Ecco, proprio questa idea che una presunta unzione popolare - peraltro concessa da una minoranza di cittadini, visto l'elevato astensionismo e i voti comunque ottenuti dall'opposizione - possa rappresentare il via libera per qualsiasi rivolgimento costituzionale mostra, chiaramente, limiti e pericoli di un eventuale sistema presidenziale.
Perché qualora ci fosse un presidente eletto dal popolo o l'elezione diretta del primo ministro, ci troveremmo di fronte ad una figura istituzionale che penserebbe di muoversi a suo totale piacimento, forte, per l'appunto, dell'”unzione” del suffragio universale sulla propria persona. E un primo ministro eletto dai cittadini metterebbe lo stesso facilmente in ombra un Capo dello Stato eletto dal Parlamento. In pratica, ci sarebbe un uomo solo al comando, cui non potrebbe più contrapporsi alcun potere di garanzia o di moderazione. Una situazione da evitare in modo assoluto.
Certo, qualcuno – non solo a destra (pensiamo ai renziani) – dirà che il presidenzialismo è pienamente compatibile con una normale democrazia. Tutto vero. In effetti il modello americano dispone di robusti contrappesi con un Congresso dotato di penetranti funzioni di controllo politico e legislativo e con un ampio decentramento di poteri garantito dall'assetto federale. Nel sistema semipresidenziale francese, il Capo dello Stato eletto a suffragio universale coesiste con un primo ministro da lui nominato ma che deve ricevere il sostegno del Parlamento e può essere rovesciato da una mozione di censura.
Ma se così stanno le cose sul piano giuridico, molto cambia se si osserva la realtà più da vicino. Si scopre allora che entrambi i sistemi – sia quello americano sia quello francese - da tempo non godono di ottima salute. Il contesto politico e sociale si è radicalizzato e il modello verticistico - tanto quello Washington quanto quello di Parigi - invece di rendere più fluidi i meccanismi istituzionali, finisce soltanto per attizzare i contrasti tra le forze in campo, mostrandosi strutturalmente inadatto a trovare qualche forma di accomodamento.
Per questo motivo, e a maggior ragione in un Paese ideologicamente complicato come il nostro, conviene rimanere nel classico solco parlamentare, così come disegnato dalla Costituzione. E nemmeno ci si deve incamminare verso l'elezione diretta del primo ministro. Soluzione adottata con scarsa fortuna da Israele dove l'instabilità – quattro tornate elettorali in due anni – regna sovrana. Non è dunque questa la strada da seguire.
Meglio, molto meglio, affidarsi ad un modello che da oltre settanta anni fornisce buona prova di stabilità governativa - che in fondo è quello che, giustamente, stiamo cercando - consentendo l'alternanza tra schieramenti diversi e favorendo persino l'unione tra i due partiti maggiori, per superare qualche momentanea difficoltà politica. Nove premier in sette decenni a garantire una continuità senza pari, con la sfiducia costruttiva come snodo di un possibile mutamento del quadro politico, ma solo se viene preventivamente allestita una coalizione alternativa. Situazione verificatasi soltanto una volta nel 1982.
L'avrete tutti capito, si sta parlando del modello tedesco dove governi stabili, legge elettorale proporzionale con soglia di sbarramento e federalismo solidale, offrono un buon risultato in termini di coesione sociale e democratica. Basta dunque solo copiarne gli aspetti essenziali, apportando, se del caso, qualche minimo aggiustamento alla nostra realtà. E il gioco della riforma è presto fatto. Non sappiamo cosa succederà, ma se la Meloni facesse questa scelta dimostrerebbe di essere una vera statista. Magari come Angela Merkel.
Pienamente d’accordo se il pacchetto di proposte è integrale: unitamente al cancellierato si adotta il sistema elettorale tedesco e, in contemporanea, si assegnano alle Regioni (necessariamente ridotte di numero) tutti i poteri di cui dispongono i Lander germanici per dare vita ad un vero federalismo.
Analisi puntuale della funzione degli organi di rappresentanza dei cittadini, stabiliti dalla Costitizione,in rapporto ai progetti di modifica sostanziale avanzati dal governo in carica.
L’articolista dà giusto rilievo al carattete pretestuoso del progetto governativo che,raffrontato alle anomalie di sistemi analoghi adottati da altri importanti Stati, ne mostra tutti i limiti e le inefficienze e mette in luce il carattete essenzialmente ideologico della proposta.
La storia della politica italiana, nell’assetto stabilito dalla Costituzione, evidenzia e testimonia che ci sono tutti i necessari sistemi di garanzia e di tutela, la cui validità verrebbe meno con lo stravolgimento apportato dal nuovo sistema di elezione delle due massime cariche rappresentative dello Stato.
La soluzione più adeguata,come suggerito dall’autore, sarebbe l’introduzione dell’istituto della sfiducia costruttiva e il rafforzamento della soglia di sbarramento per accedere al parlamento.
Mi associo ai due precedenti interventi nel complimentarmi con Novellini per il suo scritto ed anche alle osservazioni integrative lì contenute.
Voglio aggiungere un ulteriore elemento, occasione per ribadire tesi da noi sempre sostenute. Elemento pur presente nel dibattito ma che spesso viene giocato in chiave di interessi contingenti: il pacchetto delle riforme non può trascurare il tema, solo apparentemente collaterale, non solo delle modalità di voto ma anche della scelta delle candidature.
Tale questione va oltre. Va ben oltre all’alternativa proporzionale-maggioritario, perché il problema viene a porsi in ambedue le situazioni. Certo! In forma palese con i collegi uninominali e anche in misura sfacciata e devastante con le liste bloccate abbinate al proporzionale; comunque presente anche in caso di scelta delle preferenze.
Non è questa la sede per approfondire i ragionamenti sviluppati negli anni che portano all’attuazione del dettato costituzionale riguardante la vita dei partiti, non certo in linea col modello vincente dei partiti personali.
Voglio solo aggiungere che alle insidie del consenso clientelare che abbiamo ben conosciuto ed ai loro effetti deleteri, la condizione attuale si presenta ulteriormente peggiorata dalla potenza di condizionamento, più sottile e pervasivo, garantito da un sistema multimediale che sta dilagando e che fa guardare alle esperienze passate come a reperti se non archeologici, almeno “novecenteschi”.
Novellini si esprime con un buon senso assolutamente condivisibile, ma è fuori di dubbio che esiste il pericolo che le proposte “ideologiche” della
Meloni trovino spazio per la ormai diffusa indifferenza alla politica degli italiani (vedi astensionismo). Urge un impegno trasversale della società civile e dell’ associazionismo, specie cattolico, che diffonda nell’ opinione pubblica una avversione al presidenzialismo nelle varie forme, che scoraggi l’ insistere su questa strada, quantomeno per la sua inopportunità ai fini di convenienza elettorale.