Fulvio Scaglione intervistato il 24 febbraio 2023 da Agensir affermava:
1 – che la Russia di Putin dopo avere nel primo decennio della gestione cercato di ricostruire la sua tradizionale potenza, la dignità internazionale e la solidità politica, nei successivi 12 anni ha vissuto una fase di estrema conservazione con una ri-statalizzazione dell’economia e una progressiva riaffermazione delle ragioni del nazionalismo: “Oggi siamo di fronte ad un Paese nel quale la presenza dello Stato ha preso sempre più piede nella vita dei cittadini, dove vige la censura e l’economia è diventata un’economia di guerra”.
2 – che anche, in Ucraina ci sono stati cambiamenti e sotto la spinta della guerra, si è visto degenerare certi processi già in corso prima del 24 febbraio 2022: “L’invasione ha fatto nascere un nazionalismo che rischia di assumere, diciamocelo chiaramente, connotazioni estreme. Continua il perenne problema della corruzione che si trascina dall’indipendenza e quello della struttura di potere [...] Di fatto c’è un uomo solo al comando che ha ottenuto il controllo totale del Parlamento e che è padrone del destino di chiunque nel Paese, tanto più con le leggi marziali.
3 – che a dispetto dei proclami sulla ritrovata unità, “l’Europa uscirà fortissimamente indebolita dal conflitto, comunque andrà a finire. La spina dorsale non è più l’asse franco-tedesco, il motore di tutte le ultime decisioni è rappresentato dai Paesi dell’Est, del Nord e dai Baltici: ho molti dubbi che realtà molto legate ad un atlantismo molto spinto, caratterizzate da un’assoluta fedeltà se non subalternità agli Stati Uniti, siano la soluzione migliore per l’Europa di domani. La Germania, cuore economico dell’UE, esce fortissimamente indebolita dal conflitto. [...] D’altra parte, Francia e Germania sono state pesantemente implicate nei cosiddetti accordi di Minsk, e negli otto anni a disposizione per ricomporre il conflitto nel Donbass – per stessa ammissione di Hollande, Merkel e Porošenko – hanno pensato solo ad armare l’Ucraina e aiutare il suo esercito a consolidarsi; scopo nobile e legittimo, che non ha favorito la composizione del conflitto deflagrato poi nella maniera che conosciamo”.
Vorrei soffermarmi su quest’ultimo punto, sulla debolezza dell’Europa e sul motore che si è spostato verso i Paesi dell’est e del nord, i quali logicamente per motivi storici e di esperienze concrete temono la Russia e pensano soprattutto alla difesa militare e alla protezione NATO.
Ne traggo perciò due semplici (spero non semplicistiche) conseguenze, che sono anche auspici e sollecitazioni alla politica.
La prima è che l’Europa Unita dovrà essere ripensata e ripartire dal nuovo. Non si può continuare a trattare o a collaborare con nazioni e Stati “potenti” per abitanti, forza militare, economia, istituzioni con potere decisionale, mentre noi restiamo un semplice aggregato dove ogni Governo può calare il veto, dove non c’è un Governo centrale sovrannazionale, dove al di là di indirizzi e direttive ogni Paese può continuare a fare i fatti suoi su questioni strategiche.
Lo abbiamo visto nelle vicende del gas, della pandemia, dei migranti e di altre questioni dove Bruxelles non aveva certo il potere di Washington, di Mosca, di Pechino, di Ankara. Questo limita fortemente l’Europa.
Perciò è sempre più essenziale arrivare alla Federazione Europea, assegnando su tutta una serie di materie sovranità al Governo Federale (garantendo le necessarie tutele alle nazioni e alle aree regionali, per garantire il pluralismo culturale, religioso, politico, e anche economico sociale). Devono nascere veri partiti sovra e trans-nazionali. E il Parlamento europeo dovrà eleggere il capo del Governo e ratificare la nomina dei Ministri, che dovranno guidare la Federazione con pari dignità dei Presidenti e Capi di Stato degli altri Stati. Non possiamo sempre essere oggetti o comparse; dobbiamo essere tra i protagonisti.
La seconda è la presa d’atto che l’Europa di De Gasperi, Adenauer e Schuman non esiste più. Il positivo allargamento ha provocato alcuni scompensi nello spirito e nella visione iniziale. È prevalsa soprattutto la questione economica e finanziaria, c’è qualcosa di sociale ma insufficiente, e continuano prepotentemente ad avanzare gli egoismi nazionali (a volte anche a fronte di decisioni troppo ideologiche, forzate o radicali, anche su questioni come la dimensione o la produzione di ortaggi e vini o formaggi).
Se fino alla caduta del muro di Berlino vi era una comune prospettiva, d’ora in poi (e soprattutto quando sarà finita questa maledetta guerra) la vocazione Europea e i suoi organismi dirigenti al contrario saranno tenuti in scacco dai Paesi dell’est e del nord, i quali per i motivi già accennati richiederanno investimenti, attenzioni e decisioni per difendere le frontiere. Anziché far prevalere l’impegno per la cooperazione internazionale, per la liberazione e lo sviluppo dei popoli, per una politica di integrazione strutturale della migrazione, per un rafforzamento delle legislazioni a favore di un lavoro degno e di tutele sociali inclusive e valide, per un allargamento delle proposte scolastiche, formative e culturali.
Temo che questa realtà dei ventisette rimanga ingessata su decisioni importanti ma profondamente diverse da quelle che si speravano originariamente. E che, Stati dell’Est a parte, anche i cosiddetti frugali continuino a vedere nell’Europa una specie di Banca centrale, di Corte dei Conti, di Collegio Sindacale che si preoccupa soprattutto di quadrature di Bilanci ed equilibri di gestione. Questo legato anche ad una visione poco cooperativa e solidale senza rendersi conto delle difficoltà sociali ed economiche del sud Europa. Mentre a noi s’impone più responsabilità, meno sprechi e sburocratizzazione.
Un Europa che, dico francamente, a me non piace. Perciò sogno che si possa ripartire da un gruppo di Paesi che condividono se non tutto, almeno moltissime cose del ruolo che deve essere assegnato alla Federazione europea. Per gli altri ci sia un graduale associarsi non tanto ad un Organismo, ma soprattutto ai valori, allo spirito costituente, alla volontà di sostenersi reciprocamente e superare definitivamente i tradizionali confini ottocenteschi, a lavorare per la pace su cui si fonda l’Europa. È possibile resettare tutto l’impianto? Forse no, ma se non lo si fa ora resteremo sempre imbrigliati alla logica dei veti e dai nazionalismi. Bisogna creare i cittadini europei, con passaporto europeo, riconoscimento delle aree regionali e delle culture nazionali superando gli Stati attuali.
Può entrare l’Italia, soprattutto quella attuale, in una nuova Europa così disegnata? Non so, deve meritarselo come tutti gli altri. So solo che se così non sarà, l’Europa la si costruirà lo stesso, ma lasciando aperti molti punti irrisolti, che si trascineranno in difficoltà future.
1 – che la Russia di Putin dopo avere nel primo decennio della gestione cercato di ricostruire la sua tradizionale potenza, la dignità internazionale e la solidità politica, nei successivi 12 anni ha vissuto una fase di estrema conservazione con una ri-statalizzazione dell’economia e una progressiva riaffermazione delle ragioni del nazionalismo: “Oggi siamo di fronte ad un Paese nel quale la presenza dello Stato ha preso sempre più piede nella vita dei cittadini, dove vige la censura e l’economia è diventata un’economia di guerra”.
2 – che anche, in Ucraina ci sono stati cambiamenti e sotto la spinta della guerra, si è visto degenerare certi processi già in corso prima del 24 febbraio 2022: “L’invasione ha fatto nascere un nazionalismo che rischia di assumere, diciamocelo chiaramente, connotazioni estreme. Continua il perenne problema della corruzione che si trascina dall’indipendenza e quello della struttura di potere [...] Di fatto c’è un uomo solo al comando che ha ottenuto il controllo totale del Parlamento e che è padrone del destino di chiunque nel Paese, tanto più con le leggi marziali.
3 – che a dispetto dei proclami sulla ritrovata unità, “l’Europa uscirà fortissimamente indebolita dal conflitto, comunque andrà a finire. La spina dorsale non è più l’asse franco-tedesco, il motore di tutte le ultime decisioni è rappresentato dai Paesi dell’Est, del Nord e dai Baltici: ho molti dubbi che realtà molto legate ad un atlantismo molto spinto, caratterizzate da un’assoluta fedeltà se non subalternità agli Stati Uniti, siano la soluzione migliore per l’Europa di domani. La Germania, cuore economico dell’UE, esce fortissimamente indebolita dal conflitto. [...] D’altra parte, Francia e Germania sono state pesantemente implicate nei cosiddetti accordi di Minsk, e negli otto anni a disposizione per ricomporre il conflitto nel Donbass – per stessa ammissione di Hollande, Merkel e Porošenko – hanno pensato solo ad armare l’Ucraina e aiutare il suo esercito a consolidarsi; scopo nobile e legittimo, che non ha favorito la composizione del conflitto deflagrato poi nella maniera che conosciamo”.
Vorrei soffermarmi su quest’ultimo punto, sulla debolezza dell’Europa e sul motore che si è spostato verso i Paesi dell’est e del nord, i quali logicamente per motivi storici e di esperienze concrete temono la Russia e pensano soprattutto alla difesa militare e alla protezione NATO.
Ne traggo perciò due semplici (spero non semplicistiche) conseguenze, che sono anche auspici e sollecitazioni alla politica.
La prima è che l’Europa Unita dovrà essere ripensata e ripartire dal nuovo. Non si può continuare a trattare o a collaborare con nazioni e Stati “potenti” per abitanti, forza militare, economia, istituzioni con potere decisionale, mentre noi restiamo un semplice aggregato dove ogni Governo può calare il veto, dove non c’è un Governo centrale sovrannazionale, dove al di là di indirizzi e direttive ogni Paese può continuare a fare i fatti suoi su questioni strategiche.
Lo abbiamo visto nelle vicende del gas, della pandemia, dei migranti e di altre questioni dove Bruxelles non aveva certo il potere di Washington, di Mosca, di Pechino, di Ankara. Questo limita fortemente l’Europa.
Perciò è sempre più essenziale arrivare alla Federazione Europea, assegnando su tutta una serie di materie sovranità al Governo Federale (garantendo le necessarie tutele alle nazioni e alle aree regionali, per garantire il pluralismo culturale, religioso, politico, e anche economico sociale). Devono nascere veri partiti sovra e trans-nazionali. E il Parlamento europeo dovrà eleggere il capo del Governo e ratificare la nomina dei Ministri, che dovranno guidare la Federazione con pari dignità dei Presidenti e Capi di Stato degli altri Stati. Non possiamo sempre essere oggetti o comparse; dobbiamo essere tra i protagonisti.
La seconda è la presa d’atto che l’Europa di De Gasperi, Adenauer e Schuman non esiste più. Il positivo allargamento ha provocato alcuni scompensi nello spirito e nella visione iniziale. È prevalsa soprattutto la questione economica e finanziaria, c’è qualcosa di sociale ma insufficiente, e continuano prepotentemente ad avanzare gli egoismi nazionali (a volte anche a fronte di decisioni troppo ideologiche, forzate o radicali, anche su questioni come la dimensione o la produzione di ortaggi e vini o formaggi).
Se fino alla caduta del muro di Berlino vi era una comune prospettiva, d’ora in poi (e soprattutto quando sarà finita questa maledetta guerra) la vocazione Europea e i suoi organismi dirigenti al contrario saranno tenuti in scacco dai Paesi dell’est e del nord, i quali per i motivi già accennati richiederanno investimenti, attenzioni e decisioni per difendere le frontiere. Anziché far prevalere l’impegno per la cooperazione internazionale, per la liberazione e lo sviluppo dei popoli, per una politica di integrazione strutturale della migrazione, per un rafforzamento delle legislazioni a favore di un lavoro degno e di tutele sociali inclusive e valide, per un allargamento delle proposte scolastiche, formative e culturali.
Temo che questa realtà dei ventisette rimanga ingessata su decisioni importanti ma profondamente diverse da quelle che si speravano originariamente. E che, Stati dell’Est a parte, anche i cosiddetti frugali continuino a vedere nell’Europa una specie di Banca centrale, di Corte dei Conti, di Collegio Sindacale che si preoccupa soprattutto di quadrature di Bilanci ed equilibri di gestione. Questo legato anche ad una visione poco cooperativa e solidale senza rendersi conto delle difficoltà sociali ed economiche del sud Europa. Mentre a noi s’impone più responsabilità, meno sprechi e sburocratizzazione.
Un Europa che, dico francamente, a me non piace. Perciò sogno che si possa ripartire da un gruppo di Paesi che condividono se non tutto, almeno moltissime cose del ruolo che deve essere assegnato alla Federazione europea. Per gli altri ci sia un graduale associarsi non tanto ad un Organismo, ma soprattutto ai valori, allo spirito costituente, alla volontà di sostenersi reciprocamente e superare definitivamente i tradizionali confini ottocenteschi, a lavorare per la pace su cui si fonda l’Europa. È possibile resettare tutto l’impianto? Forse no, ma se non lo si fa ora resteremo sempre imbrigliati alla logica dei veti e dai nazionalismi. Bisogna creare i cittadini europei, con passaporto europeo, riconoscimento delle aree regionali e delle culture nazionali superando gli Stati attuali.
Può entrare l’Italia, soprattutto quella attuale, in una nuova Europa così disegnata? Non so, deve meritarselo come tutti gli altri. So solo che se così non sarà, l’Europa la si costruirà lo stesso, ma lasciando aperti molti punti irrisolti, che si trascineranno in difficoltà future.
Tutto sommato l’Europa che agisce come un vero Stato, sia pure non in riferimento alla totalità delle questioni di cui si occupa uno Stato, un’Europa davvero federale e plurale non è molto distante dal traguardo ideale che probabilmente avevano in mente i grandi padri fondatori. Ma mi chiedo: non è forse una visione utopica alla luce di ciò che abbiamo sperimentato nel recente passato? Un’Europa federale dovrebbe trattare in maniera equanime tutte le sue componenti regionali (ché simili a Lander o regioni sarebbero i paesi che la costituiscono)? Ma pesa il ricordo del trattamento che fu riservato alla Grecia. Non così si comportano gli Stati Uniti con la Louisiana o col Nevada, un vero stato federale agisce in modo supportivo nei confronti di tutte le sue articolazioni.E la politica estera, ambito privilegiato del livello federale centrale? L’Europa ha una sua autonoma politica estera? La vicenda ucraina è il segno inecquivocabile della totale assenza di una politica estera orgogliosamente autonoma da parte dell’Europa che si è limitata a fare diligentemente gli autolesionistici compiti a casa imposti dall’alleato statunitense. Europa sì ma come? Ci spaventa il sovranismo dell’Ungheria: ma Francia e Germania non hanno imposto per anni i loro sovranismi? E i paesi baltici non stanno tentando di influenzare secondo i loro disegni la politica comune?
Condivido con Carlo Baviera la speranza in una rifondazione dell’Unione europea da cui possa decollare una Federazione vitale e capace di svolgere un ruolo autonomo nello scenario internazionale. Credo che la volontà e la capacità di dare vita ad un qualche Organismo a ciò finalizzato siano requisiti appartenenti solo a quel nucleo “carolingio” originario (i sei soci fondatori) allargato ai paesi iberici. Le altre nazioni europee oggi non sono mature per un tale passo. Poi si vedrà.
Egr. C. Baviera, si quella da Lei indicata sarebbe l’UE sognata dai fondatori, fino ad ora non realizzata e che spero si avveri.
Santo Bressani Doldi
Bell’articolo davvero, interessanti e pieni di speranza i commenti. La realtà è un’altra, molto amara e lo si è visto oggi con le dichiarazioni di Borrell, il quale dice che lo stretto di Taiwan fa parte del nostro perimetro strategico ed è giusto, auspicabile e bisogna fare in fretta a inviare navi da guerra. I peggiori incubi dei complottisti, putiniani, etc., sono superati dalla realtà. Costerà caro ma c’è una sola soluzione: USCIRE dalla EUROPA.
Una sola aggiunta odierna al triste quadro delineato da Beppe Mila: Oggi (o ieri) la Cina ha duramente protestato con Tokio per l’apertura in Giappone di una sede di rappresentanza nella NATO.
E solo una considerazione generale: quando gli imperi sono in crisi si incattiviscono. Mi pare che sia gli USA che la Russia siano entrambi due imperi in crisi che non vogliono mollare l’osso conquistatisi in altri tempi (per gli USA si veda il numero di LIMES dell’aprile 2019, “Antieuropa, l’impero europeo dell’America”. Per la Russia non è il caso di citare una bibliografia). Speriamo che almeno la Cina non abbia questa stessa sensazione poco gradevole, onde evitare che il quadro degli arrabbiati si vada ampliando con tutto ciò che potrebbe comportare per quelli che non contano nulla, come l’Europa e, ancor più, l’Italia.
Tutto il resto è vanità.