Chi tira le fila del “politicamente corretto”?



Giorgio Merlo    24 Agosto 2023       1

C’è una domanda che, come tante del resto, resta ad oggi del tutto inevasa: e cioè, chi è a capo del cosiddetto “politicamente corretto”? Detto in altri termini, chi è legittimato a distribuire pagelle su che cosa si può dire pubblicamente e su quello che viene immediatamente rispedito al mittente appena viene detto o pronunciato? E ancora, chi può ergersi a giudice morale ed etico per distribuire pagelle a destra e a manca – per la verità solo a destra e al centro – e decidere e selezionare i temi e gli argomenti che possono essere dibattuti e quelli che meritano invece solo disprezzo e sdegno?

Sono, queste, domande legittime quando si parla di “politicamente corretto”, che però hanno quasi sempre una precisa e pertinente risposta. Ovvero, il “tribunale moralistico” e “l’autorità etica” che si auto attribuiscono questo ruolo sono gli interpreti del cosiddetto “pensiero unico”. Detto in termini ancora più semplici e comprensibili, sono coloro che pensano di avere una egemonia culturale, ed etica, nella società e come tale la dispiegano e la declinano quotidianamente. Di norma, sono opinion leader, “guru” dell’informazione e dello spettacolo – la regola è che sono quasi tutti milionari, e sino a ieri miliardari – alcuni organi di informazione dalla Tv alla carta stampata di proprietà di mastodontici gruppi industriali e finanziari e, in ultimo, i moralisti che allignano storicamente nel campo cosiddetto progressista.

Questo aggregato, plurale e composito, è però accomunato da un filo rosso: dettare l’agenda del “politicamente corretto”. O, detto con altre parole, come si declina il “pensiero unico”. Entrambe queste derive sono riconducibili ad un preambolo di fondo: e cioè, queste categorie di persone, espressione di veri e propri “poteri forti”, pensano tranquillamente – e lo dicono anche apertamente senza tema di essere smentiti – che il mondo contemporaneo è semplicemente diviso in due categorie: da un lato c’è il progresso, la civiltà, lo sviluppo e il bene; dall’altro, con altrettanta semplicità, il male, la barbarie, l’inciviltà e il precipizio. Da qui la conclusione, semplice e inappellabile: tutto ciò che è espressione del male e della inciviltà è semplicemente da buttare e da cestinare. Con disprezzo e anche con una inusitata violenza e spietatezza verbale. Punto.

Ecco perché, di fronte ad uno scenario del genere, che peraltro è una costante del sistema politico italiano sin dal secondo dopoguerra anche se si è particolarmente affinato con l’avvento del populismo e dopo la scomparsa dei partiti, delle culture politiche e, purtroppo, anche della politica, l’unico antidoto vero e potente risiede ancora nella democrazia e nei principi costituzionali. Ovvero, e sino a prova contraria, se in Italia continuano ancora a decidere i cittadini attraverso il voto popolare i sacerdoti del “politicamente corretto” stentano ad avere il sopravvento. E questo perché il voto popolare e i principi democratici, di norma, sono quasi sempre alternativi alla “democrazia dei moralisti” e alla fustigazione dei “prìncipi del sapere”. Con tanti e cari saluti al “politicamente corretto”, ai moralisti da strapazzo, ai milionari imbonitori della carta stampata e dei talk televisivi e ai detentori del “pensiero unico”.


1 Commento

  1. Giorgio Merlo pone magistralmente un tema che sta alla base della crisi dell’Occidente. Un sistema in cui pochi stabiliscono i contenuti del discorso pubblico, è anche un sistema in cui solo gli stessi pochi decidono, fino a un sostanziale smarrimento del senso del pluralismo.
    Nel contempo stiamo assistendo al seguente paradosso: molti Paesi extra occidentali che consideriamo “autocrazie” sono quelli che più si stanno battendo per la democratizzazione delle istituzioni globali. Il pluralismo dei punti di vista è il presupposto per effettive politiche interclassiste che garantiscano la pace sociale, ed è nel contempo elemento essenziale per il ristabilimento della pace e della sicurezza globale

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