Tra pochissimo il Documento di economia e finanza approderà in Parlamento. Anche se la situazione internazionale non è stata mai così gravida di rischi, non appena rese note le linee generali illustrate dal ministro Giorgetti, non pochi tra i nostri pressapochisti che hanno l’illusione di fare politica se la sono subito presa con le risorse scarse e una possibile aggressione dei “mercati”. Quasi questi fossero gli gnomi (non più di Zurigo ma ora di Francoforte) che attentano alla nostra finanza pubblica.
Di fatto, prima ancora di leggere le tabelle del documento, non ci vuole molto per capire il nervosismo dei mercati.: il debito pubblico scenderà solo dello 0,1 per cento, e la crescita del Paese si è fermata. Lo ha confermato anche la Banca d’Italia, con tutte le cautele del caso.
Secondo il documento presentato, la crescita sarà poco meno dell’uno per cento; secondo il Fondo Monetario Internazionale e l’OCSE ancora meno, riportandoci al decennio di crescita in termini di zero virgola.
Nel rapporto tra la massa del debito e quanto produciamo siamo inoltre penultimi in Europa, davanti solo alla Grecia ma non per molto e il rischio della maglia nera è tutt’altro che immaginario. Lo siamo già per lo spread.
Il Ministro dell’Economia, per far quadrare i conti, non ha potuto fare a meno di prevedere venti miliardi di entrate previste con le privatizzazioni in tre anni.
Quanto la previsione sia concreta lo assicura lo stesso ministro Giorgetti. Per ora basti considerare che negli ultimi anni ci avevano tentato tutti, da Monti, a Renzi, a a Conte, ma l’esito non si è mai visto. In compenso lo Stato è intervenuto esattamente al contrario, vale a dire con nazionalizzazioni di fatto, da Alitalia a TIM, da Monte Paschi a ILVA.
Non solo. A rendere più complessa la manovra è adesso anche il carico di interessi che lo Stato è chiamato a pagare: ottanta miliardi lo scorso anno e il rischio di arrivare vicini ai cento miliardi quest’anno. Per avere il solo un’idea di cosa comporti questo peso è sufficiente sapere che per la scuola se ne spendono cinquanta, e che la sanità anche dopo i tagli comporta una spesa di circa centoventi miliardi.
Ecco perché i mercati sono nervosi: debito alto che non si riduce e interessi pari a voci rilevanti del bilancio. Tutto il resto, anche se le cronache politiche parlano d’altro, conta poco. Il ministro Giorgetti lo sa bene ed è per questo che si limita a sorridere da buon lombardo quando dal suo stesso partito insistono a parlare di flat tax, grandi opere, età pensionabile più bassa e via promettendo.
Il rischio più prossimo, in occasione della legge di bilancio che seguirà è, sin da ora, quello dell’assalto alla diligenza dei parlamentari di tutti i partiti con i soliti emendamenti di spesa. Da sempre l’assalto è furibondo e qualche volta ha messo a rischio i governi con maggioranze precarie. Oggi la maggioranza è solida ma la stessa Presidente del Consiglio ha già anticipato che di emendamenti non ne vuole sentir parlare.
Ecco l’occasione per le minoranze di dimostrarsi serie facendo proposte che in ogni caso indichino la copertura finanziaria: un lavoro non facile che ci dirà quanto valgono le opposizioni.
In fondo, chi ha mai ritenuto che la politica sia un lavoro facile?
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Di fatto, prima ancora di leggere le tabelle del documento, non ci vuole molto per capire il nervosismo dei mercati.: il debito pubblico scenderà solo dello 0,1 per cento, e la crescita del Paese si è fermata. Lo ha confermato anche la Banca d’Italia, con tutte le cautele del caso.
Secondo il documento presentato, la crescita sarà poco meno dell’uno per cento; secondo il Fondo Monetario Internazionale e l’OCSE ancora meno, riportandoci al decennio di crescita in termini di zero virgola.
Nel rapporto tra la massa del debito e quanto produciamo siamo inoltre penultimi in Europa, davanti solo alla Grecia ma non per molto e il rischio della maglia nera è tutt’altro che immaginario. Lo siamo già per lo spread.
Il Ministro dell’Economia, per far quadrare i conti, non ha potuto fare a meno di prevedere venti miliardi di entrate previste con le privatizzazioni in tre anni.
Quanto la previsione sia concreta lo assicura lo stesso ministro Giorgetti. Per ora basti considerare che negli ultimi anni ci avevano tentato tutti, da Monti, a Renzi, a a Conte, ma l’esito non si è mai visto. In compenso lo Stato è intervenuto esattamente al contrario, vale a dire con nazionalizzazioni di fatto, da Alitalia a TIM, da Monte Paschi a ILVA.
Non solo. A rendere più complessa la manovra è adesso anche il carico di interessi che lo Stato è chiamato a pagare: ottanta miliardi lo scorso anno e il rischio di arrivare vicini ai cento miliardi quest’anno. Per avere il solo un’idea di cosa comporti questo peso è sufficiente sapere che per la scuola se ne spendono cinquanta, e che la sanità anche dopo i tagli comporta una spesa di circa centoventi miliardi.
Ecco perché i mercati sono nervosi: debito alto che non si riduce e interessi pari a voci rilevanti del bilancio. Tutto il resto, anche se le cronache politiche parlano d’altro, conta poco. Il ministro Giorgetti lo sa bene ed è per questo che si limita a sorridere da buon lombardo quando dal suo stesso partito insistono a parlare di flat tax, grandi opere, età pensionabile più bassa e via promettendo.
Il rischio più prossimo, in occasione della legge di bilancio che seguirà è, sin da ora, quello dell’assalto alla diligenza dei parlamentari di tutti i partiti con i soliti emendamenti di spesa. Da sempre l’assalto è furibondo e qualche volta ha messo a rischio i governi con maggioranze precarie. Oggi la maggioranza è solida ma la stessa Presidente del Consiglio ha già anticipato che di emendamenti non ne vuole sentir parlare.
Ecco l’occasione per le minoranze di dimostrarsi serie facendo proposte che in ogni caso indichino la copertura finanziaria: un lavoro non facile che ci dirà quanto valgono le opposizioni.
In fondo, chi ha mai ritenuto che la politica sia un lavoro facile?
(Tratto da www.politicainsieme.com)
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