Don Minzoni, che 100 anni fa varcò il Rubicone



Lucio D'Ubaldo    24 Agosto 2023       0

Dobbiamo rallegrarci che attorno alla figura di don Minzoni sia cresciuta l’attenzione nel centenario del suo assassinio ad Argenta, oggi frazione di Ravenna, per mano di sicari fascisti. Non altrettanto possiamo dire per la scelta della Rai, indisponibile a realizzare un docufilm, già pronto nelle linee di fondo grazie al lavoro preliminare di Giuseppe Sangiorgi, per ragioni attribuite a ristrettezze di budget: ci siamo dovuti accontentare della rimessa in onda su Rai Storia, in tarda serata, di una vecchia pellicola di Marco Cassini. Forse si poteva evitare questa caduta nel grigio rigore amministrativo che pare fatalmente sconfinare nell’indifferenza per la vicenda più emblematica, insieme a quella dell’assassinio di Matteotti, del fascismo storico, in evoluzione rapida e drammatica da movimento armato a regime dittatoriale.

Questa comunque è la delusione più facile da intercettare e più semplice da raccontare, perché si collega a un qualche sentimento di sana diffidenza per il messaggio che la Destra al governo (anche della Rai) s’industria a veicolare in nome di un preteso post fascismo, spesso collimante con ambiguità e omissioni a riguardo proprio del fascismo e dell’antifascismo. C’è invece un’altra delusione che si nasconde nelle pieghe della rilettura storica e politica del misfatto; una delusione, in questo caso, che muove dal modo con il quale si racconta l’accaduto ai giorni nostri e si descrive, in particolare, il sacrificio del parroco di Argenta; finanche una delusione che sa di amaro retrogusto, per la contraddizione operante nello sforzo di celebrazioni calde e generose, ma non corrispondenti alla piena verità dei fatti.

Si potrebbero fare vari esempi, tutti all’insegna di una considerazione che porta a rilevare come spesso l’indagine storica invece di avanzare regredisca, perdendo di rigore e di mordente. Non rende giustizia a don Minzoni isolare l’aggressione mortale di cui fu vittima dal contesto politico in cui scattò l’ordine di punirne l’impegno sociale e pastorale. L’idea che a pagare sia stato l’educatore, solerte nel promuovere il gruppo degli scout o nel guidare le attività della parrocchia, non ci restituisce la complessità della sua testimonianza.

Giuseppe Donati, a un anno dalla morte, ne tracciò un profilo che dava conto della fervida ispirazione democratico cristiana; molto tempo dopo, nella grande commemorazione per il cinquantenario organizzata dalla DC a Ravenna, fu Mario Scelba a stilare un ritratto accurato da cui emergeva la connotazione del prete scomodo, e scomodo anche per i socialisti. Se per i fascisti era chiaramente un avversario, nondimeno per i socialisti appariva un concorrente: metteva in pratica, nel rapporto con i suoi contadini ed artigiani, i valori del popolarismo.

Del suo sentirsi militante, allora sulla scia di Sturzo e prima ancora di Murri, c’è solo vaga traccia nel ricordo pubblicato da Alberto Melloni sul “Corriere della Sera” del 19 agosto. Don Minzoni si staglia come un profeta senza un ancoraggio alla politica di quegli anni. Aveva stabilito con se stesso – così si legge nell’articolo – che bisognava attraversare il Rubicone. E così fu, tanto che ne venne il martirio. Ma quel Rubicone è magnificato da Melloni dentro una citazione monca, priva cioè di una premessa fondamentale: don Minzoni, infatti, si dice pronto a tutto dopo aver constatato l’odio dei fascisti per i popolari. Melloni, in sostanza, dovrebbe riflettere sulle parole di Donati, il primo a smascherare coraggiosamente la responsabilità dei fascisti nell’agguato mortale: “In don Giovanni Minzoni – diciamolo alto e forte, perché è l’intera verità – venne colpita, come si voleva colpire, l’idea politica popolare, cioè l’idea democratica cristiana, che Egli sosteneva e onorava da sacerdote e da combattente”.

Non è un punto qualunque. Per questo, come accennato all’inizio, viene da pensare a una dissipazione di memoria e profondità di conoscenza, come se la ricerca storica ripartisse da troppo lontano o da troppo vicino, essendo prevalente in entrambe le versioni il desiderio di rimuovere un ingombro consustanziale al “tempo che fu” del mondo democratico cristiano. Qui sta il distacco dal pur pregevole ricordo di Melloni. C’è un’atmosfera tutta politica — e di una politica ben chiara – che merita attenzione. Don Minzoni cadde a metà strada, certamente da eroe cristiano, quando già il PPI con il congresso di Torino aveva scelto di stare all’opposizione di Mussolini e quando non ancora si era materializzata la volontà del Duce affinché in Vaticano si provvedesse all’eliminazione politica di Sturzo, costretto infatti, non molto tempo dopo, ad abbandonare l’Italia per un esilio durato più di vent’anni. In mezzo, non a caso, c’è il proditorio gesto di Argenta.

In questi giorni le celebrazioni per il centenario saranno caratterizzate fortemente da due contributi molto attesi: quello del Cardinale Matteo Zuppi, oggi pomeriggio alle 18 nella Messa che sarà da lui presieduta presso la Collegiata di San Nicolò, e quello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in programma il 25 agosto al culmine delle commemorazioni.

In questa cornice giova riportare per intero quanto scriveva don Minzoni a un amico parroco a proposito del citato Rubicone da passare: “Quando un partito (fascista), quando uomini di grande o in piccolo stile denigrano, violentano, perseguitano una idea, un programma, un’istituzione quale quella del Partito Popolare e dei Circoli Cattolici, per me non vi è che una sola soluzione: passare il Rubicone e quello che succederà sarà sempre meglio che la vita stupida e servile che ci si vuole imporre”. È quanto serve per capire fino in fondo il senso e il valore del sacrificio a cui fu chiamato, versando il suo sangue per un ideale pienamente incarnato nella vita quotidiana.

(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)


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