Qualche tempo fa, ho ascoltato, in un programma televisivo, un’intervista a uno scrittore che ha fatto un’affermazione interessante. A inizio degli anni Novanta, ha detto, a seguito del crollo dell’Unione Sovietica, sembrava che nulla ormai si opponesse all’estensione in tutto il mondo dei valori democratici. Invece, le cose sono andate altrimenti: ci sono Paesi e culture che rifiutano le istituzioni e i modi di vita delle liberaldemocrazie. Tuttavia, aggiunge, oggi vediamo che in Iran, in Paesi ex sovietici e perfino in Cina, c’è una domanda di libertà. Se la democrazia non è un valore universale, lo è invece la libertà che si presenta come qualche cosa di intrinseco all’essere umano.
Poiché in nome della libertà, prima ancora che della democrazia, si sta assistendo a uno scontro impropriamente definito di civiltà, è il caso di approfondire la questione iniziando da tale termine, a cui si possono dare molteplici significati, e che ci pone degli interrogativi a partire da quello sulla sua reale consistenza.
Piero Angela, una cinquantina di anni fa, scrisse (in L’uomo e la marionetta) che le nostre idee e il nostro comportamento non sono affatto scelti liberamente, ma sono il risultato di un’azione combinata dell’eredità (genetica) e dell’ambiente. Quindi la libertà sarebbe un’illusione.
Una tale deterministica concezione che nega la libertà dell’uomo è in totale contrasto con la visione di quanti (a partire dai cristiani) ritengono che l’essere umano sia dotato dell’iniziativa e della padronanza dei suoi atti, e porti entro di sé le norme etiche che lo rendono capace di distinguere il bene dal male.
Per restare sul terreno scientifico, sentiamo cosa ci dice in proposito il grande etologo Konrad Lorenz: “Gli uomini temono la considerazione causale perché sono tormentati della paura che la visione dell’insieme delle cause degli avvenimenti terreni possa smascherare il libero arbitrio e dimostrarlo illusorio. In realtà, una visione più profonda delle concatenazioni causali fisiologiche del mio comportamento non può mutare il fatto che sono io che voglio ciò che faccio. Solo ad un’osservazione superficiale, la libertà sembra consistere nel fatto che si possa volere quello che si vuole in completa anarchia. Non si può credere sul serio che il libero arbitrio significhi che tutto è lasciato al beneplacito del singolo di fare o non fare. Il libero arbitrio sottostà alle severe leggi della morale, e la sete di libertà deve evitare che si obbedisca ad altre leggi che non siano quelle. La più grande e più bella libertà dell’uomo si identifica con la legge morale che è in lui. Una maggiore conoscenza delle cause naturali del suo stesso comportamento può aumentare la capacità dell’uomo di comprendere se stesso e dargli maggiore potere di esercitare in azioni il suo libero arbitrio; non può diminuire la sua volontà”.
Quindi il fatto che l’essere umano sia ancora guidato da complesse emozioni ereditarie e canali di apprendimento prestabiliti (come ci ha detto Enrico Mugnaini, insigne studioso di neuroscienze) non annulla la sua libertà e la responsabilità dei suoi atti consapevoli.
Altri fattori possono incidere negativamente sulla libertà del nostro agire. A condizionarci, assai più del nostro bagaglio genetico, è l’ambiente in cui viviamo.
Certamente essere sottoposti a un pervasivo indottrinamento e a un continuo martellamento propagandistico (sia quello che ha caratterizzato i totalitarismi novecenteschi e vari regimi dispotici, sia quello della pubblicità e dalla continua esaltazione del successo e della ricchezza oggi imperante in ogni ambito) può portare a forme di irreggimentazione di massa o di omologazione che restringono i nostri margini di libertà.
Oggi, inoltre, lo sviluppo della tecnica introduce nuove problematiche. Nella complessità del mondo attuale, diventa sempre più arduo rendersi conto di quali possano essere le ricadute dei nostri comportamenti. Ha scritto Hans Jonas che la tecnica moderna ha enormemente dilatato la distanza temporale e spaziale tra le azioni e gli effetti prodotti, sicché oggi diventa difficile collegare cause ed effetti. I nostri atti quotidiani possono aver ricadute negative in Paesi lontani, sovente del sud del mondo, o andare in futuro a gravare pesantemente sui nostri nipoti e pronipoti, senza che ce ne rendiamo conto. Per valutare le conseguenze dei nostri atti, e quindi per agire responsabilmente, bisognerebbe possedere una conoscenza commisurata alla enorme portata degli effetti che la tecnica conferisce al nostro agire, ma è una facoltà di cui è assai difficile dotarsi.
Un altro aspetto dell’incidenza della tecnica sulla nostra libertà decisionale lo ha messo in evidenza Luciano Gallino. Il sociologo ci ha detto che gli apparati tecnici hanno cessato di essere solo dei mezzi perché hanno incorporato in sé scopi e finalità che vengono di fatto imposti agli utenti. In tale caso, la libertà di scelta risulta priva di un concreto fondamento. Anche Papa Francesco ha denunciato questa pericolosa interferenza di una tecnologia che, sfuggita al controllo dell’uomo, finisce per condizionarne l’agire.
Quindi, complessivamente la crescita tecnologica e la globalizzazione (che anch’essa introduce crescenti distanze geografiche e temporali tra cause ed effetti) diminuiscono la consapevolezza della conseguenza delle nostre azioni rendendoci soggetti meno responsabili.
Probabilmente da questa ridotta consapevolezza delle ricadute dei propri atti e dall’individualismo estremo imperante, proviene la diffusa concezione della libertà intesa come poter fare tutto quanto si desidera senza curarsi delle conseguenze. Ma questa è vera libertà?
Benedetto XVI ha scritto che “la libertà ha assunto diversi tratti mitici; concepita in modo anarchico diviene un idolo, mentre può essere davvero tale solamente quella costruita sul giusto rapportarsi reciproco, cioè la libertà nella giustizia”.
Anche nelle parole di Konrad Lorenz sopra riportate, che in parte riprendo, si esprime un analogo concetto: “ Il libero arbitrio sottostà alle severe leggi della morale, e la sete di libertà deve evitare che si obbedisca ad altre leggi che non siano quelle”.
La libertà quindi si esercita nel rispetto delle leggi della morale che sono scolpite dal Creatore nell’anima degli esseri umani, secondo il pensiero religioso, o che si sono formate nel divenire naturale, secondo gli etologi. Infatti, la nostra specie è sociale, e il suo successo evolutivo è dovuto alla cooperazione e alla solidarietà fra i membri delle comunità di cui sono parte, comportamenti che la selezione naturale ha codificato come morali nel nostro codice genetico (vedi Michael Gazzaniga, La Mente etica).
C’è quindi un nesso tra la libertà e il giusto rapportarsi reciproco dei membri di una comunità. Lo aveva colto Giorgio Gaber in una celebre canzone quando disse che la libertà è partecipazione.
Tornando alla considerazione dello scrittore di cui a inizio articolo, si potrebbe dire che non solo la libertà è intrinseca all’essere umano, ma lo è anche la democrazia per il legame che la unisce alla libertà. Dobbiamo però intenderci sul significato di tali termini.
Per quanto riguarda la libertà, lo abbiamo già visto. Non si tratta di quella libertà concepita come poter fare tutto ciò che piace, e neppure di quella cara al pensiero liberale che pone al voler fare tutto ciò che piace il solo limite di non violare la libertà altrui. La vera libertà va oltre il non violare quella altrui, ma impegna a farsi carico dei doveri verso la comunità di appartenenza. È questa concezione della libertà che può essere coniugata con la democrazia.
Ma a quale democrazia si fa riferimento?
Per dare una risposta a questa domanda è utile considerare quanto scritto da Alain Caillé (teorico dell’antiutilitarismo, di cui ho già avuto modo di presentare il pensiero in un articolo Siamo diventati tutti utilitaristi). Per il sociologo francese, la democrazia rappresenta il regime politico naturale e spontaneo dell’umanità in quanto esiste una evidente spinta verso di essa che percorre la storia, e della quale si colgono elementi e tendenze già nelle società preistoriche, poi in quelle tribali, in quelle delle città-stato del mondo antico e nei comuni medievali. Tali società ci mostrano l’esistenza di un legame che possiamo definire di natura democratica tra coloro che hanno maturato il sentimento di formare una comunità e, per tale via di appartenenza, sono stati in grado di elaborare le virtù civiche che della democrazia sono il fondamento. Infatti la comunità viene prima della democrazia, in quanto non c’è democrazia senza comunità.
Da quei tempi, si è allargato il numero delle persone coinvolte nella la vita democratica, includendo nell’elettorato attivo e passivo sempre più estesi ceti sociali, e, seppure tardivamente, le donne, realizzando finalmente il suffragio universale.
Tuttavia non mancano crescenti segnali di crisi della vita democratica. Infatti, oggi, con l’affievolirsi dello spirito comunitario in un mondo dominato dalle logiche economicistiche, viene meno un elemento essenziale della democrazia, che così si indebolisce e si svuota del suo autentico significato.
Secondo Yves Mény (studioso dei sistemi istituzionali), nella società globale, la democrazia si riduce, nell’opinione di molti, alla semplice ricetta “capitalismo più elezioni”, come se le forme della democrazia fossero più importanti della sostanza.
Mi permetto di aggiungere che il capitalismo odierno è il finanzcapitalismo portatore di crescenti disuguaglianze, mentre le elezioni avvengono con i seggi elettorali sempre più disertati. C’è poi la promozione di sempre più estesi diritti, ma, come ha scritto Francis Fukuyama, l’estensione dei diritti individuali, in assenza ad ogni richiamo ai doveri, va a scapito di quel capitale sociale su cui si fonda la convivenza.
Difficile credere che una tale concezione della democrazia (che si è affermata in tempi recenti ed in un’area circoscritta, per quanto ampia, del globo terrestre) rappresenti un punto di arrivo, così come non lo è l’attuale diffusa idea della libertà come disimpegno e assenza di limitazioni.
Ritengo che effettivamente libertà e democrazia siano inscritte nell’anima umana, e che di ciò gli esseri umani abbiano in varia misura consapevolezza. Infatti, tendono ad esse, e le ricercano percorrendo con difficoltà strade diverse con esiti sempre incerti. Comunque non ci si deve scoraggiare, ma proseguire il cammino per dare crescente concretezza a tali valori.
Poiché in nome della libertà, prima ancora che della democrazia, si sta assistendo a uno scontro impropriamente definito di civiltà, è il caso di approfondire la questione iniziando da tale termine, a cui si possono dare molteplici significati, e che ci pone degli interrogativi a partire da quello sulla sua reale consistenza.
Piero Angela, una cinquantina di anni fa, scrisse (in L’uomo e la marionetta) che le nostre idee e il nostro comportamento non sono affatto scelti liberamente, ma sono il risultato di un’azione combinata dell’eredità (genetica) e dell’ambiente. Quindi la libertà sarebbe un’illusione.
Una tale deterministica concezione che nega la libertà dell’uomo è in totale contrasto con la visione di quanti (a partire dai cristiani) ritengono che l’essere umano sia dotato dell’iniziativa e della padronanza dei suoi atti, e porti entro di sé le norme etiche che lo rendono capace di distinguere il bene dal male.
Per restare sul terreno scientifico, sentiamo cosa ci dice in proposito il grande etologo Konrad Lorenz: “Gli uomini temono la considerazione causale perché sono tormentati della paura che la visione dell’insieme delle cause degli avvenimenti terreni possa smascherare il libero arbitrio e dimostrarlo illusorio. In realtà, una visione più profonda delle concatenazioni causali fisiologiche del mio comportamento non può mutare il fatto che sono io che voglio ciò che faccio. Solo ad un’osservazione superficiale, la libertà sembra consistere nel fatto che si possa volere quello che si vuole in completa anarchia. Non si può credere sul serio che il libero arbitrio significhi che tutto è lasciato al beneplacito del singolo di fare o non fare. Il libero arbitrio sottostà alle severe leggi della morale, e la sete di libertà deve evitare che si obbedisca ad altre leggi che non siano quelle. La più grande e più bella libertà dell’uomo si identifica con la legge morale che è in lui. Una maggiore conoscenza delle cause naturali del suo stesso comportamento può aumentare la capacità dell’uomo di comprendere se stesso e dargli maggiore potere di esercitare in azioni il suo libero arbitrio; non può diminuire la sua volontà”.
Quindi il fatto che l’essere umano sia ancora guidato da complesse emozioni ereditarie e canali di apprendimento prestabiliti (come ci ha detto Enrico Mugnaini, insigne studioso di neuroscienze) non annulla la sua libertà e la responsabilità dei suoi atti consapevoli.
Altri fattori possono incidere negativamente sulla libertà del nostro agire. A condizionarci, assai più del nostro bagaglio genetico, è l’ambiente in cui viviamo.
Certamente essere sottoposti a un pervasivo indottrinamento e a un continuo martellamento propagandistico (sia quello che ha caratterizzato i totalitarismi novecenteschi e vari regimi dispotici, sia quello della pubblicità e dalla continua esaltazione del successo e della ricchezza oggi imperante in ogni ambito) può portare a forme di irreggimentazione di massa o di omologazione che restringono i nostri margini di libertà.
Oggi, inoltre, lo sviluppo della tecnica introduce nuove problematiche. Nella complessità del mondo attuale, diventa sempre più arduo rendersi conto di quali possano essere le ricadute dei nostri comportamenti. Ha scritto Hans Jonas che la tecnica moderna ha enormemente dilatato la distanza temporale e spaziale tra le azioni e gli effetti prodotti, sicché oggi diventa difficile collegare cause ed effetti. I nostri atti quotidiani possono aver ricadute negative in Paesi lontani, sovente del sud del mondo, o andare in futuro a gravare pesantemente sui nostri nipoti e pronipoti, senza che ce ne rendiamo conto. Per valutare le conseguenze dei nostri atti, e quindi per agire responsabilmente, bisognerebbe possedere una conoscenza commisurata alla enorme portata degli effetti che la tecnica conferisce al nostro agire, ma è una facoltà di cui è assai difficile dotarsi.
Un altro aspetto dell’incidenza della tecnica sulla nostra libertà decisionale lo ha messo in evidenza Luciano Gallino. Il sociologo ci ha detto che gli apparati tecnici hanno cessato di essere solo dei mezzi perché hanno incorporato in sé scopi e finalità che vengono di fatto imposti agli utenti. In tale caso, la libertà di scelta risulta priva di un concreto fondamento. Anche Papa Francesco ha denunciato questa pericolosa interferenza di una tecnologia che, sfuggita al controllo dell’uomo, finisce per condizionarne l’agire.
Quindi, complessivamente la crescita tecnologica e la globalizzazione (che anch’essa introduce crescenti distanze geografiche e temporali tra cause ed effetti) diminuiscono la consapevolezza della conseguenza delle nostre azioni rendendoci soggetti meno responsabili.
Probabilmente da questa ridotta consapevolezza delle ricadute dei propri atti e dall’individualismo estremo imperante, proviene la diffusa concezione della libertà intesa come poter fare tutto quanto si desidera senza curarsi delle conseguenze. Ma questa è vera libertà?
Benedetto XVI ha scritto che “la libertà ha assunto diversi tratti mitici; concepita in modo anarchico diviene un idolo, mentre può essere davvero tale solamente quella costruita sul giusto rapportarsi reciproco, cioè la libertà nella giustizia”.
Anche nelle parole di Konrad Lorenz sopra riportate, che in parte riprendo, si esprime un analogo concetto: “ Il libero arbitrio sottostà alle severe leggi della morale, e la sete di libertà deve evitare che si obbedisca ad altre leggi che non siano quelle”.
La libertà quindi si esercita nel rispetto delle leggi della morale che sono scolpite dal Creatore nell’anima degli esseri umani, secondo il pensiero religioso, o che si sono formate nel divenire naturale, secondo gli etologi. Infatti, la nostra specie è sociale, e il suo successo evolutivo è dovuto alla cooperazione e alla solidarietà fra i membri delle comunità di cui sono parte, comportamenti che la selezione naturale ha codificato come morali nel nostro codice genetico (vedi Michael Gazzaniga, La Mente etica).
C’è quindi un nesso tra la libertà e il giusto rapportarsi reciproco dei membri di una comunità. Lo aveva colto Giorgio Gaber in una celebre canzone quando disse che la libertà è partecipazione.
Tornando alla considerazione dello scrittore di cui a inizio articolo, si potrebbe dire che non solo la libertà è intrinseca all’essere umano, ma lo è anche la democrazia per il legame che la unisce alla libertà. Dobbiamo però intenderci sul significato di tali termini.
Per quanto riguarda la libertà, lo abbiamo già visto. Non si tratta di quella libertà concepita come poter fare tutto ciò che piace, e neppure di quella cara al pensiero liberale che pone al voler fare tutto ciò che piace il solo limite di non violare la libertà altrui. La vera libertà va oltre il non violare quella altrui, ma impegna a farsi carico dei doveri verso la comunità di appartenenza. È questa concezione della libertà che può essere coniugata con la democrazia.
Ma a quale democrazia si fa riferimento?
Per dare una risposta a questa domanda è utile considerare quanto scritto da Alain Caillé (teorico dell’antiutilitarismo, di cui ho già avuto modo di presentare il pensiero in un articolo Siamo diventati tutti utilitaristi). Per il sociologo francese, la democrazia rappresenta il regime politico naturale e spontaneo dell’umanità in quanto esiste una evidente spinta verso di essa che percorre la storia, e della quale si colgono elementi e tendenze già nelle società preistoriche, poi in quelle tribali, in quelle delle città-stato del mondo antico e nei comuni medievali. Tali società ci mostrano l’esistenza di un legame che possiamo definire di natura democratica tra coloro che hanno maturato il sentimento di formare una comunità e, per tale via di appartenenza, sono stati in grado di elaborare le virtù civiche che della democrazia sono il fondamento. Infatti la comunità viene prima della democrazia, in quanto non c’è democrazia senza comunità.
Da quei tempi, si è allargato il numero delle persone coinvolte nella la vita democratica, includendo nell’elettorato attivo e passivo sempre più estesi ceti sociali, e, seppure tardivamente, le donne, realizzando finalmente il suffragio universale.
Tuttavia non mancano crescenti segnali di crisi della vita democratica. Infatti, oggi, con l’affievolirsi dello spirito comunitario in un mondo dominato dalle logiche economicistiche, viene meno un elemento essenziale della democrazia, che così si indebolisce e si svuota del suo autentico significato.
Secondo Yves Mény (studioso dei sistemi istituzionali), nella società globale, la democrazia si riduce, nell’opinione di molti, alla semplice ricetta “capitalismo più elezioni”, come se le forme della democrazia fossero più importanti della sostanza.
Mi permetto di aggiungere che il capitalismo odierno è il finanzcapitalismo portatore di crescenti disuguaglianze, mentre le elezioni avvengono con i seggi elettorali sempre più disertati. C’è poi la promozione di sempre più estesi diritti, ma, come ha scritto Francis Fukuyama, l’estensione dei diritti individuali, in assenza ad ogni richiamo ai doveri, va a scapito di quel capitale sociale su cui si fonda la convivenza.
Difficile credere che una tale concezione della democrazia (che si è affermata in tempi recenti ed in un’area circoscritta, per quanto ampia, del globo terrestre) rappresenti un punto di arrivo, così come non lo è l’attuale diffusa idea della libertà come disimpegno e assenza di limitazioni.
Ritengo che effettivamente libertà e democrazia siano inscritte nell’anima umana, e che di ciò gli esseri umani abbiano in varia misura consapevolezza. Infatti, tendono ad esse, e le ricercano percorrendo con difficoltà strade diverse con esiti sempre incerti. Comunque non ci si deve scoraggiare, ma proseguire il cammino per dare crescente concretezza a tali valori.
Bellissimo articolo.
Egregio Ladetto, rispondo alle tue riflessioni in materia di libertà, alla luce di quanto normalmente accade surrettiziamente con l’alibi di difendere la stessa. Per capire le dinamiche tutto deve essere riportato sotto l’aspetto dell’emancipazione dei popoli partendo dal basso, ed essere convinti che dietro le quinte ci sono i pupari che manovrano i fili della marionetta. Mi ritengo fortunato per essere nato in una famiglia solidamente cattolica e di aver assunto da giovanissimo il riferimento esemplare del venerabile Giorgio LA PIRA e del docente Don Luigi GIUSSANI “adaequatio rei et intellectus”, che le azioni conseguenti hanno sempre avuto presente, minimizzando pericolose sbandate. Quindi il mio comportamento è stato il discernimento del falso dal vero ed è ciò che i cristiani dovrebbero fare, trovare le giuste risposte comportamentali nel Vangelo, per distinguere i limiti del bene e del male, in piena consapevolezza, nell’ambiente in cui viviamo. Certamente c’è un pesante condizionamento esterno che obtorto collo siamo costretti ad accettare, come ad esempio il continuo ripetere di Zelenski, che combatte per la libertà dell’Europa, a mio avviso è un giudizio fondamentalmente falso e propagandistico. Perché stando ad una visione razionale, lui per primo avrebbe dovuto, con l’uso della ragione, trovare una soluzione negoziata di pace e non di guerra. Questo è un esempio calzante come per motivi commerciali e non di libertà si sta commettendo un genocidio con conseguenze devastanti che esulano da qualsiasi forma di democrazia. Inoltre anche Papa Francesco è intervenuto contro l’insistenza propagandistica, crescita tecnologica, globalizzazione e capitalismo finanziario, tutte incidono profondamente sulla crescente povertà a danno della verità. Il nuovo debito MES sarebbe dannoso per ciò che possediamo, sarebbe uno sperpero per alimentare nefaste clientele e uno strumento utilissimo per produrre armi distruttive. Vi racconto un esempio inquietante, in un Ospedale c’è un ambulatorio “rimozione gessi” con PC scrivania e infermiera dedicata, pazienti zero, ma manca l’ambulatorio urologico che rappresenta l’8% dei ricoveri urgenti. I medici del relativo pronto soccorso, nel caso di necessità devono sistematicamente fare la diagnosi mediante lo specialista a distanza. Quindi trattasi di relativismo integrato alla crescente massoneria che determina incertezze, disorientamento e male ovunque.