenza del suo apparato militare, causando distruzioni, morti, feriti e sofferenze indicibili alla popolazione di Gaza.
Per noi, spettatori lontani e impotenti, ogni immagine, ogni parola, ogni suono che arrivano dalla Striscia sono altrettanti pugni in pieno volto che turbano e non ci lasciano indifferenti.
Il sette ottobre ha innescato un infernale meccanismo,scontato e inarrestabile, di botta e risposta, contro cui nè L’ONU nè la massima potenza mondiale, USA, pare abbiano la forza e l’autorevolezza necessarie per imporre, quantomeno,un limite.
Israele è decisa ad estirpare Hamas dalla Striscia, a qualunque costo, e la cronaca quotidiana ci dà conto delle operazioni capillari di guerra, incuranti dei terribili danni collaterali.
Al tavolo delle trattative, dove ci si dovrà sedere quando le armi taceranno, sarà imprescindibile che da parte palestinese (e paesi arabi) sia riconosciuto il diritto di Israle ad esistere, e che da parte israeliana siano riconosciuti i limiti territoriali definiti dalle risoluzioni DELL’ONU e che vengano smantellate le colonie insediate nei territori della Cisgiordania, condizioni per la nascita dell’agognato stato di Palestina,augurandoci che non si ripresenti un altro fallimento “Oslo”.
Purtroppo, ad oggi, si possono esprimere solo desideri sperando che gli eventi e la realtà finale non sia catastrofica.