Il secolo verde



Giuseppe Ladetto    31 Agosto 2023       1

Il secolo verde è il titolo di un libro di Francesco Rutelli, recentemente uscito, che merita di essere letto poiché ricco di documentazione e di dati riguardanti i più svariati settori che in vario modo sono collegati alla transizione energetica.

C’è una consistente parte di cittadini che ha compreso la necessità di portare avanti, o anzi di accelerare, le misure richieste dalla transizione energetica, tuttavia, scrive Rutelli, è ancora maggioritaria la componente della popolazione che non pare disposta ad occuparsi di quanto potrà accadere nei prossimi decenni, ma piuttosto preferisce dedicarsi ai suoi odierni problemi. E aggiunge che non è una strada idonea per motivare i cittadini, e spingere i politici ad agire, rappresentare loro gli scenari disastrosi che li attendono se si resta inerti. Un manager di un’industria petrolifera ha detto che non gli interessa sapere che cosa accadrà quando comunque lui sarà già morto. Altri dicono di essere più preoccupati di come arrivare alla fine del mese piuttosto che alla fine del secolo. Bisogna quindi convincere le persone della necessità del cambiamento con argomentazioni ragionevoli che tengano conto delle difficoltà che esse incontrano.

Secondo Rutelli, la UE talora non comprende i problemi della gente comune, e cade in errore volendosi qualificare a tutti i costi come leader mondiale nel contrasto al cambiamento climatico. Infatti, la UE sbaglia quando assegna una priorità all’eliminazione dei motori a scoppio entro i prossimi dieci anni senza che la filiera dei veicoli elettrici sia pronta, senza indicare un saldo positivo tra i posti di lavoro che si perdono e quelli che si creano, senza considerare i costi elevati delle auto elettriche e le difficoltà persistenti nell’accesso alle ricariche. Così disorienta i cittadini rendendoli ostili ad ogni pur necessaria misura.

Occorre far capire che la transizione energetica e i provvedimenti a tutela dell’ambiente non sono a danno delle persone, ma servono, oltre che per salvare il pianeta, a offrire nuove opportunità: posti di lavoro (e di lavoro qualificato), retribuzioni più elevate, beni di consumo in parte diversi dagli attuali ma sempre in grado di soddisfare una domanda che non sarà in calo, sistemi di trasporto “puliti” con offerte diversificate alla portata delle diverse categorie di cittadini.

Certo è fondamentale ridurre progressivamente l'uso delle fonti fossili ma, per Rutelli, è altrettanto importante catturare la CO2 presente in atmosfera con ricorso ai sistemi naturali: infatti, gli alberi, la vegetazione, la materia organica del suolo, le piante fanerogame marine, il fitoplancton immagazzinano grandi quantità di CO2. A tal fine, la protezione e il potenziamento dei sistemi naturali sono fondamentali. Ci sono inoltre le tecnologie messe a punto dal sistema industriale per la cattura e l'immagazzinamento della CO2 a cui l'autore del libro guarda con favore, ma sono molti i dubbi della comunità scientifica su un percorso dalle molte incognite e non privo di pericoli.

Rutelli inoltre ci invita a non limitare la nostra attenzione alla sola emissione di CO2. Ci rammenta che il metano esercita in atmosfera un effetto serra molto più marcato della CO2 pur permanendo un tempo più limitato. È quindi prioritario contenere le emissioni di metano. Queste non derivano solo dal gas che sfugge dai metanodotti, dai rigassificatori, dai pozzi di petrolio, e (aggiungo io) per l'impiego del fracking con cui si estraggono gli idrocarburi presenti negli scisti. A rilasciare metano, c'è l'agricoltura (in particolare le risaie) insieme all'allevamento del bestiame (non gli allevamenti intensivi, ma quelli estensivi di bovini e ovini per la produzione della carne, prevalentemente presenti in Nord e Sud America e in Australia). Ci sono anche cause naturali: in particolare il rilascio dal suolo, soprattutto nelle zone artiche e sub artiche, e dalle paludi.

Qui però debbo sottolineare che è proprio l'aumento della temperatura ad esaltare tali emissioni con la fusione del permafrost e l'intensificazione dei processi fermentativi nelle paludi. Quindi se vogliamo limitare le emissioni di metano, mi pare che la strada sia una sola: dobbiamo ridurre sempre più l'estrazione e il trasporto di idrocarburi (metano compreso) mettendo al bando quelli ottenuti con il fracking; abbassare il consumo di carne bovina e ovina, e contenere il riscaldamento climatico in tempi brevi prima che la fusione del permafrost crei una situazione forse irreversibile.

In aggiunta alla mitigazione, dobbiamo fare molto per l'adattamento. Infatti, il riscaldamento è già in atto, e aumenterà ancora nei prossimi anni prima che la mitigazione raggiunga il suo obiettivo. I Paesi avanzati hanno più mezzi di quelli poveri per difendersi e affrontare le nuove condizioni che si determineranno. In primo luogo, devono fare molto in campo agricolo per adattare le coltivazioni al nuovo clima e per dotarsi di riserve idriche. Ad esempio di quanto si possa fare a fronte dell'innalzamento del livello del mare, Rutelli descrive ciò che sta effettuando l'Olanda con la realizzazione di un megaprogetto teso a potenziare il sistema di barriere mobili a protezione della costa e degli estuari dei fiumi.

Ora non c’è dubbio che sia importante investire nell'adattamento, ma non dimentichiamo che la riuscita delle soluzioni proposte dipende da come procederà il riscaldamento climatico. Per restare all'esempio olandese, il megaprogetto raggiungerà lo scopo se le temperatura resterà al di sotto dei +2° C a fine secolo, ma che accadrà se andrà molto oltre tale valore? Non è certo che il citato progetto sia in grado di contrastare un marcato innalzamento del livello del mare, sicché per parte del territorio olandese, come purtroppo accadrà per Venezia, il destino è molto incerto.

Come realizzare un così vasto insieme di progetti? Per Rutelli, gli strumenti sono lo sviluppo tecnologico, la ricerca scientifica mirata alla soluzione dei problemi, l’impegno di quei governi capaci di accantonare la burocrazia a favore della managerialità, e di quelle imprese (finanza inclusa) che hanno compreso le opportunità offerte dall’economia verde.

Probabilmente è vero che per raggiungere gli obiettivi aiuta essere ottimisti, ma certo l’ottimismo non basta se non si resta ancorati alla realtà e a quanto la descrive. Lo stesso Rutelli riconosce che, per cambiare la traiettoria che conduce il mondo al disastro, abbiamo di fronte a noi una finestra molto stretta. Moltissime sono le cose da fare e ridotto è il tempo per realizzarle, ma coloro che hanno il potere per metterle in opera non ne sembrano pienamente consapevoli.

L’accordo di Parigi del 2015, sempre riconfermato nelle varie COP succedutesi, prevede misure per contenere il riscaldamento climatico entro +1,5° C (rispetto all’epoca preindustriale) per la fine del secolo in corso. Ora, è ormai noto che, anche se l’accordo fosse stato sottoscritto da tutte le nazioni e pienamente rispettato, non si sarebbe comunque in grado di conseguire l’obiettivo. Anzi, per il Max Planck Institute for Meteorology di Amburgo, il +1,5° C sarà raggiunto già nel 2035.

Dati recenti indicano che il 2022 ha registrato la più alta quantità di emissioni di CO2 di sempre, mentre nel corso dello stesso anno, secondo la IEA, il consumo di carbonfossile (il combustibile più nocivo per il clima) è cresciuto ancora dell’1,2% superando gli 8 miliardi di tonnellate.

Alla vigilia del Summit della COP27, a latere del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, è stato presentato uno studio sul grado di rispetto degli impegni stabiliti da 194 Paesi per ridurre le emissioni: ne risulta, per le diffuse inosservanze, l’impossibilità di mantenere la crescita delle temperature medie globali sotto i +2,4 / 2,6° C a fine secolo. Secondo un’analisi svolta in parallelo nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la forbice sarebbe tra +2,1 e +2,9° C.

A fronte di questo insieme di dati negativi (forniti nel libro), trovo difficile condividere l’ottimismo manifestato da Rutelli.

Mi permetto di fare alcune considerazioni in merito al suo discorso.

1) Rutelli ritiene indispensabile l’abbandono immediato del carbone; ipotizza un percorso veloce di fuoriuscita dall’uso del petrolio, mentre ci dice che bisognerà convivere con il metano per il tempo necessario a una transizione non traumatica. Tuttavia, è fondamentale sapere se “questo tempo necessario” sia compatibile o meno con il rispetto degli impegni presi in sede comunitaria e nella varie COP. Rammento che, per il totale abbandono delle fonti fossili, abbiamo 27 anni; per dimezzare (o almeno ridurre del 40%) le emissioni di CO2, ci restano solamente 7 anni.

2) Ormai la gente comincia a capire che non si tratta di fare sacrifici solo per evitare quanto altrimenti avverrà alla fine del secolo. Le calamità si fanno sentire già adesso. Di fronte a quanto vediamo accadere intorno a noi da 2-3 anni, il quesito che tutti dobbiamo porci è: i danni economici e sociali dei ritardi nel contrastare il cambiamento climatico non rischiano di diventare presto assai maggiori di quelli che si vogliono evitare rallentandone il cammino?

3) Per mettere in campo ogni progetto, ci vogliono capitali, investimenti, risorse. I Paesi ricchi dispongono dei mezzi per contrastare il cambiamento climatico e per l’adattamento alle nuove realtà ambientali che si vanno determinando. Invece, i Paesi poveri del Sud del mondo non potranno mai farcela con le sole proprie forze. Pertanto, secondo gli esperti di Finance Climatic Action, si devono mettere in campo, da parte dei Paesi ricchi, 1.100 miliardi di dollari all’anno a beneficio dei Paesi emergenti (Cina esclusa), altrimenti non ci sarà speranza di centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni a fine secolo. Ovviamente, oltre a ciò, i Paesi ricchi devono fare la loro parte per quanto attiene al proprio sistema economico-produttivo. Secondo quanto suggerito dalla IEA, per il solo primo obiettivo (la mitigazione), bisognerebbe destinare almeno il 2% del PIL annuo globale.

Quindi occorre trovare le risorse finanziarie sottraendole ad altri capitoli di spesa facendo delle scelte riguardo alla destinazione dell’intero PIL. Dove tagliare visto che sarebbe difficile incidere sulla spesa sociale?

È stato rilevato (lo dice anche Rutelli) che il 2% del PIL corrisponde alla spesa militare richiesta dal vertice NATO ai Paesi membri, quasi a suggerire che questa sia la voce da ridimensionare. In realtà, la spesa militare è già superiore a tale dato, ed è ovunque in forte crescita per la corsa al riarmo determinatasi, o meglio acceleratasi, con la guerra in Ucraina e l’acuirsi della questione di Taiwan.

Sembra pertanto difficile, se non impossibile, condurre una seria lotta al cambiamento climatico quando si privilegiano obiettivi geopolitici tesi a ottenere o a consolidare assetti egemonici o supremazie planetarie (di cui le guerre in corso sono strumento).

Ma, la difesa è un compito vitale, si risponde subito.

Daniele Ciravegna ha più volte detto che indicare una serie di obiettivi senza definire una graduatoria di priorità, o meglio una gerarchia fra questi, non conduce da alcuna parte. Bisogna sempre avere ben chiaro quale è l’obiettivo principale, rispetto al quale gli altri possono essere perseguiti nei limiti compatibili con il suo successo, o meglio facendosi strumenti per rafforzarne il conseguimento.

Ora, mi pare che l’obiettivo primo non possa esser altro che mantenere sotto i + 2° C la temperatura media della Terra per la fine del secolo, perché altrimenti è messa a rischio la vita stessa sul pianeta o quanto meno di un gran numero di esseri umani. Infatti ove ciò accadesse, gli altri obiettivi non avrebbero alcun senso non essendo comunque più raggiungibili.


1 Commento

  1. Egregio Ladetto, trovo i tuoi argomenti pertinenti all’attuale condizione ambientale. Sono d’accordo con Zamagni, che ha lanciato la seguente proposta la migliore fino ad oggi percorribile e applicabile: Lanciare una campagna per giungere ad un “Global Green Deal”, come anticipazione di una “Constitution of the Earth”. Un patto tra umanità e natura che serva a definire una legislazione ambientale a livello globale e che dia alla Corte Internazionale di Giustizia la giurisdizione necessaria per punire i crimini di ecocidio. A tal fine è urgente mettere al bando i paradisi fiscali, che costituiscono, oggi, una delle più gravi “strutture di peccato”, nel senso di G. Paolo II. In Giovanni 12,24-26 si legge: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Agisco e mi sento come un chicco di grano: studio, ricerco, ed applico, affinché le mie idee e le mie proposte di scienza applicata semplici e facilmente fruibili, spesso disattese, diano in seguito efficaci ed utili risultati; a volte succede che vengono sviluppate da altri senza che mi torni il giusto riconoscimento, ma ringrazio ugualmente nostro Signore che attraverso lo Spirito, continua ad illuminare il mio intelletto, in modo da renderGli lode. Ho scritto, molto prima di Rutelli, un libro simile: “Ambiente, Acqua, Energia, priorità del terzo millennio”. Ma sono certo che scrivere soltanto non serve (vedi enciclica laudato si), occorre realizzare progetti semplici e virtuosi a basso costo e ad alta resa per salvare il Creato e fermare i barconi con morti in mare, in primis offrire un percorso di crescita sostenibile all’Africa (mi riferisco al Piano MATTEI). In accordo alla proposta di scienza applicata, del Rettore POLIMI Guido SARACCO: “Occorre investire nell’accoglienza e nella formazione di chi arriva, come pure promuovere l’attrazione di studenti stranieri nei nostri atenei. Una inversione di tendenza nella natalità pagherà tra vent’anni, un migrante o uno studente straniero che arriva da noi e viene formato alle nostre competenze e valori – conclude Saracco – oggi può invece dare un contributo immediato alla inversione della rotta della barca traballante della nostra economia”. Perciò occorre coinvolgere anche i Rettori di tutte le Università italiane, attraverso un cammino condiviso, per un ritorno alla politica di Enrico Mattei e di Giorgio La Pira, fatta con verità e regole certe. Ho presentato un documento per dare EE di potenza ad un villaggio abitato da 4000 famiglie in Camerun (spesa prevista 100.000 USD), denominato: “PROGETTO MATTEI – LA PIRA, ENERGIA FOTOVOLTAICA PER L’AFRICA (SAHEL) – NUOVE TECNOLOGIE PER IL SUD DEL MONDO, SVILUPPO UMANO SOSTENIBILE”, un modello da realizzare ed estendere successivamente a tutti Paesi del Sahel. Il “Piano Mattei per l’Africa” da avviare con incentivi per le imprese, fu un’idea di Giorgio La Pira, per favorire una collaborazione tra l’Italia e le nazioni africane, agevolando la crescita con il recupero del ruolo strategico che compete all’Italia nel Mediterraneo. Non stupisce il fatto che questa importante intuizione fu recepita Da Mattei, ma andò distrutta nel novembre del 1962, tra i rottami di un aereo esploso sopra Linate! Lo sviluppo, la crescita e le emissioni di CO2 non sono soltanto un problema d’investimenti, ma dipendono da scelte intelligenti! Con la memoria, l’intelletto e la volontà, noi italiani possiamo creare per primi, in Europa le tecnologie di correlazione per il bene di tutti, come d’altro canto fece Enrico Mattei alla fine del secondo conflitto mondiale. A detta del Premio Nobel Kary B. Mullis, possediamo le caratteristiche per svilupparle meglio, in tempi più brevi e a minor costo. Sottolineo un concetto importante: “oggi come non mai le Nano Tecnologie sono determinanti per la competitività, l’efficienza e lo sviluppo economico”. Dobbiamo saper cogliere le opportunità che il mercato e la scienza ci offrono e metterle a disposizione di tutti. Per i progetti importanti, occorrono manager capaci ed intraprendenti, in grado di creare posti di lavoro stabile ed accessibili a migliaia di disoccupati. Sosteniamo un gruppo d’investitori posizionati sulle NT Energetiche, per questo motivo collaboro con un leader europeo da diversi anni, per i settori dell’impiantistica dell’idrogeno, del Biometano-Biogas-Biomasse. Alcuni interlocutori si sono detti interessati a questa convinzione: rivitalizzare il progetto EuroMed, conforme al Piano Mattei, per lo sviluppo del Mediterraneo, il lago di Tiberiade secondo La Pira. Le polemiche non servono, ma una soluzione per bloccare i migranti economici va realizzata in Africa”. Si cercano alleati che potrebbero collaborare a distanza col sottoscritto per la nascita di Nuove Tecnologie, in primis: “Produrre acqua potabile ed EE fotovoltaica nel SAEL”. Alla cerimonia di apertura della Cop 27 di Sharm El-Sheikh, la conferenza 2022 della Nazioni Unite sul clima; Antonio Guterres ha pronunciato questo appello: “Cooperare subito o morire. Siamo vicini al suicidio climatico”. Il disperato appello ai leader del mondo del Segretario generale dell’Onu”. La tecnologia “Acqua potabile ed EE PV), sono tecnologie ideali per essere proposte alle organizzazioni internazionali per limitare le grandi migrazioni. Sahel (dall’arabo Sahil, “bordo del deserto”), è una fascia di territorio dell’Africa subsahariana, estesa tra il deserto del Sahara a nord, la savana sudanese a sud, l’oceano Atlantico a ovest e il Mar Rosso a est, e che copre (da ovest a est) gli Stati della Gambia, Senegal, la parte sud della Mauritania, il centro del Mali, Burkina Faso, la parte sud dell’Algeria e del Niger, la parte nord della Nigeria e del Camerun, la parte centrale del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sudan del Sud e l’Eritrea. Costituisce una zona di transizione tra l’eco zona paleartica e quella afro tropicale, ovvero un’area di passaggio climatico dall’area arida del Sahara a quella fertile della savana arborata sudanese. La fama l’intelligenza e la straordinarietà di Enrico Mattei, non può essere assolutamente circoscritta, un qualsiasi giudizio, sarà sempre per difetto rispetto alla grandezza dell’uomo del manager e del patriota. Il 27 settembre 1962, un mese esatto prima della sua morte, Mattei avrebbe riassunto queste posizioni autenticamente rivoluzionarie, in quanto equidistanti da capitalismo e comunismo, in un’intervista rilasciata a: “Indipendent Television News Limited”, un’emittente televisiva inglese. Al giornalista che gli chiedeva: lei si definirebbe un socialista? ”Mattei rispondeva, con straordinaria lucidità: “Credo che in questo mondo così complesso, gli uomini e le loro idee non possono essere classificati secondo etichette coniate in altri tempi. Per quanto mi riguarda posso dirle quello che penso e che faccio. Tiri lei le conclusioni. Io sono per un’Italia prospera, con un reddito complessivo più elevato e per abitante, meglio distribuito tra le classi sociali e le regioni del paese; credo nella funzione dello Stato in tutte le forme per raggiungere questi obiettivi; dare all’Italia fonti d’energia a buon mercato, condizione fondamentale dello sviluppo economico e per procurare direttamente alla fonte principale, qualsiasi forma d’energia pulita, senza dover dipendere da intermediari che godono di posizioni di oligopolio e che fanno pesare sui consumatori; credo nella pace internazionale e nella necessità a tal fine di sempre più ampi rapporti economici fra tutti gli Stati e nella necessità che tutti cooperino su un piano di assoluta parità allo sviluppo dei paesi economicamente meno progrediti”. Pensiero tratto a pag. 72 dal libro di Gianfranco PERONCINI. Veni, Vidi, Eni. Enrico Mattei e il sovranismo energetico. Volume 2, l’attentato di Bescapè, sette mandanti per sette sorelle: un delitto “abissale”.

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